Cristo e Cristo crocifisso

Nella terza domenica di quaresima dell’anno B è proposto, come seconda lettura, un brano celebre di Paolo tratto dalla prima lettera ai Corinzi (1 Cor 1,22-25).

Paolo presente la croce come antidoto all’idolatria e alle false ideologie. Contro la tentazione di una fede fondata su segni o puramente razionale, Paolo invita i suoi lettori e ascoltatori ad abbracciare l’unico segno del Padre: il Figlio crocifisso.

Fratelli, ²² mentre i Giudei chiedono segni e i Greci cercano sapienza, ²³ noi invece annunciamo Cristo crocifisso: scandalo per i Giudei e stoltezza per i pagani; ²⁴ ma per coloro che sono chiamati, sia Giudei che Greci, Cristo è potenza di Dio e sapienza di Dio. ²⁵ Infatti ciò che è stoltezza di Dio è più sapiente degli uomini, e ciò che è debolezza di Dio è più forte degli uomini.

Il brano si gioca su una duplice antitesi: quella tra sapienza e stoltezza e quella tra potenza e debolezza. La croce parla di una sapienza diversa, una sapienza intessuta di condivisione, abbandono, rispetto della libertà dell’altro. Mentre i Giudei chiedevano a Dio di provare la sua presenza nella storia con segni grandi come quelli raccontati dai padri, i Greci lo sfidavano a spiegarsi in un linguaggio chiaro, razionale e convincente. Ad entrambi Dio dona la croce: essa “non divide il mare” perché il popolo possa essere salvato dai nemici e non costruisce sistemi filosofici per persuadere.

La croce è una sapienza umile

La croce è la sapienza di chi non si impone. Di conseguenza non reagisce alla violenza con la violenza, ma è di chi abbraccia il proprio destino trasformandolo in offerta. La croce non invoca la vendetta, neppure quella limitata dalla legge del taglione… La croce sfida ad un perdono totale e gratuito.

La croce è l’impotenza potente di Dio

Il Crocifisso è impotente: legato o inchiodato al legno non può muoversi, fatica persino a respirare e deve attendere solo la morte. Non può scendere dal legno ed è esposto allo sguardo e all’insulto di tutti. Eppure, Paolo afferma, proprio quest’impotenza rivela la potenza di Dio: Dio non ha liberato il figlio dalla croce, ma lo ha risuscitato dalla morte.

Per Paolo, che era stato un fariseo ortodosso, non è stato facile accettare la croce. Nell’incontro con il Risorto ha compreso che la croce non può essere capita, ma soltanto creduta. Per questo ha fatto della croce il suo vangelo, il centro del suo annuncio e della sua vita: «Quanto a me invece non ci sia altro vanto che nella croce del Signore nostro Gesù Cristo, per mezzo della quale il mondo per me è stato crocifisso, come io per il mondo» (Gal 6,14).

La contemplazione della croce ha trasformato Paolo rendendolo credente, apostolo e padre.

Sotto la croce Paolo è diventato credente

Paolo dalla croce apprende l’amore senza limiti del Figlio: «Mi ha amato e ha dato se stesso per me» (Gal 2,10). È un amore che lo affascina e commuove; un amore tanto vasto e profondo da «sorpassare ogni conoscenza (Ef 3,17-19). La croce del Figlio diviene per lui il punto di partenza per penetrare nel cuore del Vangelo, nel mistero stesso dell’amore del Padre. La croce rivela il Padre come il Dio «per noi» poiché «egli non ha risparmiato il proprio Figlio ma lo ha dato per tutti noi» (Rm 8,31-32). Infine, la croce fonda la fede di Paolo nella consapevolezza che nulla, neppure la morte, «potrà mai separarci dall’amore di Dio, in Cristo Gesù nostro Signore» (Rm 8,39).

Sotto la croce Paolo scopre la sua vocazione di apostolo

L’amore «spinge» (2 Cor 5,14) Paolo a percorrere i sentieri del mondo, perché ogni creatura possa conoscere la salvezza operata nella morte e risurrezione di Gesù. La croce lo conduce ad abbracciare la debolezza e la povertà del Crocifisso (cfr. 1 Cor 1,23-24; 2 Cor 6,10; 8,9) segnando il suo corpo e il suo destino: «porto le stigmate di Gesù nel mio corpo» (Gal 6,17). Il paradosso della croce determina il suo metodo missionario: annuncia Cristo con la stoltezza di una predicazione che nulla concede alle pretese del vanto umano – sia esso di marca giudaica o greca (1 Cor 1,22-23) – nella libertà da ogni desiderio di controllo e di successo: «ti basta la mia grazia: la mia potenza si manifesta pienamente nella debolezza» (2 Cor 12,9).

Sotto la croce Paolo scopre una nuova paternità

Scrivendo ai Corinzi Paolo afferma di sé: «Potreste infatti avere anche diecimila pedagoghi in Cristo, ma non certo molti padri: sono io che vi ho generato in Cristo Gesù mediante il Vangelo» (1 Cor 4,15). Egli porta come «assillo quotidiano la preoccupazione per tutte le chiese» (2 Cor 11,28), mentre soffre «i dolori del parto finché non sia formato Cristo» in coloro che chiama figli suoi (Gal 4,19).

Con la parola, l’esempio, la preghiera e la generosità dell’amore si mette a servizio dei credenti (2 Cor 4,5) perché facciano propri «i sentimenti che furono in Cristo Gesù»: svuotamento, obbedienza, abbandono (Fil 2,5-6).

Sotto la croce Paolo si è ritrovato una vita radicalmente trasfigurata dal volte di Cristo e Cristo crocifisso.

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