Cantico dei Cantici

Ct 1,12: Un banchetto, un profumo, un mistero

Il versetto 1,12 del Cantico dei Cantici ci immerge in una scena in cui il nardo, profumo prezioso, diventa il protagonista di un momento di straordinaria intensità. La fragranza pervade la sala del banchetto, avvolgendo lettori e interpreti in un’atmosfera in cui sensualità e simbolismo si intrecciano con raffinata eleganza. È la donna a guidarci in questo spazio di intimità, portando con sé quell’aroma raro che giunge dall’India himalayana, portando con sé significati profondi.

Mentre il re è sul suo triclinio עַד־שֶׁהַמֶּלֶךְ בִּמְסִבּוֹ
ʿaḏ-šehammeleḵ bimsibbô  
il mio nardo effonde il suo profumo. נִרְדִּי נָתַן רֵיחוֹ׃
nirdı̂ nāṯan rêḥô:  

La figura del re (hammelek) compare qui per la seconda volta nel Cantico – dopo 1,4 – e la ritroveremo ancora in 3,9 e 3,11, sempre accompagnata dall’articolo determinativo, che scomparirà solo in 7,6. La scena si apre con una costruzione linguistica peculiare: la preposizione ʿaḏ seguita dalla particella še, che qui significa «mentre», diversamente da altri passi del Cantico dove indica “finché” (2,7.17; 3,4.5; 4,6; 8,4). Il sovrano è adagiato nel mēsaḇ, termine che appare una sola volta nell’Antico Testamento con il significato di «tavola circolare» o «divano per il banchetto». l termine deriva dalla radice sbb («girare intorno») e designa lo spazio circolare in cui i commensali si disponevano durante i conviti. Successivamente, la letteratura rabbinica associò questo termine tanto ai banchetti quanto ai momenti di intimità, in particolare nel Talmud 1.

Il nardo, in ebraico nard, porta con sé le tracce di un lungo viaggio linguistico. Il suo nome, dal sanscrito naladâ al persiano nârdîn, fino al greco nardos, evoca terre lontane. Pianta che cresce sulle alture dell’Himalaya, la Nardostachys jatamansi produceva un olio tanto prezioso quanto raro. Gli antichi lo consideravano segno di opulenza. I Vangeli ricordano questo profumo esotico. Marco racconta come una donna fransi un alabastro di puro nardo per ungere il capo di Gesù (14,3-9). Giovanni descrive Maria che cosparge i piedi del Maestro (12, 3-7). In entrambi i racconti, il gesto suscita scandalo per lo spreco. Gesù, però, lo esalta come annuncio della sua sepoltura, promettendo che dovunque sarà predicato il Vangelo, si racconterà anche questo episodio.

Nel testo ebraico, il verbo «donare» (natan) associato al profumo si carica di una valenza particolare: esprime quella modalità femminile di vivere l’amore come dono gratuito che ritroveremo in altri passi del Cantico (2,13; 7,14), creando una trama di rimandi che arricchisce il significato della scena.

La presenza femminile al banchetto, documentata nell’iconografia egizia e nelle culture orientali, va oltre la dimensione storica per diventare simbolo di un’intimità più profonda. L’ambiente regale fa da cornice a un incontro in cui la dimensione pubblica e quella privata si fondono, e la solennità del contesto amplifica la preziosità del momento.

Il versetto si inserisce in una sezione (Ct 1,9-2,3) in cui la voce femminile si esprime con particolare intensità creativa e passionale. Se nella prima parte della strofa dominava l’elemento visivo, qui è la dimensione olfattiva a prendere il sopravvento, in un crescendo sensoriale che troverà il suo apice nei versetti successivi.

La tradizione interpretativa ha tessuto intorno a questa scena una ricca trama di significati. Il Midrash Rabbah sul Cantico vede nel “re“ Dio stesso, «il supremo Re dei re, il Santo», nel suo banchetto celeste (ברקיע במסבו), collegando l’immagine a momenti cruciali della storia d’Israele. La tradizione cristiana ha fatto del nardo un simbolo della Chiesa che diffonde il profumo di Cristo, come nell’Apocalisse di Pietro con i suoi angeli dalle “ghirlande di nardo“ (3,10), e, attraverso il collegamento con Lc 7, lo ha associato al pentimento e alla penitenza. Persino Lutero si è confrontato con la densità simbolica di questo banchetto.

Nel Cantico, questo versetto apre una vera sinfonia di profumi. La mirra, sacchetto profumato per l’amata (1,13), si eleva in colonne di fumo (3,6), profuma vesti (4,6) e giardini (4,14), viene raccolta (5,1), gocciola dalle mani (5,5) e profuma le labbra (5,13). Il cipro fiorisce a En-Gedi (1,14) e nel giardino chiuso (4,13), mentre il balsamo arricchisce vesti (4,10), giardini (4,14) e labbra (5,13). L’incenso si unisce alla mirra nel corteo nuziale (3,6) e nel giardino (4,6.14), in una danza di aromi che pervade l’intero poema.

La scena del banchetto, che si aprirà verso paesaggi di straordinaria bellezza, rappresenta il momento cruciale in cui la donna prende l’iniziativa dell’incontro amoroso. Il suo gesto, espresso attraverso il dono del profumo, prepara un incontro che si realizzerà in tutta la sua intensità e purezza.


  1. Shabbat 62b-63a: «Riguardo ai peccati di Gerusalemme e all’abbondanza che esisteva prima della sua distruzione, Rav Yehuda disse che Rav disse: Gli abitanti di Gerusalemme erano persone arroganti. Avrebbero espresso il loro comportamento rozzo con eufemismi. Una persona avrebbe detto a un’altra: Cosa hai mangiato oggi? Pane ben impastato o pane non ben impastato? Vino bianco o vino nero? Seduto su un divano (בְּמֵסַב) largo o su un divano (בְּמֵסַב) stretto? Con un buon amico o un cattivo amico? E Rav Ḥisda disse: E tutti questi alludono alla promiscuità. Sono tutti eufemismi per diversi tipi di donne. Il pane ben impastato si riferisce a una donna che non è vergine; il vino bianco si riferisce a una donna di carnagione chiara; un divano largo si riferisce a una donna grassa; un buon amico si riferisce a una donna di bell’aspetto.

 

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