Maria Madre di Dio, colei che fa unità: Lc 2,16-21

Nella solennità di Maria madre di Dio il brano evangelico è quello già proposto per la messa dell’aurora di Natale, Lc 2,16-21. I protagonisti sono i pastori e Maria. Dal momento che la pericope evangelica è proclamata nella solennità di Maria, Madre di Dio, ci soffermeremo sul suo personaggio che, da un punto di vista narrativo, è complementare a quello dei pastori. Infatti se quest’ultimi sono presentati da Luca come il paradigma degli evangelizzati che si fanno evangelizzatori, Maria incarna la dimensione della contemplazione.

La verità non sta nella separazione, ma nell’unità tra i due, pur essendo chiaro che la priorità è data da Luca proprio alla contemplazione, che è fondamento della testimonianza.

Custodiva nel cuore…

L’evangelista annota, a proposito di Maria, poche ma dense parole: «Maria, da parte sua, custodiva tutte queste cose, meditandole nel suo cuore» (v. 19). È necessario analizzare il versetto proprio parola per parola.

Anzitutto la figura di Maria. Quello che il lettore, fino a questo punto, sa di lei, è veramente molto ricco e stimolante; infatti l’ha contemplata nell’annunciazione come persona intelligente, che si interroga, che non antepone i propri piani a quelli di Dio, che si mette a disposizione del progetto divino con piena disponibilità e radicale obbedienza. Ha poi contemplato la sua figura nel salire ‘in fretta’ sulla montagna di Giuda per accogliere il segno datole dall’angelo e per evangelizzare la casa di Elisabetta. L’ha poi udita cantare le meraviglie di Dio ed esaltare la sua misericordia verso la pochezza della sua serva.

Il quadro è successivamente cambiato, e il lettore vede Maria nei disagi di un viaggio, quando è ormai prossima al parto, e poi nel rifugio di fortuna dove dà alla luce il suo “primogenito”, accudendolo con tutto il suo amore e la sua tenerezza di madre. Ora è chiaro che questo v. 19, con il ritratto di lei, nella sua interiorità profonda, ha il ruolo di sintesi di tutto ciò.

Del suo stare accanto al bambino, l’evangelista afferma che custodiva tutte queste cose. Il custodire, che sarà ripreso ancora per Maria in Lc 2,51, è l’atteggiamento di chi, avendo scoperto qualcosa di prezioso, lo vuole proteggere, vegliandolo. Si custodisce ciò che è importante; Maria sta dunque raccogliendo nel suo cuore tutti gli eventi in cui è stata coinvolta, perché riconosce che lì si dà il tesoro del manifestarsi dell’amore di Dio. E se lo custodisce, significa che essa ritiene tutto ciò una risorsa per il futuro, per il cammino della sua esistenza (e perché no, anche di tutto il popolo di Dio, come lei ha già cantato nel Magnificat: «Ha soccorso Israele, suo figlio/servo»).

Vi è poi un’ulteriore sfumatura, in questo custodire, che è in linea con l’altro verbo, al participio, e cioè quel symbállusa su cui torneremo più avanti. Nei testi apocalittici il verbo custodire viene impiegato allorquando il personaggio del racconto si trova o di fronte a parole oscure o di fronte a realtà comunque complesse, di difficile decifrazione (cfr. Dn 4,28 LXX). Di conseguenza l’atto del custodire esprime il movimento dinamico del penetrare il senso, del cercare il significato.

Inoltre, il «custodire nel cuore» è spesso parallelo al «fare memoria», dove la memoria non è il mero ricordo, ma nella Bibbia significa richiamare continuamente al proprio cuore e alla propria mente la bontà delle azioni di Dio e delle sue promesse. D’altra parte, il fare memoria è un riattualizzarla di continuo, nella quotidianità, nei gesti di ogni giorno. Il custodire, nei testi sapienziali, implica, infatti, anche il momento del mettere in pratica il messaggio ricevuto (cfr., ad esempio, Sir 39,1-3; Sal 119,11) e, in tal senso, il custodire è equivalente all’osservare (è il senso del verbo ebraico šāmar «osservare).

Il luogo di questa custodia è il cuore. Qui non bisogna intendere il termine kardía solamente come il luogo dell’affettività ed emotività; esso, invece, è per la concezione biblica il centro della persona, il luogo della sua totalità che si esplica nella concretezza delle sue scelte, nella libertà di decisione e di attuazione di quanto liberamente determinato. Il cuore di Maria non è allora soltanto un suo mondo interiore, in definitiva inaccessibile agli altri, e tanto più al lettore, ma è un modo concreto di vivere, è un esistere mosso e plasmato da quel tesoro che ella custodisce.

Appare quindi un ritratto grandioso di Maria, come colei che non si limita a serbare passivamente nel suo personale ricordo le parole e i fatti vissuti, ma come colei che attivamente ne penetra il senso, ne mette in risalto il valore. Proprio per questo, il ritratto di Maria è quello di una fede che cresce, e che progredisce nella comprensione del progetto divino su di lei e su tutta l’umanità. In lei, davvero, il seme della Parola cresce e porta molto frutto!

… componendo in unità

Il secondo verbo che descrive l’atteggiamento di Maria è «meditare» che rende il termine greco symbállein. Ne risulta il ritratto di una persona certo molto raccolta, silenziosamente dedita alla preghiera; e questo è vero, ma resta pur vero anche che il verbo usato da Luca ha un significato molto più forte. Infatti il verbo greco (symbállein) letteralmente significa mettere insieme, avvicinare parti separate, incastrare tra loro pezzi diversi come in un puzzle.

Maria non si limita a meditare, nel qual caso il verbo sarebbe abbastanza simile al custodire, già precedentemente enunciato. Lei, invece, è impegnata nell’attività interiore di fare unità tra brandelli di esperienza, tra cose tanto disparate, come ad esempio le parole dell’angelo con i disagi del viaggio, il canto angelico e l’umiltà del luogo della nascita di quel figlio, la gioia incontenibile dei pastori di fronte alla povertà di un segno quale quello di un bambino avvolto in fasce e posto in una mangiatoia.

Maria deve davvero comporre in unità cose tanto antitetiche; ma per comporre in unità occorre che ci sia anche una cornice in cui inserire i frammenti del vissuto. Questa cornice che permette a Maria di comporre il puzzle del suo vissuto, è la parola di Dio, che manifesta il suo disegno di salvezza sull’umanità. Ma per comporre il puzzle occorre anche un profilo, un disegno che dia unità ai frammenti. Per Maria questo catalizzatore di unità è appunto quel Bambino che i pastori sono venuti a visitare, e che lei sa essere il più grande dono di Dio all’umanità.

Allora se Luca, prima di seguire nuovamente il ritorno dei pastori alle loro greggi, sosta sulla figura di Maria, è perché egli ritiene che sia importante per comprendere meglio il mistero di quel bambino. Maria suggerisce silenziosamente al lettore come si deve avvicinare alla culla di Betlemme: cercando un’unità nella sua vita, senza disperderla in mille rivoli di conoscenze, incontri ed emozioni, ma centrandola su un perno solido. Il perno solido è stato offerto dalla parola angelica pochi versetti prima: «Oggi, nella città di Davide, è nato per voi un Salvatore, che è Cristo Signore» (v. 11).

Questo quadro che Luca ci consegna è all’origine di tutta una tradizione iconografica: quella orientale raffigura Maria, la theotókos (= Madre di Dio), coricata su un fianco e raccolta in meditazione, avvolta nella “mandorla” della gloria divina; in modo più descrittivo, anche la pittura occidentale ama sostare su questo particolare lucano, rappresentando la Madre inginocchiata accanto al bambino, in atteggiamento di preghiera.

A tutti i lettori del Blog auguro un Anno ricco di benedizioni e consolazioni. La Vergine Maria vi assista e vi accompagni.

Buon Anno!

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