Cantico dei Cantici

Ct 1,11: Intarsi d’anima

La poesia degli amanti, iniziata come un dialogo intimo, si apre improvvisamente ad altre voci.

a. Pendagli d’oro faremo per te
tôrê zahāḇ naʿᵃśê-lāḵ
תּוֹרֵ֤י זָהָב֙ נַעֲשֶׂה־לָּ֔ךְ
b. con punti (intarsi) di argento
ʿim nᵉquddôṯ hakkāsep̱
עִ֖ם נְקֻדּ֥וֹת הַכָּֽסֶף׃

«Noi ti faremo orecchini d’oro con intarsi d’argento». La voce del Cantico qui risuona con un inaspettato plurale. L’amato contempla la sua amata e le promette nuovi tôrîm (orecchini), gioielli preziosi che impreziosiranno la sua bellezza già manifesta. La semplicità di questo verso cela una profondità sorprendente.

Il plurale naʿᵃśê («faremo») colpisce immediatamente l’attenzione. Non dice “ti farò“, come ci si aspetterebbe in un dialogo intimo tra due amanti. Questa dimensione collettiva introduce una dimensione corale nell’esperienza amorosa. Il sentimento che unisce i due amanti non rimane confinato nella sfera privata, ma coinvolge una comunità più ampia che partecipa alla celebrazione della loro bellezza.

Chi sono questi compagni che si uniscono all’amato nella promessa lāḵ («per te»)? Il testo apre diverse possibilità. Potrebbe trattarsi di un plurale maestatico1, tipico del linguaggio solenne e regale. L’amato parla con l’autorità di chi possiede risorse e maestà. La tradizione biblica conosce bene questo uso plurale che esprime grandezza e potere.

La promessa riguarda gioielli raffinati: tôrîm di zahab (orecchini d’oro) arricchiti da nᵉquddôṯ hakkaāsep̱ (intarsi d’argento). Lo zahab e il kesep̱, metalli nobili per eccellenza, simboleggiano il desiderio di offrire solo il meglio. Il Cantico conosce anche altre qualità d’oro come il ketem e il paz, menzionati altrove nel poema. La parola nᵉquddôṯ, tradotta come “intarsi“, appare solo qui in tutta la Scrittura. Il termine si collega alla radice nāqad che descrive le pecore dal vello macchiato (Gen 30,32) e suggerisce decorazioni preziose che punteggiano l’oro con splendidi riflessi d’argento.

L’immagine evoca un paragone con altri passi biblici. Nel capitolo 16 del libro di Ezechiele, Dio descrive Gerusalemme come una sposa: «Ti adornai di gioielli, ti misi braccialetti ai polsi e una collana al collo, misi al tuo naso un anello, orecchini agli orecchi e una splendida corona sul tuo capo: così fosti adorna d’oro e d’argento» (vv. 11-13). La promessa dei tôrîm nel Cantico risuona con echi di questa relazione d’amore tra Dio e il suo popolo.

Il verso rivela una dinamica fondamentale dell’amore autentico. Chi ama non si limita ad ammirare la bellezza dell’altro, ma desidera accrescerla. L’amato guarda l’amata e vede la possibilità di uno splendore ancora maggiore. La bellezza già presente si fa promessa di una bellezza futura. L’amore si manifesta come desiderio di arricchimento reciproco e come tensione verso una pienezza sempre maggiore.

Sant’Agostino concepiva la comunità cristiana come una cerchia di amici uniti dall’amore per Cristo, la Bellezza e la Sapienza in persona. In questa concezione, l’amore per il bello (philokalia) e l’amore per la sapienza (philosophia) si fondono in un’unica corrente. I filosofi greci avevano già intuito questa dimensione dell’amicizia: un’alleanza tra persone virtuose che si spronano a vicenda verso il bene.

Il Cantico trascende costantemente i confini dell’utile e del necessario. Gli orecchini non servono semplicemente a coprire un bisogno, ma celebrano la generosità, lo splendore, la felicità, la libertà. L’amore autentico non si accontenta del minimo indispensabile ma cerca sempre di donare l’eccellenza.

La voce plurale del verso ci ricorda che l’amore non crea isolamento. I due amanti non vivono in un vuoto relazionale, ma restano inseriti in una rete di relazioni. Il coro che accompagna la loro storia partecipa all’ammirazione senza provare gelosia, come gli amici dello sposo. L’amore esclusivo tra i due si apre paradossalmente a una dimensione comunitaria e universale.

Il potere trasformante dell’amore emerge con forza da questo breve verso. Chi si lascia amare vive una trasformazione continua sotto l’influenza del desiderio dell’altro. L’amato riconosce la bellezza dell’amata e, al tempo stesso, desidera renderla ancora più splendida. In questo moto ascendente, la bellezza genera bellezza in un crescendo senza fine.

Negli orecchini d’oro con intarsi d’argento promessi si può già intravedere molto: ammirazione, riconoscimento, promessa e desiderio di una comunione ancora più profonda. L’oro e l’argento diventano espressione visibile di un amore che non si accontenta dello status quo, ma punta sempre più in alto, come la sapienza, la virtù e la bellezza stessa.


  1. Il plurale maestatico è una forma retorica in cui un individuo utilizza “noi” anziché “io” per riferirsi a sé stesso. Adottato storicamente da sovrani, papi e autorità, esprime la dualità del ruolo: la persona parla non solo come individuo ma come rappresentante di un’istituzione o di un potere. Comunica solennità e autorevolezza, sottolineando che chi parla trascende la propria individualità.

 

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