Giacobbe uno di noi

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Il capitolo venticinque del libro della Genesi è una specie di ponte narrativo che traghetta il lettore dalle storie raccontate su Abramo e la sua famiglia a quelle di Isacco, specialmente quelle riguardanti i figli, Esaù e Giacobbe.

Il capitolo si apre con la discendenza di Abramo avuta dalle seconde nozze con Keturà dopo la morte di Sara (Gen 25,1-6). Segue il breve racconto della morte e sepoltura del primo patriarca (Gen 25,7-11). Una breve pausa dettata dalla costruzione verbale di sfondo apre alla genealogia di Ismaele (Gen 25,12-19) dove si racconta per sommi capi dove Ismaele e i suoi figli si sono insediati, la durata della vita del primogenito di Abramo e la notizia della sua morte.

Con la formula tipica delle Genesi: «Queste sono le generazioni…» viene introdotto il lungo racconto che avrà come protagonista Giacobbe, suo padre e sua madre e il fratello Esaù.

La nascita dei due gemelli: Gen 25,19-26

¹⁹ Questa è la discendenza di Isacco, figlio di Abramo. Abramo aveva generato Isacco. ²⁰ Isacco aveva quarant’anni quando si prese in moglie Rebecca, figlia di Betuèl l’Arameo, da Paddan-Aram, e sorella di Làbano, l’Arameo. ²¹ Isacco supplicò il Signore per sua moglie, perché ella era sterile e il Signore lo esaudì, così che sua moglie Rebecca divenne incinta. ²² Ora i figli si urtavano nel suo seno ed ella esclamò: «Se è così, che cosa mi sta accadendo?». Andò a consultare il Signore. ²³ Il Signore le rispose:
«Due nazioni sono nel tuo seno
e due popoli dal tuo grembo si divideranno;
un popolo sarà più forte dell’altro
e il maggiore servirà il più piccolo».
²⁴ Quando poi si compì per lei il tempo di partorire, ecco, due gemelli erano nel suo grembo. ²⁵ Uscì il primo, rossiccio e tutto come un mantello di pelo, e fu chiamato Esaù. ²⁶ Subito dopo, uscì il fratello e teneva in mano il calcagno di Esaù; fu chiamato Giacobbe. Isacco aveva sessant’anni quando essi nacquero.

Il lettore apprende che Isacco aveva quarant’anni quando prese come moglie Rebecca. Per tutto il capitolo precedente si era raccontato la storia di questo matrimonio, voluto e pianificato da Abramo ma realizzato dal suo servo (cfr. Gen 24).

Anche per Rebecca c’è la nota negativa, data a livello si sfondo, della sua sterilità. Una specie di copione si ripete; infatti, lo era stata in precedenza Sarai (Gen 11,30). Per questo Isacco supplica Yhwh e Rebecca si ritrova in cinta.

La storia si complica diventando misteriosa, perché nel ventre i figli si «urtano». Da notare che il narratore non rivela che si tratta di due gemelli, invece ricorre al semplice plurale1. Il verbo impiegato è rāṣaṣ che nel suo significato fondamentale descrive l’azione dello schiacciare, da cui poi maltrattare. In più di un’occasione nella Bibbia è utilizzato in parallelo con il verbo ʿāšqa «opprimere»2. L’azione denota una certa violenza e di conseguenza c’è dolore. È quello di cui Rebecca si lamenta. Il lettore ne conosce la ragione, ma non la moglie di Isacco.

Rebecca è il primo personaggio, nella racconto della storia di Isacco e della sua famiglia, a parlare ed è una parola carica di angoscia: «Se così, perché questo a me?» (v. 22). L’espressione, resa letteralmente, è alquanto oscura, tanto da richiedere l’intervento del lettore per esplicitarne il senso: «Se è così, che cosa mi sta accadendo?». La domanda è chiaramente un grido di dolore soffocato in gola.

In rapida successione si racconta di come Rebecca vada a consultare Yhwh, ma non si fornisce alcuna informazione circa i termini della consultazione, viene quindi dato spazio alla risposta di Yhwh che è in forma oracolare3.

L’oracolo divino, annunciando che due sono le nazioni e due sono i popoli, svela indirettamente a Rebecca, come anche al lettore, che due saranno i figli, due gemelli. Inoltre annuncia che un popolo sarà più forte dell’altro e poi precisa che il maggiore servirà il minore. Quest’ultima espressione in ebraico risulta ambigua4 perché dal punto di vista della sintassi nell’espressione wᵉraḇ yaʿăḇōd ṣāʿîr non è ben chiaro chi sia il soggetto e chi l’oggetto, tanto che sono possibili due traduzioni: «il grande servirà il più piccolo» oppure «il grande, il piccolo servirà». Il dato certo dell’oracolo è che tra i due figli i rapporti saranno conflittuali e il resto del ciclo narrativo mostrerà chi sarà il più forte e chi dominerà.

Al compiersi dei giorni del parto (v. 24a), il narratore informa con un cambio del punto di vista che i figli sono due. Con la madre lo scopre anche il lettore. Passa poi, attraverso la descrizione di alcune caratteristiche dei bambini, a giocare su particolari assonanze che ne richiamano i nomi.

Al primo neonato che esce viene dato il nome di «Esaù» (ʿĒśāw), associato al suo essere, fin dalla nascita, ricoperto da un mantello di «pelo» (śēʿîr: cfr. v. 25; cfr. anche śāʿîr in 27,11.23); tale peculiarità viene anche legata al paese con lui messo in relazione: Seir (Śēʿîr). Anche l’altro nome, probabilmente più recente, di quella medesima terra, Edom (ʾĔdôm), è collegato con una sua caratteristica: l’essere «rossiccio» (ʾadmônî: cfr. v. 25 e v. 30). Lo stesso aggettivo sarà impiegato per il re Davide (cfr. 1 Sam 16,12; 17,42).

Del nome del secondo neonato, Giacobbe, è sufficiente ricordare che la scelta del narratore per una etimologia popolare lega la figura del futuro patriarca al verbo ebraico ʾāqaḇ, «ingannare», «soppiantare». Letteralmente la radice significa «tenere il calcagno», «fare inciampare» (cfr. Gen 25,26). È quasi un segno della ostilità futura tra i due fratelli.

Infine, il narratore, che ha i tratti della tradizione sacerdotale, annota l’età di Isacco: ha avuto i due figli a sessant’anni; ciò significa che la sua attesa e quella di sua moglie è durata vent’anni (cfr. 25,20) cinque anni in meno rispetto alla coppia Abramo e Sara (cfr. 12,4 e 21,5).

CONTINUA…


  1. In ebraico c’è una forma plurale per esprimere le cose doppie, detto duale.
  2. Cfr. Os 5,11: ʿāšûq ʾeprayim reṣûṣ mišpāṭ «Oppressore Efraim, schiacciante il diritto»; Am 4,1; 1 Sam 12,3.4
  3. Si tratta di un testo in poesia ben evidenziato dal parallelismo, principio fondamentale della poetica ebraica. Il testo è composto da due stichi dove il parallelismo all’interno di ciascuno è di tipo sintetico formale perché il secondo emistico fa evolvere ed intensifica l’idea presente nel primo:
    Due nazioni nel tuo grembo sono
    due popoli dalle tue viscere si divideranno;
    un popolo dell’altro popolo sarà più forte
    e il grande servirà il piccolo.
  4. Cf. ALTER R., Genesis: Translation and Commentary, W.W. Norton & Co., New York 1996 [Kindle edition], pos. 2983.
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