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Chi dite che io sia?

Mt 16,13-20

Ci possiamo raffigurare il vangelo della 21° domenica del tempo ordinario come un dittico: la prima pala riguarda la confessione di fede di Pietro, mentre la seconda l’istituzione del suo primato. L’ambientazione geografica è quella del nord della Galilea dove ci sono i resti della città di Cesarea di Filippo, conosciuta al tempo di Gesù come Banias, a motivo della presenza di un tempio dedicato al dio Pan.

La scelta del luogo non è casuale da parte del Rabbì di Nazareth. Infatti, il santuario del dio Pan era il centro del panteismo perché ogni tipo di fede e di credo vi trovava accoglienza. Qui Gesù interroga i suoi discepoli riguarda alla verità della sua persona e si manifesta come il Figlio del Dio vivente, o meglio, conduce i suoi discepoli a riconoscerlo come tale.

L’opinione pubblica su Gesù

Il cammino pedagogico proposto dal Signore inizia con la seguente domanda:

La gente, chi dice che sia il Figlio dell’uomo? (v. 13).

È una sorta di sondaggio che scandaglia l’umore della gente intorno a Gesù, ma non è il tentativo di quantificare l’indice di gradimento. Infatti, con la sua domanda il Maestro vuole far emergere le diverse necessità che spingono ad andare da lui: c’è chi lo percepisce come un redivivo Giovanni Battista, tanto amato dalle folle, soprattutto dai peccatori che lo cercavano per essere purificati con il rituale battesimale; oppure la riproposizione di antichi profeti di Israele: Elia, colui che avrebbe anticipato l’arrivo del Messia, e Geremia, la figura per eccellenza del movimento profetico ebraico.

Anche oggi non siamo esenti dal rischio di un Gesù tagliato tu misura, che asseconda le nostre personali attese e necessità: un Gesù “tappabuchi” che risolve i problemi dell’uomo, come fosse un distributore di grazie alla stregua di quello che troviamo nelle stazioni dei treni. Tutt’al più per molti Gesù rappresenta una figura significativa della storia, che ha lasciato un modello di vita positivo, che ha fatto tanto bene, ma assolutamente non si fa cenno alla sua divinità, relegandola ad un mito nostalgico.

Una domanda diretta

Nella seconda tappa, quella decisiva, Gesù fa compiere un salto qualitativo ai suoi discepoli, perché pone loro una domanda tanto diretta quanto personale:

Ma voi chi dite che io sia?

L’interrogativo è provocatorio: tu che stai camminando con me lungo le vie della Galilea, che mi hai sentito predicare, che hai visto compiere grandi opere, tu chi dici che io sia?

Alla provocazione risponde Pietro che accetta la sfida e così la domanda va dritta al suo cuore. Con straordinaria prontezza, prendendo la parola a nome degli altri discepoli, proclama:

Tu sei il Messia, il Figlio del Dio vivente (v. 16).

Questa risposta è definita come la professione di fede di Pietro ed in effetti così si presenta, come una formula che esprime la fede nel Cristo Figlio di Dio. È il punto di arrivo di questo cammino di fede fatto percorrere dal Signore ai suoi discepoli a Cesarea di Filippo, nel quale emerge ora chiaramente la verità piena sulla sua persona: egli è davvero il Messia, il Figlio di Dio.

Il primato di Pietro

La confessione di fede di Pietro ci traghetta alla seconda pala del dittico: quella riguardante il primato di Pietro. Gesù proclama Pietro beato: «Beato te, Simone…» (v. 17). Perché? Egli è il destinatario di un dono grande: non sono le sue capacità umane, di ragione o di affetto, ad avergli dato la possibilità di raggiungere la verità sulla persona di Gesù, ma è dono del Padre. Esso poi non si esaurisce nella dimensione personale, come fosse qualcosa di esclusivo da custodire gelosamente, ma è finalizzato. Così Gesù esprime lo scopo: «Proprio per ciò che il Padre mio ti ha donato di conoscere io ti dico che tu sei Pietro e su questa pietra edificherò la mia Chiesa» (v. 18).

C’è da prestare attenzione a due termini fondamentali: pétra, che significa roccia e si differenzia dalla semplice pietra per la sua solidità ed inamovibilità. La roccia resiste alle intemperie ed a qualsiasi attacco, la pietra invece è più fragile e può essere anche rimossa. La seconda parola importante è ekklēsía, corrispondente all’ebraico qāhāl, con il significato di assemblea; indica, quindi, la schiera dei fedeli, di coloro che credono che Gesù sia il Messia, il Figlio di Dio.

Sorvoliamo sulle interpretazioni che, lungo la storia della Chiesa, le diverse confessioni cristiane hanno date a queste parole di Gesù. Invece ci soffermiamo su due promesse che il Signore fa. Innanzitutto promette a Pietro che le potenze degli inferi non prevarranno sulla Chiesa. Letteralmente si parla «di porte dell’ade» (púlai ádou) o «di regno dei morti». La CEI ha tradotto con «inferi». Al netto delle discussioni filologiche è chiaro che c’è la promessa di Gesù della vittoria della Chiesa, comunità dei risorti, dei redenti in Cristo.

Le chiavi del regno dei cieli

Il secondo elemento riguarda la consegna delle «chiavi del Regno» a Pietro, seguita dal compito che Gesù gli affida: legare e sciogliere (v. 19). C’è un passaggio di autorità da Gesù a Pietro. Per la maggior parte degli studiosi si tratta di una autorità dottrinale, di corretta interpretazione della Tōrah: a Pietro è affidata la dottrina, nell’insegnare e guidare, nel trasmettere con autorità il messaggio evangelico.

La tradizione cristiana, in analogia con quanto il Risorto affida agli apostoli nella sera di Pasqua1, secondo il vangelo di Giovanni, legge i verbi “legare” e “sciogliere” come la potestà di amministrare il perdono di Gesù risorto, primo dono dello Spirito.

I due testi non si contraddicono. Infatti l’autorità nella trasmissione autentica della Parola e la capacità d’essere sacramento del perdono del Signore si compendiano reciprocamente. I passi di Matteo e Giovanni indicano le direttrici lungo le quali si è sviluppato quello che la tradizione cattolica chiama il «primato di Pietro»: un’autorità che guida il popolo di Dio in questo mondo verso la pienezza della verità e dell’amore del Signore Gesù.


  1. «Detto questo, soffiò e disse loro: “Ricevete lo Spirito Santo. A coloro a cui perdonerete i peccati, saranno perdonati; a coloro a cui non perdonerete, non saranno perdonati”» (Gv 20,22-23).
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