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Ritornate a me con tutto il cuore

Gioele 2,12-18

Tra i libri più misteriosi ed enigmatici dell’Antico Testamento c’è quello del profeta Gioele, da cui è tratta la prima lettura della liturgia del Mercoledì delle Ceneri.

Così dice il Signore: ¹² «Ritornate a me con tutto il cuore, con digiuni, con pianti e lamenti. ¹³ Laceratevi il cuore e non le vesti, ritornate al Signore, vostro Dio, perché egli è misericordioso e pietoso, lento all’ira, di grande amore, pronto a ravvedersi riguardo al male». ¹⁴ Chi sa che non cambi e si ravveda e lasci dietro a sé una benedizione? Offerta e libagione per il Signore, vostro Dio. ¹⁵ Suonate il corno in Sion, proclamate un solenne digiuno, convocate una riunione sacra. ¹⁶ Radunate il popolo, indite un’assemblea solenne, chiamate i vecchi, riunite i fanciulli, i bambini lattanti; esca lo sposo dalla sua camera e la sposa dal suo talamo. ¹⁷ Tra il vestibolo e l’altare piangano i sacerdoti, ministri del Signore, e dicano: «Perdona, Signore, al tuo popolo e non esporre la tua eredità al ludibrio e alla derisione delle genti». Perché si dovrebbe dire fra i popoli: «Dov’è il loro Dio?». ¹⁸ Il Signore si mostra geloso per la sua terra e si muove a compassione del suo popolo.

Contrariamente ad altri testi non possediamo alcuna informazione a riguarda del profeta e del pericolo storico in cui visse. Gli studiosi procedono un po’ per deduzione: nel libro non c’è alcuna menzione della monarchia e il profeta parla solo della tribù di Giuda; il riferimento ai Greci in 4,6 (ḇᵉnē hayyᵉwānim) e la presenza di citazioni tratte dal profeta Malachia hanno indotto gli esegeti a ipotizzare come data del libro il periodo post-esilico. È il momento in cui la comunità fatica a ricostruire se stessa, a ritrovare la propria identità intorno ad un tempio ricostruito come un’immagine sbiadita del tempio salomonico. Su questo sfondo il nome “Gioele” è esso stesso una sorta di professione di fede: «Il Signore è Dio» (yôʾēl), o come suggeriscono alcuni studiosi: «Dio è Dio».

Sta in questa tautologia la sintesi del messaggio di Gioele (Dio è Dio). Infatti, affermare che «Dio è Dio» è fare memoria della sua Presenza salvifica nella storia del popolo dell’alleanza e testimoniare che Israele esiste solamente per questa grazia: «Il Signore è un rifugio al suo popolo, una fortezza per gli Israeliti» (4,16).

Da un fatto di cronaca

Il libro si apre menzionando un evento di cronaca, un disastro naturale dovuto all’invasione delle cavallette. Esso è interpretato come un castigo di Dio per i peccati del popolo. Davanti a questa sciagura il profeta indica la necessità di intraprendere un cammino di conversione, riconoscendo che, persino in questo dramma, «Dio è Dio». Un fatto di cronaca (allora le cavallette, oggi potrebbe essere il coronavirus) diviene dunque l’occasione opportuna per guardare oltre, per reimpostare la vita personale e comunitaria attorno a ciò che davvero conta: la visita di Dio.

Il giorno del Signore

Gioele coglie l’occasione per parlare del “giorno del Signore” che nel linguaggio profetico viene impiegato per indicare un intervento decisivo e straordinario di Dio: i profeti sottolineano che sarà un giorno di tenebre (Am 5,18-20) e di tristezza. Gioele parte da questa concezione e la sviluppa innestando nella dimensione drammatica (cfr. 2,1.11; 4,14-17) il momento dello svelamento di qualcosa di inaspettato. Infatti, il «giorno del Signore» non sarà prerogativa d’Israele e non rappresenterà il giorno del trionfo delle divisioni umane di razze, popoli e culture. Esso sarà il momento in cui il cuore di tutti coloro che hanno saputo essere fedeli a Dio sarà rivelato. Questa consapevolezza trasforma il dramma in opportunità di grazia (kairós), in tempo opportuno, un tempo donato per risollevare lo sguardo e imparare a leggere la vita nella prospettiva di Dio.

Un strana ribellione

Per comprendere bene il testo proposto dobbiamo inserirlo nel suo contesto. Anticipando una tematica moderna, il profeta enfatizza l’interrelazione tra il “grido della terra” e il “grido del povero”:

A te, Signore, io grido, perché il fuoco ha divorato i pascoli della steppa e la fiamma ha bruciato tutti gli alberi della campagna. Anche gli animali selvatici sospirano a te, perché sono secchi i corsi d’acqua e il fuoco ha divorato i pascoli della steppa» (1,19-20).

I versetti denunciano la ribellione della natura contro un popolo peccatore: il peccato, penetrato nella storia umana, ne distrugge la bellezza e rende il cammino umano non soltanto insignificante, ma privo di direzione. La soluzione offerta dalla parola profetica è un’assunzione di responsabilità: l’uomo non è solo spettatore tragico di questo dolore, ma ne è anche soprattutto la causa. Per questo occorre passare da una ritualità esteriore ad una conversione autentica. Il rischio, infatti, è di trasformare azioni religiose, come il digiuno e la sacra assemblea, in gesti magici sostitutivi dell’assunzione delle proprie responsabilità e perciò incapaci di generare vita.

Il cammino interiore

Come antidoto il profeta non esorta, non comanda, ma supplica, come se non avesse più altre parole, il popolo di intraprendere un cammino interiore verso la verità del proprio cuore: «Laceratevi il cuore e non le vesti» (2,13). Per l’antropologia biblica il cuore è la sede della memoria, dell’intelligenza, della decisione d’amare e di seguire il Signore. Purtroppo però il cuore d’Israele è duro come un diamante (Zc 7,12): deve essere circonciso (Dt 30,6), spezzato o sostituito con un cuore nuovo (Ez 36,26).

La motivazione di questo viaggio verso se stessi ha una dimensione squisitamente relazionale: «…ritornate al Signore, vostro Dio»: Yhwh non è soltanto Dio, ma il vostro Dio. Perché ciò accada, non basta una decisione individuale, ma la comunità tutta deve essere coinvolta. Nessuno è escluso: «Radunate il popolo, indite un’assemblea solenne, chiamate i vecchi, riunite i fanciulli, i bambini lattanti; esca lo sposo dalla sua camera e la sposa dal suo talamo» (v. 16).

Colpisce l’enfasi che il profeta mette su anziani, fanciulli e lattanti. Perché? Sono le categorie sociale più impotenti e fragili e per questo diventato immagine di che cosa è richiesto al popolo: riscoprire la propria impotenza, sperimentare che la salvezza non è conquista, ma dono. La stessa iniziativa del popolo di cercare il Signore è un atto di obbedienza alla Parola: il popolo può cercare Dio, perché Dio per primo si è posto in cammino per essere il Dio-con-noi (Emmanuel ʿimmānû ʾēl, cfr. Is 7,14), per abitare nel suo popolo. Forte di questa certezza, Gioele si rivolge a Dio ricordandogli che Israele è il suo popolo, scelto da lui e conservato in vita dalla sua promessa: «Perdona, Signore, al tuo popolo e non esporre la tua eredità al ludibrio e alla derisione delle genti. Perché si dovrebbe dire fra i popoli: “Dov’è il loro Dio?”. Il Signore si mostra geloso per la sua terra e si muove a compassione del suo popolo» (2,17-18). Il popolo chiede dunque a Dio di continuare ad essere Dio ed agire da Dio.

Il dono dello spirito profetico

L’invito al pentimento rivolto dal profeta alla sua comunità dà tuttavia voce al dubbio serpeggiante nel popolo: «Chi sa che non cambi e si plachi e lasci dietro a sé una benedizione?» (2,13). Come condurre il popolo alla fiducia piena nella bontà di Dio, rendendo la loro fede vera e operante?

Gioele conduce la comunità ad assumere lo sguardo di Dio, contemplando il giorno del Signore come l’avvento di una risposta gratuita, straordinaria, totalmente salvifica. Non si tratta della semplice restaurazione del fragile equilibro infranto dalla calamità naturale e neppure di un perdono dato “sotto condizione”. Il profeta assicura un dono straordinario, il dono di uno spirito profetico (cfr. 3,1-5) che rivelerà il disegno di Dio sulla storia.

In questa luce diviene chiaro che il fatto che deve essere raccontato di generazione in generazione (1,3) non è l’invasione delle cavallette, con il suo drammatico esito di morte e carestia, e neppure la possibilità di ritornare tramite il pentimento alla fede in Dio. Il fatto è proprio la straordinaria salvezza che Dio opererà, anzi sta già operando, attraverso il suo perdono e il dono dello Spirito, in attesa del pieno compimento di ogni promessa, nel giorno del Signore.

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