Il saggio Ben Sira – chiamato alla greca Siracide, cioè discepolo di Sirach – pubblicò il suo lavoro probabilmente intorno agli anni 180 a.C. a Gerusalemme. Siamo in una fase delicata della storia d’Israele; infatti, dopo le conquiste di Alessandro Magno e la nascita dei regni ellenistici, molti israeliti rimasero sedotti dalla nuova cultura greca. Inizialmente ci fu un periodo di conoscenza reciproca, ma poi in Israele si produsse un vero scontro culturale perché molti giudei annacquarono o addirittura rinnegarono la loro fede e le tradizioni dei padri.
In questa cornice storica si inserisce il brano scelto come prima lettura di questa domenica, Sir 15,15-20. Ben Sira invita i suoi discepoli che sta istruendo a scegliere. Dio, infatti, ha fatto all’uomo il grande dono della libertà, grazie alla quale ha la possibilità di optare come orientare la propria vita.
¹⁵ Se vuoi osservare i suoi comandamenti,
essi ti custodiranno;
se hai fiducia in lui, anche tu vivrai.
¹⁶ Egli ti ha posto davanti fuoco e acqua:
là dove vuoi tendi la tua mano.
¹⁷ Davanti agli uomini stanno la vita e la morte, il bene e il male:
a ognuno sarà dato ciò che a lui piacerà.
¹⁸ Grande infatti è la sapienza del Signore;
forte e potente, egli vede ogni cosa.
¹⁹ I suoi occhi sono su coloro che lo temono,
egli conosce ogni opera degli uomini.
²⁰ A nessuno ha comandato di essere empio
e a nessuno ha dato il permesso di peccare.
Proprio perché non è sempre facile educare la propria libertà, il Signore ha donato al suo popolo la Legge come riferimento imprescindibile non solo per corrispondere al suo amore, ma per orientare al bene autentico il proprio cammino. Anche il pio ebreo ed in particolare i giovani discepoli in formazione, dinanzi alla possibilità di rinunciare alla propria identità per seguire cammini più attraenti, sono chiamati a scegliere se osservare o rifiutare i comandamenti, mantenendosi fedeli o rinnegando la legge del Signore.
Dio stesso pone Israele, ed in particolare ogni singolo suo figlio, dinanzi al fuoco o all’acqua, indicando così esattamente i due opposti, il bene e il male, lasciando nel dono della libertà la scelta di stendere la mano dove meglio si crede. È del tutto evidente che una mano posta sul fuoco rischia di ustionarsi, mentre quella posta sull’acqua si purifica e si pulisce, ma la decisione è lasciata alla libertà dell’uomo. Le successive categorie di vita e morte, richiamate da Ben Sira, sono ben conosciute all’ambiente biblico, anzi si rifanno alla tradizione ebraica ed in particolare a quella deuteronomica: proprio nel testo dell’alleanza di Moab (cfr. Dt 30) esse sono associate alla benedizione e maledizione di Dio ed anche in quel contesto la scelta è affidata alla responsabilità d’Israele.
Vita e morte non sono da intendersi in senso biologico, o come un premio o castigo del Signore, ma rimandano alla categoria fondamentale dell’identità d’Israele che già nel dramma dell’esilio aveva rischiato di scomparire per sempre: scegliere la vita significa seguire la legge del Signore e mantenere viva la relazione d’alleanza con lui e, di conseguenza, la propria identità di popolo eletto; decidere invece per la morte vuol dire affidarsi ad altre culture e stili di vita, che fanno perdere l’identità d’Israele, riportandolo ad essere un popolo come tutte le altre nazioni.
Il Signore resta comunque il giudice, o meglio il criterio stabile per ogni giudizio: egli è il bene e propone all’uomo di fare il bene («A nessuno ha comandato di essere empio e a nessuno ha dato il permesso di peccare», v. 20). Ma l’uomo è libero di scegliere, sapendo però con certezza che il male porta alla rovina.