Cantico dei Cantici

La grammatica dell’amore: “note” sul Cantico dei Cantici

Ho scelto di aprire il nostro viaggio con il magnifico Cantico dei Cantici, un’opera che ci tocca nel profondo celebrando il più intimo dei legami: quello tra uomo e donna. E ho voluto titolare questa serie di articoli “La Grammatica dell’Amore: Note sul Cantico dei Cantici” proprio per sottolineare la natura del nostro approccio: non un’esegesi sistematica che pretenda di esaurire l’inesauribile, ma piuttosto un insieme di annotazioni, riflessioni in margine a un testo che, come l’amore stesso, mantiene sempre un nucleo di ineffabilità1. Le note che proporremo – a partire da quella sul primo versetto che qui ci attende – saranno come finestre che si aprono su questo giardino di significati sempre fiorente, nella consapevolezza che ogni tentativo di comprensione totale del Cantico è destinato a rimanere incompiuto, proprio come incompiuto – e proprio per questo infinitamente prezioso – è ogni autentico cammino d’amore.

Ognuno di noi è frutto di questo sacro incontro, di questo miracoloso intreccio d’anime. Nessuno nasce come un’isola solitaria – siamo tutti il risultato di un abbraccio, di un amore che ci ha preceduto. Il Cantico canta proprio questa magia, questa scintilla divina che chiamiamo amore, con parole che attraversano i secoli e ancora ci emozionano. Non sorprende che questo sublime poema abbia ispirato sia il mondo ebraico che quello cristiano a vedere in esso qualcosa di ancora più grande: uno specchio dell’amore infinito tra Dio e il suo popolo, tra Cristo e la Chiesa, tra lo Spirito e l’anima di ogni essere umano che cerca il suo abbraccio..

Non desidero dilungarmi nell’introduzione al Libro, dato che esistono già numerose e valide presentazioni a cui il lettore può riferirsi. Mi permetto però di suggerire alcune opere particolarmente significative.

  • In primo luogo, segnalo l’eccellente commentario di Gianni Barbiero, pubblicato dalle Edizioni Paoline, che offre un’introduzione particolarmente approfondita e ricca di dettagli.
  • Altrettanto valido è il lavoro di Luca Mazzinghi, che accompagna la sua traduzione con un prezioso commento introduttivo.
  • Una terza risorsa è l’introduzione ai libri sapienziali e poetici di Tiziano Lorenzin, pubblicata da ELLEDICI, che fornisce una prospettiva illuminante sull’opera.
  • Un quarto commento, oramai diventato un classico, è quello di mons. Ravasi edito dalle EDB2.

Durante il nostro percorso, quando sarà necessario approfondire specifici aspetti contestuali, farò riferimento a questi testi o fornirò personalmente brevi spiegazioni. E ora, possiamo iniziare il nostro viaggio.

Per facilitare la lettura, ho predisposto una disposizione bilingue del testo: sulla destra troverete l’originale ebraico, mentre sulla sinistra ho posto la traduzione italiana. Sotto il testo ebraico, grazie al programma Accordance, ho inserito la traslitterazione fonetica. I versetti sono stati inoltre suddivisi in unità poetiche, identificate da numeri e lettere progressive.

Per facilitare la lettura, ho organizzato il testo in una disposizione bilingue: sulla destra si trova l’originale ebraico, mentre sulla sinistra compare la traduzione italiana accompagnata dalla traslitterazione fonetica realizzata con il programma Accordance. Ogni versetto si articola in righe poetiche, dove il numero indica il versetto stesso (1, 2, 3…) e la lettera (a, b, c…) identifica la singola riga poetica all’interno del versetto.

Il titolo: Ct 1,1

Il primo versetto del Cantico, da cui prende avvio la nostra riflessione, recita:

1a. Cantico dei cantici che è di Salomone שִׁ֥יר הַשִּׁירִ֖ים אֲשֶׁ֥ר לִשְׁלֹמֹֽה׃
ı̂r haššı̂rı̂m ʾᵃer lilōmōh:  

Nel tessuto sonoro dell’ebraico originale, il primo versetto nasconde una melodia ineffabile. La consonante šîn [š], evidenziata in giallo nella traslitterazione, crea un’armonia sussurrata che la traduzione italiana, purtroppo, non può restituire nella sua pienezza originaria. Questa musicalità intrinseca – vera e propria partitura di suoni che danzano sulla pagina – si propaga come un’onda nel verso successivo, creando una trama sonora di rara bellezza, dove ogni šîn diventa nota di una sinfonia antica quanto la parola stessa.

Il titolo ebraico del Cantico dei Cantici rivela una raffinata costruzione linguistica che ne segna l’unicità. La parola šîr, che in italiano traduciamo come “canto”, “canzone” o “poema”, ricorre frequentemente nella Bibbia: le sue 166 attestazioni si concentrano soprattutto nel Libro dei Salmi. Nel Cantico, però, questo termine appare in una forma grammaticale unica: per la prima e unica volta nell’intera Scrittura, šîr si presenta in stato costrutto accompagnato dall’articolo determinativo. Questa peculiarità sintattica non è casuale: agisce come una precisa scelta stilistica che trasforma il testo da semplice “canto tra i canti” nel “il Canto” per antonomasia, riconoscendolo come uno dei vertici della poesia sacra.

Non è casuale che Rabbi Akiba, eminente figura del giudaismo del II secolo d.C., martire della rivolta di Bar Kokba, abbia accostato questa definizione al “Santo dei Santi” (Es 26,33)3, il luogo più sacro del Tempio dove dimorava la presenza divina. Se infatti la maggior parte dei canti veterotestamentari si eleva come inno teologico alla magnificenza divina, il Cantico si distingue proprio per questa duplicazione del termine šîr, inserendosi con originalità nel vasto patrimonio di canti, salmi e poesia liturgica dell’antica tradizione ebraica.

Il canto, nella Scrittura, è come un filo d’oro che attraversa la trama della rivelazione divina. Non solo i Salmi – libro interamente dedicato al canto – ma ogni momento cruciale della storia della salvezza trova la sua espressione nel canto: dalla gioia estatica di Miriam e Mosè (Es 15,1-18) alla vittoria di Debora (Gdc 5,2-31), dal lamento di Giona (Gio 2) alla preghiera di Ezechia (Is 38,10-20)4. Questa vocazione al canto sembra nascere con l’umanità stessa: la tradizione rabbinica ci tramanda che il Salmo 92, “Canto per il giorno del sabato”, fu il primo canto di Adamo che, appena creato, accolse il riposo sabbatico con parole di lode: «È bello rendere grazie al Signore, cantare al tuo nome, Dio altissimo» (Sal 92,2).

Secoli dopo, questo impulso al canto trova una delle sue più intense manifestazioni cristiane nel Cantico delle creature di Francesco d’Assisi, dove il Santo giunge ad abbracciare persino la morte con tenerezza fraterna. Il suo

Laudato si’, mi’ Signore, per sora nostra morte corporale, da la quale nullu homo vivente pò scappare.

trasforma il momento estremo dell’esistenza in un inno alla vita eterna, che culmina nella promessa di beatitudine:

Beati quelli che trovarà ne le tue santissime voluntati, ka la morte secunda no ‘l farrà male.

La definizione “Cantico dei Cantici” potrebbe suscitare perplessità, considerando la straordinaria ricchezza poetica delle Scritture. Non potrebbero forse i Salmi 19 e 100, con il loro splendore celebrativo, ambire a questo titolo? Il Cantico, apparentemente, si limita a celebrare l’amore umano nella sua dimensione più carnale, senza mai nominare esplicitamente Dio. Eppure, ad uno sguardo più profondo, questo amore fisico si rivela specchio dell’amore divino, dono prezioso del Creatore alle creature plasmate a Sua immagine5.

Non dobbiamo però cadere in letture estreme: né vedere in questi versi una pura allegoria spirituale, né ridurli a semplice celebrazione della corporeità. Il testo, pur vibrante di sensualità, sfugge a queste interpretazioni riduttive. Il Cantico dei Cantici si svela piuttosto come un viaggio nelle profondità dell’amore in ogni sua forma, facendo eco alle parole di Paolo: “La più grande di queste è l’amore” (1 Cor 13,13).

Vale la pena notare una sfumatura linguistica: quando i traduttori dei Settanta scelsero di rendere l’ebraico šîr (canto) con ᾎσμα, optarono per un termine che evoca più un’ode profana che un inno sacro. Una scelta che sottolinea la natura terrena del poema, senza per questo privarlo del suo respiro divino.

La formula «che è di Salomone» (ăšer lišlōmōh), caratterizzata dalla presenza del lamed auctoris – quella preposizione ebraica che indica appartenenza o paternità – riecheggia i titoli dei Salmi e suggerisce una paternità che va oltre il dato storico. Il riferimento trova la sua radice in 1Re 5,12: «Salomone pronunciò tremila proverbi; le sue canti furono millecinque». La tradizione ha fatto di Salomone non solo l’autore del Cantico, ma anche di Proverbi, Qoèlet e Sapienza, elevandolo a modello di sapiente, come suo padre Davide lo è dell’orante.

Nel tessuto poetico del Cantico, Salomone emerge come figura sfaccettata (Ct 1,5; 3,7.9.11; 8,11-12). È “il re” (Ct 1,4.12), l’amante ideale che dona dignità regale alla storia dei due giovani (cfr. Ct 1,5.9), ma è anche simbolo di un amore fatto di eccessi e sfarzo, da cui l’autore prende le distanze (cfr. Ct 8,11-12). In questa apparente contraddizione si rispecchia tutta la complessità del personaggio.

Chi sia davvero l’autore del Cantico, chi siano l’amato e l’amata, rimarrà un mistero. Ma non è questo che conta: il cuore del Cantico non batte per svelare l’identità degli amanti, ma per celebrare la natura del loro amore, ardente come la fiamma di Yah (cf. Ct 8,6)6, riflesso terreno dell’amore divino che tutto pervade e tutto sostiene.


  1. Seguiremo come approccio al testo quello esposto nell’articolo precedente e raffigurato dall’acronimo PaRDeS «giardino.
  2. BARBIERO G., Cantico dei Cantici. Nuova versione, introduzione e commento (I libri biblici. Primo Testamento 24), Paoline, Milano 2004; MAZZINGHI L., Cantico dei Cantici. Introduzione, traduzione e commento (Nuova versione della bibbia dai testi antichi 22), San Paolo, Cinisello Balsamo (MI) 2011; LORENZIN T., Esperti in umanità. Introduzione ai libri sapienziali e poetici (Graphé 4), ELLEDIC, Torino 2013, RAVASI G., Il Cantico dei Cantici. Commento e attualizzazione (Testi e commenti 4), EDB, Bologna 1992.
    Altre opere dono quelle di GARBINI G., Cantico dei cantici. Testo, traduzione, note e commento (Biblica. Testi e Studi 2), Paideia, Brescia 1992; JENSON R.W., Cantico dei Cantici (Strumenti – Commentari 41), Claudiana, Torino 2008.
  3. m.Jadajim 3,5. «R. Aqiba disse: “Dio ne scampi! Nessuno in Israele ha mai contestato che il Cantico dei cantici sporchi le mani, perché il mondo intero non vale il giorno in cui il Cantico dei cantici è stato donato a Israele, perché tutti gli agiografi (kᵉtûbîm) sono santi, ma il Cantico dei cantici è il santo dei santi».
  4. La tradizione rabbinica identifica dieci canti, iniziando con quello di Adamo. L’ottavo è attribuito a David, seguito da quello di Salomone. Il decimo, il canto escatologico, si dice non sia ancora stato scritto né sia pronto per essere cantato.
  5. In Ct 8,6 si presenta l’amore come «fiamma di Yah», dove Yah sta per il nome di Dio.
  6. Yah è la forma abbreviata del nome divino Yhwh. Il Nome sacro veniva pronunziato già in epoche antiche come ʾădōnāy, «il Signore». Sull’espressione «ardente come la fiamma di Yah” cf. Walsh, C. E., Exquisite Desire: Religion, the Erotic, and the Song of Songs, Fortress, Minneapolis 2000, 7.

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