I Magi: Mt 2,1-12

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La visita dei Magi è una storia esclusiva della narrazione dell’infanzia di Gesù “secondo Matteo”. Il lettore non fatica a cogliere in filigrana l’intenzione dell’evangelista di fare di questo episodio un’anticipazione del mistero pasquale, dove si scontrerà l’accoglienza credente e il rifiuto di Gesù. I Magi con il loro viaggio diventano modello dell’itinerario di fede del discepolo, che giunge a riconoscere in Gesù, il figlio di Maria, il suo Signore; all’opposto, l’atteggiamento di Erode si configura come il paradigma dell’incredulità e dell’opposizione alla lieta notizia.

Venuti dall’Oriente

Matteo introduce il suo racconto tramite un nesso cronologico con il passo precedente, espresso dal genitivo assoluto (letteralmente: «Nato Gesù a Betlemme di Giudea», v. 1a) e a questa nascita collega anche la venuta dall’Oriente di personaggi abbastanza misteriosi, come i Magi. Propriamente, il narratore non descrive quanto è avvenuto, e come, per esempio, essi, nel loro scrutare le stelle, abbiano colto un’indicazione divina sulla nascita di un re. Piuttosto il lettore se li vede comparire all’improvviso, nei pressi di Gerusalemme. In tal modo resta un’aura di mistero, di elemento non chiarito e non chiaribile, che deve condurlo a comprendere come Dio operi misteriosamente nel cuore degli uomini, attirandoli a sé.

Non si precisa, inoltre, da dove provengano, ma si dà soltanto la vaga indicazione dell’Oriente quale luogo da cui sono partiti. Perciò tutte le ipotesi sulla loro patria (l’Arabia, la Persia, Babilonia…) sono destinate a rimanere tali; ciò però comporta un vantaggio: il lettore può facilmente identificare nei Magi tutte quelle persone che giungono alla fede attraverso una seria ricerca sapienziale, attraverso la contemplazione del libro della natura con il cuore disponibile e aperto. Questo aspetto del loro scrutare i segni della natura come testimonianza del Creatore, lo si può dedurre dal contesto, per cui essi, in definitiva, sembrano essere degli astronomi/astrologi.

Come nota va detto che nell’antichità gli eventi astronomici si ritenevano collegati a eventi storici, quasi che il cielo annunciasse così quanto sarebbe avvenuto sulla terra degli uomini. Che siano comunque persone provenienti dal mondo dei gentili, lo si deduce non solo dal loro venire da Oriente (sarebbero potuti venire dall’Oriente anche dei giudei della diaspora babilonese o persiana), ma dalla loro domanda: «Dov’è il re dei Giudei che è nato?» (v. 2), che sulla bocca di un ebreo sarebbe suonata in altro modo: «Dov’è il re d’Israele?». Peraltro c’è da segnalare qui uno dei tratti anticipatori della passione, perché l’essere “re dei Giudei” è il capo d’accusa principale, così come recita anche il cartiglio della croce (cfr. Mt 27,37).

Il lettore poi sa, per così dire, più dei protagonisti e, nella loro affermazione di avere scorto la stella al suo sorgere, vi coglie un’allusione messianica che rimanda alla profezia di Balaam (cfr. Nm 24,17), profezia che però i Magi non mostrano di conoscere. Va segnalato qui che nella traduzione greca dei Settanta il termine ebraico «scettro» – «che sorge in Israele» – è tradotto con «uomo», il che rende ancora più facile un’identificazione messianica.

Concludendo, dalle parole dei Magi si comprende che il loro viaggio è originato da una ricerca dei segni di Dio nel mondo creato e dalla disponibilità a credere che la vita non si risolve in giochi di potere e di interesse, ma nel mettersi in ricerca del mistero. Il loro guardare in alto significa, in sostanza, un cercare una verità sulla propria vita e un chiedersi che cosa il Cielo voglia dire e chiedere agli uomini.

A consulto in Gerusalemme

Il passare dei Magi a Gerusalemme evidenzia una verità teologica: il Dio che opera nella storia e salva non può essere scoperto soltanto attraverso una ricerca sapienziale, ma esige l’accoglienza della sua rivelazione, di cui le Scritture d’Israele sono l’attestazione. Vediamo perciò i Magi a consulto, in ascolto di quanto gli scribi dicono loro, in base ad un argomento scritturistico. L’espressione matteana «scribi del popolo» è un caso unico in tutto il Nuovo Testamento (solitamente si parla di ‘anziani del popolo’) e ha la funzione di dare rappresentatività a costoro e autorevolezza alle loro parole.

La loro risposta rimanda al passo profetico di Mi 5,1.3, combinato con 2 Sam 5,2. In questa combinazione c’è una chiara impronta dell’arte targumica di Matteo, cioè del parafrasare liberamente, adattando al contesto e ai fatti un passo profetico, già letto in precedenza in prospettiva messianica. È interessante notare come i Magi ascoltino e accolgano attentamente tutto ciò, per dare al loro viaggio una meta più precisa. Infatti, dopo la sosta a Gerusalemme, il loro viaggio riprende, mosso proprio dalla parola sicura delle Scritture, e non più dall’incerta luce degli astri, anche se poi la stella riapparirà. Certamente la loro figura è molto dinamica, in un’alternanza continua di sosta e di cammino.

Una gioia grandissima

Dopo essere dunque ripartiti, i Magi si dirigono verso Betlemme. È qui che Matteo segnala il ricomparire della stella (v. 9), quasi a suggerire l’incontro tra la sapienza che cerca autenticamente e la fede illuminata dalla Parola. È di questa idea teologica che è al servizio l’esagerazione matteana, che precisa come la stella li guidi puntualmente al luogo dove si trova il bambino. L’esagerazione, però, è sempre minore di quella degli apocrifi; basti pensare che il Protovangelo di Giacomo parafrasa così il testo del primo evangelista:

Ed ecco la stella che avevano visto in Oriente li precedeva, finché entrarono nella grotta e si fermò sopra il capo del bambino.

Per Matteo non c’è né grotta, né stella tanto clamorosa, ma una realtà più importante, e cioè la gioia grandissima che pervade i Magi (v. 10: «Al vedere la stella, provarono una gioia grandissima»). In questa gioia l’evangelista segnala il frutto del vangelo nei pagani, i quali, proprio dall’esperienza della gioia, giungono a riconoscere la verità di quanto da loro accolto con fede. È proprio questa gioia grandissima che consente di riconoscere interiormente, in quel bambino, quanto essi hanno così a lungo cercato.

L’atto di venerazione al bambino culmina con l’omaggio dell’oro, dell’incenso e della mirra, che corrispondono alla profezia di Is 60,6, in cui si prefigura il futuro pellegrinaggio delle nazioni a Sion (= Gerusalemme) alla fine dei tempi. La tradizione ha attribuito ai singoli doni il valore simbolico della regalità (oro), della divinità (incenso) e della passione (mirra) di Gesù. In Oriente, l’incenso e la mirra erano aromi o farmaci nell’ambito delle cerimonie nuziali o delle pratiche magiche.

Tornarono per un’altra strada

L’evangelista non perde occasione per ribadire come sia Dio a guidare gli eventi collegati alla nascita di Gesù. Tale guida si manifesta nei vari modi, dai segni della natura, alle parole della Scrittura, alle emozioni più profonde e vere del cuore (la gioia grandissima dei Magi), al sogno. Cosi, mediante un sogno, i Magi vengono avvertiti di non far ritorno da Erode, ma di tornare in patria per un’altra via (v. 12).

Questa annotazione non vuole essere soltanto cronachistica, ma nel momento stesso in cui mette in rilievo un clima di minaccia e di conflitto (sfociante nella strage degli innocenti), vuole ricordare al lettore che l’aver incontrato e riconosciuto Cristo inaugura una via nuova. Così sarà “altra” la vita dopo l’incontro con chi ha suscitato tanta gioia nel cuore.

Nel carcere del potere

All’opposto della figura dinamica e luminosa dei Magi, con la loro disponibilità e gioia, troviamo la figura statica e tetra di Erode, circondato dal suo entourage. Egli è presentato da Matteo come simbolo dell’uomo attaccato al potere e che fa del potere il motore segreto di tutta la sua esistenza, un “dio” cui sacrificare tutto e tutti.

Tutto questo però non si manifesta apertamente, ma si maschera nella menzogna, nel gioco subdolo di una coscienza che non si interroga sul bene e sul male, ma vuole solo nascondere le proprie reali intenzioni. Per un personaggio siffatto, la notizia della nascita del re dei Giudei non può che essere motivo di turbamento, di disagio (v. 3). Purtroppo egli non è il solo, perché vediamo tutto un mondo di cortigiani e di depositari del potere, politico o religioso, che non esultano a tale notizia, ma ne provano solo timore. Tutti costoro, e in primis Erode, risultano terribilmente statici, fissi nelle loro certezze, nei loro palazzi, aggrappati al loro potere, incapaci di mettersi in movimento, alleati con le forze della stasi, della morte. Non a caso, in questo atteggiamento Matteo vede una prefigurazione di quello che sarà l’atteggiamento dei responsabili del popolo in occasione del processo contro Gesù.

Stupisce anche quanto avviene in occasione della riunione plenaria per consultare le Scritture: l’interpretazione consegnata dagli scribi del popolo è corretta, e data all’unisono; ma nessuno di loro fa un passo per prendere sul serio quanto hanno detto, per mettersi in cammino verso Betlemme. L’umiltà di Betlemme è come un’accusa alla loro mania di grandezza!

Il v. 8 poi introduce nuovamente la figura di Erode, che maschera il suo progetto omicida dietro un’apparente disponibilità di fede e di credito dato alle Scritture. È una dolorosa caricatura dell’uomo dedito al culto del potere, che vorrebbe spacciarsi per veritiero, mentre è menzognero. Certamente, però, il lettore avverte anche la contraddizione interna e la mancanza di realismo che l’uomo idolatra del potere coltiva dentro di sé. Se egli non crede alle Scritture non ha ragione di inquietarsi, ma se crede sarebbe insensato opporsi al piano di Dio.

Con questa contraddizione il lettore è consegnato a se stesso e alla domanda se egli si ispiri allo stile di Erode – e cioè alla bramosia del potere e dell’apparire – o, come i Magi, si ispiri alla sincera ricerca della volontà di Dio, condizione necessaria per poter sperimentare una gioia senza limiti!

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