Dopo la vibrante apertura del Cantico, dove l’amata esprime il suo desiderio attraverso baci e profumi, il versetto 1,4 ci conduce più in profondità nel mistero dell’amore. Il sussurro «che mi baci» si trasforma in una supplica intensa: «Attirami!». È un passaggio decisivo che trasforma il desiderio in movimento, l’attesa in azione. La voce dell’amata, finora oscillante tra distanza e intimità, trova una nuova modalità espressiva che intreccia la dimensione personale con quella comunitaria.
a. Attirami! Dietro a te correremo. mošḵēnı̂ ʾaḥᵃreḵā nārûṣâ |
מָשְׁכֵ֖נִי אַחֲרֶ֣יךָ נָּר֑וּצָה |
b. Mi ha fatto entrare il re nelle sue stanze hᵉḇı̂ʾanı̂ hammeleḵ ḥᵃḏārāyw |
הֱבִיאַ֨נִי הַמֶּ֜לֶךְ חֲדָרָ֗יו |
c. gioiremo ed esulteremo con te (in te) nāg̱ı̂lâ wᵉniśmḥah bāḵ |
נָגִ֤ילָה וְנִשְׂמְחָה֙ בָּ֔ךְ |
d. ricorderemo le tue carezze (i tuoi amori) più del vino nazkı̂râ ḏōḏeḵā mı̂yyayin |
נַזְכִּ֤ירָה דֹדֶ֙יךָ֙ מִיַּ֔יִן |
e. A ragione ti si ama! mêšārı̂m ʾᵃhēḇûḵā: |
מֵישָׁרִ֖ים אֲהֵבֽוּךָ׃ ס |
Il primo rigo poetico del versetto (1,4a) presenta una particolare complessità interpretativa dovuta alla presenza di un asindeto, che non rende immediatamente comprensibile il rapporto tra le tre parti che lo compongono (mošḵēnı̂ – ʾaḥᵃreḵā – nārûṣâ; 1,4a). Se la maggior parte delle traduzioni contemporanee, come ad esempio la CEI, tende a leggere in modo congiunto le prime due parole separandole dalla terza («Trascinami con te, corriamo!»), un’analisi accurata del sistema di accenti masoretici suggerisce una strutturazione diversa del verso1.
I masoreti, attraverso il loro sistema di vocalizzazione e accentuazione, hanno infatti proposto una lettura che isola il primo termine rispetto agli altri due, che vengono invece collegati tra loro. Ne risulta dunque la seguente traduzione: «Attirami a te! Noi ti correremo dietro» (cf. Nuova Deodati; Bibbia riveduta).
La differenza può sembrare sottile, ma le implicazioni sono significative. Nel primo caso, la traduzione è: «Trascinami con te, corriamo!» – si suggerisce una dinamica relazionale in cui il «noi» include entrambi gli amanti. La seconda lettura – «Attirami! Dietro a te correremo» – amplia la prospettiva, includendo nel «noi» l’amata insieme alle «vergini» menzionate nel contesto precedente.
Il verbo māšaḵ (“attirare” o “condurre”) è ricco di sfumature. In contesti amorosi, esprime l’idea di un’attrazione che va oltre il semplice movimento fisico. Lo troviamo in Osea 11,4, dove Dio “attira” il suo popolo con “vincoli d’amore”, e in Geremia 31,3, dove l’attrazione divina è conseguenza di un “amore eterno”:
Di amore (wᵉʾahᵃḇaṯ) eterno ti ho amato (ʾᵃhaḇtı̂ḵ); perciò ti ho attirato (māšaḵ) con misericordia“ (31,3).
Questa complessità testuale ha ispirato particolarmente l’esegesi patristica, che vi ha visto prefigurata la relazione tra Cristo e la Chiesa. Come Cristo attira a sé la Chiesa, così questa diventa a sua volta strumento per attirare tutti i popoli.
La dinamica dell’attrazione e della risposta comunitaria si riverbera poi nel resto del verso, dove la gioia dell’intimità personale (“mi ha introdotto il re nelle sue stanze“) si trasforma in una celebrazione collettiva (“gioiremo ed esulteremo in te“). È come se il testo stesso danzasse tra l’individuale e l’universale, tra l’intimo e il collettivo.
Questa ricchezza interpretativa ci ricorda che il testo sacro è come un diamante: ogni sua sfaccettatura rivela nuovi bagliori di significato. La precisione degli accenti masoretici non è un mero esercizio tecnico, ma una guida per penetrare più profondamente nel mistero dell’amore divino-umano che il Cantico celebra.
Ed ecco che il re risponde. Non c’è attesa, non c’è intervallo tra il desiderio espresso e la sua realizzazione. Il testo passa improvvisamente alla narrazione: «Mi ha fatto entrare il re nelle sue stanze» (1,4b). Questa transizione repentina dal desiderio all’azione rivela la prontezza dell’amore regale.
Il termine ebraico ḥeḏer, «stanza», qui al plurale, merita un’attenzione particolare. Sebbene possa indicare stanze di vario tipo, persino quelle del tempio (cf. 1Cr 28,11), in contesti matrimoniali si riferisce specificamente alla camera nuziale, come testimonia il profeta Gioele (Gl 2,16). La Scrittura utilizza questo termine in diversi contesti di intimità domestica: lo troviamo in Es 7,28 per indicare la camera da letto, mentre nelle narrazioni di Sansone e Dalila (Gdc 16,9.12) e del re Davide con Abishag (1Re 1,15) sottolinea sempre uno spazio di profonda intimità interpersonale.
Il plurale “stanze” evoca una suite regale, perfettamente in linea con la regalità. Tuttavia, è importante notare che questa regalità potrebbe essere anche agli occhi dell’amata: è lui che orienta i suoi desideri e le sue attenzioni. Come in un palazzo, dove ogni stanza rivela nuove meraviglie, l’intimità regale si dispiega in una molteplicità di spazi e momenti.
La risposta del re trasforma il desiderio in realtà concreta, il sogno in esperienza vissuta. È un movimento che ricorda le parole di Gesù: «Nella casa del Padre mio vi sono molte dimore» (Gv 14,2). L’ampiezza delle stanze regali diventa metafora della profondità inesauribile dell’amore divino, un amore che non si esaurisce in un singolo incontro ma si rivela progressivamente in “molte dimore” di intimità.
La prontezza regale nel rispondere al desiderio dell’amata ci parla di un amore che non lascia l’amata in attesa, che non gioca con le sue aspettative, ma che risponde con generosità immediata all’invocazione del cuore. Non si tratta di un re che si limita a impartire ordini dall’alto del suo trono, ma che scende personalmente per condurre l’amata nei suoi luoghi più intimi.
La regalità qui descritta non è quella distante e protocollare delle corti, ma quella intima e personale di chi usa la propria autorità per creare spazi di comunione profonda. Le “molte stanze“ non simboleggiano tanto il lusso, quanto la ricchezza delle relazioni che si manifestano in un’intimità variegata.
Eppure, in questa celebrazione dell’amore reciproco, risuona una nota che attraversa i secoli. San Bernardo di Clairvaux e San Francesco d’Assisi, contemplando il Crocifisso, esclamavano tra le lacrime: “L’Amore non è amato!“. È un paradosso struggente che risuona fino ai nostri giorni Proprio per questo, l’affermazione del Cantico assume una forza ancora più dirompente: “A ragione ti si ama!“ (1,4e). Non si tratta di una semplice dichiarazione d’amore, ma di un grido di verità che sfida i secoli. È come se il testo ci dicesse: ecco qualcosa per cui vale la pena vivere, qualcosa di così prezioso da superare ogni altro piacere!
Non servono lunghe argomentazioni per giustificare questo amore. Bastano pochi tratti: «l’aroma dei tuoi profumi», «il tuo nome» come «olio che si spande», e la testimonianza dell’esperienza: «Per questo le fanciulle si innamorano di te!» (Ct 1,3). È un amore che si autogiustifica nella sua stessa esistenza, che trova la sua ragione d’essere nella sua stessa realtà. Come il profumo non ha bisogno di spiegare perché è fragrante, così questo amore non necessita di giustificazioni: la sua verità risiede nel suo stesso esistere.
In un mondo in cui l’amore spesso sembra ridotto a un’emozione passeggera o a un calcolo interessato, il Cantico ci ricorda che esiste un Amore che merita di essere amato, che richiede di essere amato, la cui stessa esistenza è già una ragione sufficiente per essere amato. È un invito a riscoprire la “ragionevolezza“ dell’amore, non nel senso di un freddo calcolo razionale, ma come riconoscimento della sua intrinseca verità e bellezza.
- Il termine מָשְׁכֵ֖נִי presenta il tiphcha (-כ֖-), un accento disgiuntivo di intensità moderata che lo separa dalle parole seguenti.
La parola אַחֲרֶ֣יךָ è marcata dal munach (-ר֣-), un accento congiuntivo forte che la lega alla parola successiva
Il termine נָּר֑וּצָה è caratterizzato dall’athnach (-ר֑-), che segnala la conclusione dell’unità di pensiero, indicando così la fine della prima frase. ↩
Fratello grazie! Per questa stupenda iniziativa, per quello che dice Chi scrive in te: ultimamente sto passando un periodo difficile a causa dell allontanamento da una persona troppo cara ma, risuona la certezza che è Lui che mi tiene per mano e, dopo avermi regalato lo stupore, la bellezza, la tenerezza di un incontro con Lui nella meravigliosa profondità di una relazione di scambio e di crescita di gioia reciproca, adesso mi vuol condurre in altra stanza e continua ad attirarmi e attirando me attira tutti coloro che si disarmano e si abbandonano a questo dolcissimo risucchio d Amore.