Cantico dei Cantici

Cavalla fra i carri. Ct 1,9

Al v. 1,9 si apre la quarta strofa (Ct 1,9-14), dove il Cantico ci conduce in un vivace “duetto” tra i due protagonisti: l’Amato esprime la sua ammirazione per la donna, e lei replica esaltando la figura di lui. Sebbene gli scenari evocati spazino dalle stalle del faraone al triclinio reale fino all’oasi di Engaddi, la strofa è compatta e mostra una continuità narrativa ben delineata. Nella prima parte (vv. 9-11) risuonano le lodi del “re”, chiuse dall’intervento del coro; nella seconda (vv. 12-14) la donna risponde con immagini altrettanto evocative, svelando così il nucleo contemplativo di questo breve ma intenso passaggio poetico.

a. Alla puledra tra i carri del faraone ‏לְסֻסָתִי֙ בְּרִכְבֵ֣י פַרְעֹ֔ה
lᵉsusāṯı̂ bᵉriḵḇê p̱arʿō̂  
b. t’assomiglio, amica mia! דִּמִּיתִ֖יךְ רַעְיָתִֽי‎‏
dimmı̂ṯı̂ḵ raʿyāṯı̂:  

Prende ora parola per la prima volta l’amato – che la lettura tradizionale ha identificato con Salomone – e paragona la donna a una giumenta tra i carri del faraone (v. 1,9a), dando così forma a un’immagine di vigore e nobiltà. Nel contesto antico, il cavallo evocava prestigio e forza militare: l’Egitto era rinomato per i suoi destrieri, impiegati in spedizioni reali e cerimonie fastose. L’amata, così lodata, assume un’aura di fierezza e grazia: uno spettacolo che affascina, come la sfilata di un animale ben addestrato in un esercito sontuoso.

Negli studi che commentano il passo, il sostantivo ebraico sûsâ, «giumenta», è analizzato con minuzia. Alcuni rilevano una desinenza antica (susāṯı̂), altri sottolineano che i LXX hanno reso il termine come «mia cavalla». Poco importa la sfumatura esatta: l’effetto è quello di un elogio di rara intensità, dove la donna si rivela come forza che affascina. Le ruote dei carri, trainate da uno splendido animale, suggeriscono una cornice di potere: appare un esercito organizzato, pronto a compiacere il faraone. In mezzo a tale scenario, l’amata è celebrata come un esempio di bellezza e dinamismo. Nulla di eccessivamente bellicoso, semmai una nobiltà difficile da ignorare.

La potenza simbolica si ritrova anche altrove. Chi legge i papiri dell’antico Egitto nota un analogo richiamo al cavallo, elogiandone l’armonia. In ambito greco, Teocrito non teme di accostare Elena a una giumenta dal passo sicuro. Nel mondo beduino, canti e poesie assegnano al destriero un’aura di mistero. Il Cantico fa sua questa antica passione per l’eleganza animale, collocando la donna in un contesto di intensità evocativa. Che si tratti di puro confronto estetico o di una velata allusione alla fecondità, la giumenta si staglia come immagine di forte impatto.

Alcuni interpreti leggono in questa metafora un sottinteso erotico, vedendo nel fascino della puledra un modo per suscitare il desiderio. Tuttavia, parecchi autori preferiscono rimarcare il tema dell’armonia e dello splendore, lasciando in secondo piano i possibili riferimenti alla seduzione. Qualcuno, poi, richiama persino episodi storici in cui cavalle e stalloni si agitavano nel trambusto degli eserciti: racconti che colorano l’immaginario di tinte vivide, senza necessariamente ridurre il paragone biblico a uno schema univoco.

La ricchezza interpretativa si coglie pure nell’appellativo raʿyāṯı̂, «amica mia» (v. 1,9b). Non un banale titolo, bensì un segno di confidenza: la donna non è un soggetto passivo, ma la compagna a cui l’uomo si rivolge con rispetto e dolcezza. Tale termine ritorna più volte lungo nel poema (cfr. Ct 1,9.15; 2,2.10.13; 4,1.7; 5,2; 6,4), rendendo evidente che ciò che unisce i protagonisti è una relazione profonda, non limitata a un livello formale. Il legame esprime prossimità e condivisione, come tra esseri che si sostengono vicendevolmente.

Il Cantico attinge a immagini ora pastorali, ora regali. Da un lato, la donna pascola il gregge (1,7-8); dall’altro, brilla come un animale nobile davanti al potere del faraone (1,9). Questo salto dagli ovili alla corte illustra come la poesia biblica riesca a oscillare tra ambienti contrastanti senza stravolgere l’unità del racconto amoroso. I toni cambiano, ma il sentimento rimane lo stesso, avvolgendo la scena con un velo di meraviglia. In un verso si respira l’odore della terra e delle capre, mentre nel seguente echeggia il clamore di carri addobbati a festa.

Un dettaglio grammaticale ha il suo rilievo: la forma plurale «carri» indica un esercito ben fornito, suggerendo un impatto visivo forte. L’idea di uno schieramento imponente fa da contraltare all’immagine intima della «pastorella» (cfr. Ct 1,7-8) che diventa protagonista di un elogio sfarzoso. Ciò conferisce un tocco di fiaba, dove dal campo profumato di fiori si giunge a un palazzo ornato d’oro. In questa fusione, l’amata non risulta mai soffocata: anzi, il paragone equestre ne esalta la singolarità.

Per molti, la similitudine sprigiona una vena di audacia. Eppure, nelle culture che hanno influenzato l’autore sacro, paragonare una donna a un cavallo di pregio non era inusuale. Significava accostarla a un simbolo di eccellenza e prestanza. Dal punto di vista biblico, quella lode racchiude anche la consapevolezza che la bellezza, a volte, si esprime in forme antiche, capaci di mettere insieme passato e futuro. La donna è resa nobile come un destriero scelto con cura.

L’enfasi su termine raʿyāṯı̂, «amica mia, rende percepibile il calore di questo legame. Non un mero gusto estetico, ma un reciproco compiacimento nel riconoscersi preziosi. Allo stesso tempo, la rarità di tale vocabolo nel Cantico sottolinea la volontà poetica di evidenziare un rapporto in cui nessuno domina, bensì entrambi si scoprono complici e affiatati. Qui la poesia incontra la teologia in modo discreto: chi legge sente un’eco di amicizia autentica, in cui la donna è la controparte amata, non un semplice ornamento di corte.

Nel complesso, la giumenta che sfila fra i carri del faraone lascia un ricordo vivido. Il clangore delle ruote si mescola al fruscio di finimenti pregiati, e lei, libera maestà, avanza come un gioiello del creato. Il passaggio fulmineo dal paesaggio agreste a quello sfarzoso traduce il potere del poeta di plasmare la realtà. Poche parole bastano a portare la sua amata in cima a un corteo glorioso, presentandola come un mistero di grazia e di energia. Così, il verso antico risuona ancora, mostrandoci come la passione possa fondersi con la bellezza più piena. E nel silenzio che segue, resta l’immagine di una donna che cavalca libera, mentre le armature scintillano attorno a lei, cedendo il posto a una lode che non si spegne.

 

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