Dopo il vangelo dell’infanzia, Luca riprende il canovaccio tradizionale di Marco e introduce la figura di Giovanni Battista e della sua predicazione, quale momento preparatorio alla missione di Gesù. Eppure egli non si limita ad assumere lo schema consacrato già dal kerygma (= annuncio) apostolico, ma vi introduce elementi di novità, con ritocchi e variazioni che non solo rendono più ordinato lo svolgersi degli eventi, ma evidenziano il significato teologico che egli vuole farne emergere.
Premessa
Prima di inoltrarci nella lettura della pericope odierna (Lc 3,1-6), è bene dare uno sguardo più ampio all’insieme del cap. 3, in cui sono inserite la descrizione della figura di Giovanni Battista e la narrazione della sua attività. Esse sono modellate secondo lo schema tradizionale, ma dall’evangelista vengono introdotti tratti tipici del suo progetto teologico; egli infatti concentra in un unico quadro tutta l’attività di Giovanni, dall’inizio della predicazione fino all’arresto ordinato da Erode Antipa (Lc 3,1-20). E quando compare sulla scena Gesù, Giovanni il Battista non è più presente, a tal punto che paradossalmente nel battesimo egli non è neppure menzionato!
In tal modo Luca rende esplicita la sua comprensione della storia della salvezza. Giovanni è l’ultima voce della storia di Israele, del popolo della promessa (cfr. Lc 16,16). Il nuovo inizio e il centro della storia è invece Gesù, che inaugura il tempo nuovo, l’oggi della salvezza (cfr. Lc 4,21), che continua nel tempo della Chiesa (Lc 3,1-2).
Un’altra caratteristica di questo insieme è di sottolineare la svolta salvifica intervenuta con Gesù, svolta che si attua appunto sullo sfondo della storia universale. Noteremo poi che il battesimo nell’edizione lucana è quasi appena accennato ed è, più che altro, un’occasione per raccontare l’effusione dello Spirito Santo e la proclamazione divina nei confronti di Gesù (Lc 3,21-22). Qui Luca inserirà un materiale proprio, cioè l’albero genealogico di Gesù, assai diverso dalla genealogia di Matteo. In ogni caso, questo albero genealogico che risale fino al primo uomo, Adamo, dà alla persona di Gesù e alla sua attività uno sfondo storico universale (Lc 3,23-38).
Negli anni di Tiberio Cesare… Ponzio Pilato …
Proprio questa visione della storia come ‘storia della salvezza’ è la spiegazione più pertinente dell’introduzione all’inizio del racconto sulla missione di Giovanni Battista di un’ampia proposizione, che evoca lo stile letterario della classicità greca, nonché le introduzioni ai libri profetici. In tale proposizione traccia un sincronismo, riguardante gli attori principali, che si muovono sul fondale della storia di Palestina negli anni di Gesù. Questi attori diventano però semplici comparse alla luce del vero protagonista, che appare alla fine del v. 2, e cioè la parola di Dio, che scende su Giovanni nel deserto.
Sostiamo, innanzitutto, su questa, che è la protagonista principale. L’espressione con cui la parola di Dio viene introdotta è quella dell’evento della Parola; letteralmente il testo, infatti, dice che la parola di Dio (av)venne su…. Questo è il modo con cui viene designato, nei testi profetici, l’evento della Parola1; rispetto all’evento della Parola, il profeta è semplicemente mediatore, portatore; ciò che è davvero decisivo non è la figura del profeta, bensì il fatto che Dio visiti con la sua Parola il suo popolo. È la stessa cosa che afferma qui Luca, quando dice che la parola di Dio fu/(av)venne su Giovanni, figlio di Zaccaria, nel deserto.
Entrando più nei dettagli di questi due versetti iniziali (Lc 3,1-2), si vede come Luca presenti un’inquadratura, a grandangolo, con la descrizione geopolitica della Palestina di quegli anni. Precisamente ci si dovrebbe trovare nell’anno 26 d.C. Vi si elencano i capi politici della regione e le autorità religiose di Gerusalemme. Luca fornisce questo inquadramento storico non soltanto per pagare il suo tributo alla moda storiografica greca – la quale collocava sempre i suoi avvenimenti nel tempo e nello spazio –, ma appunto per finalità teologiche. Ecco dunque una teoria di potenti dell’epoca, che danno il loro nome al periodo (Tiberio, Erode Antipa, Ponzio Pilato, ecc…); ciò crea nel lettore, che legge per la prima volta il vangelo, una consapevolezza: la salvezza che Dio prepara per l’uomo non avviene in una sorta di aura fantastica e misticheggiante, ma si incarna nella concretezza della storia, fatta di fede e di incredulità, di libertà e di necessità. Invece per il lettore che rilegge l’evangelo, questi personaggi si caricano di ambiguità sconcertante. La figura di Tiberio Cesare resta comunque lontana, a differenza di quel Re che si fa davvero vicino, perché è il salvatore. Gli altri personaggi appaiono sempre più problematici.
Il primo, Ponzio Pilato, è responsabile ultimo della condanna dell’innocente Gesù. Peraltro Luca, per facilitare l’annuncio dell’evangelo nelle terre dell’impero, non dice tutto quello che probabilmente sa circa questo governatore, che fu responsabile di eccidi e di provocazioni assolutamente insensate, delle quali ci informa in proposito Flavio Giuseppe. Peraltro, sulla figura di Pilato Luca lascia trapelare un’informazione inquietante al cap. 13,1-3, quando parla di una strage perpetrata al tempio per suo ordine.
L’altro personaggio è Erode Antipa, il tetrarca della Galilea, del quale Luca ci consegna il ritratto di una persona moralmente corrotta, il cui sentimento religioso non andava oltre il prurito di novità, e colpevole di gravi delitti, tra cui l’uccisione del Battista e, più tardi, dell’apostolo Giacomo, fratello di Giovanni (cfr. At 12,1-2). La sua fine ignominiosa, roso dai vermi, sa tanto del ben noto genere de mortibus persecutorum (cfr. At 12,2-23),
Filippo e Lisania sono solo personaggi che completano il quadro dei potenti della regione. Accanto ad essi vengono nominati i sommi sacerdoti Anna e Caifa, tra loro parenti e membri dell’aristocrazia di Gerusalemme. Il lettore non potrà non ricordarsi di costoro, quando Gesù sarà arrestato e consegnato alle autorità romane per la condanna a morte!
Questi personaggi meschini e cinici quasi scompaiono di fronte alla figura di Giovanni Battista, assolutamente incomparabile con loro per la sua immensa statura morale e religiosa. Così Luca ci fa capire che la salvezza divina, che entra nella storia e la riplasma, non ha a che fare con un mondo idealizzato, ma con una realtà assolutamente contrastante, di luci e di ombre, di verità e di menzogne; è proprio per questo che è ancora più urgente la visita di un Salvatore!
Nel deserto
Un’ultima annotazione. Lo spazio in cui sembra entrare la Parola è quello del deserto. Ciò non indica solo l’ambiente in cui concretamente viveva Giovanni, ma ha una grande risonanza biblica, in quanto il deserto è il luogo dell’essenzialità, del doversi mettere – da parte dell’uomo – di fronte alla verità su se stesso, verità spesso scomoda e rimossa. Il deserto è però anche il modo in cui si può rinnovare l’incontro con il Signore e ritrovare un cammino di fedeltà con Lui.
Il venire della parola di Dio su Giovanni nel deserto è perciò un’implicita promessa: Dio sta richiamando il suo popolo ad una rinnovata intimità e comunione con Lui.
L’attività del Battista
L’attività del Battista è sinteticamente presentata nel v. 3, nel quale l’evangelista condensa i dati tradizionali a proposito del Precursore: annuncio di un battesimo per la conversione e il perdono dei peccati. Più avanti Luca introdurrà un dialogo tra il Battista e i suoi interlocutori, e illustrerà così il suo insegnamento. Qui esaminiamo solo la sua prassi battesimale.
Ci si chiede da dove Giovanni abbia preso questa prassi battesimale e perché non esorti invece a praticare i riti tradizionali di purificazione dal peccato che il sistema sacrificale di Israele ben conosceva. È probabile che il Battista sia stato influenzato dal mondo esseno e dalla presa di posizione di questo movimento contro il tempio e i suoi sacrifici; in ogni caso si registra una certa crisi nei confronti dei sacrifici per il peccato, forse associabile anche ad una critica più generale, serpeggiante qua e là, contro i sacrifici cruenti. Ciò non poteva non significare la ricerca di riti di purificazione alternativi. È però importante notare come l’evangelista non risolva la prassi del Battista in un mero momento rituale, ma ne indichi la finalità profonda, e cioè il cambiamento di vita scaturente dalla conversione e dall’esperienza del perdono del peccato.
Si deve notare infine come questa presentazione del Battista oscilli tra due poli geografici: il deserto quale luogo della venuta della Parola su di lui, e il fiume Giordano quale teatro del dono di questa Parola agli altri, per invitarli a conversione, per rendere così possibile l’accesso al perdono di Dio. In tale tensione sta una verità importante: non si può annunziare ciò che non si è prima ascoltato; così il Battista – proprio perché ha saputo ascoltare la Parola nel deserto – può fare risuonare il suo invito come offerta di salvezza per tutti. Proprio per questa dimensione di universalità, tanto cara al greco Luca, l’evangelista presenta il Battista che si aggira nelle località del Giordano, per predicare (kerýssein) tale battesimo. Peraltro Luca è attento a non attribuire al Battista l’annuncio del Regno, né un ‘annuncio’ in forma assoluta (cfr. Lc 4,44); esso aspetterà solo a Gesù. Così facendo il terzo evangelista evidenzia la diversità tra il tempo del Battista e il tempo di Gesù.
Ogni carne vedrà la salvezza divina
A questo punto, seguendo la tradizione che gli viene da Marco, Luca cita il passo di Is 40,3-5, ma nel contempo mostra una significativa libertà redazionale. Infatti, se la citazione isaiana in Marco e in Matteo si ferma alla frase «raddrizzate i suoi sentieri», Luca procede oltre (vv. 4.5.6). Egli rievoca così il largo cammino, il cammino sgombro dove potrà avanzare il Signore e soprattutto rievoca l’apertura universalista dell’annunzio isaiano. Infatti il v. 5 del testo di Isaia proclama una salvezza che raggiunge «ogni carne» (kol-bāśār), e ciò suona in particolare sintonia con il respiro fortemente universalista del terzo vangelo. Vale la pena di rilevare che l’evangelista non usa l’espressione «ogni uomo vedrà la salvezza di Dio» (come rende invece la traduzione CEI), bensì «ogni carne vedrà la salvezza di Dio», quasi a sottolineare la comune fragilità e il conseguente universale bisogno di salvezza.
Citando Isaia, Luca mostra un Giovanni che esorta a raddrizzare le ‘vie storte’, a colmare i burroni, ad abbassare le alture scoscese. Ecco l’immagine profetica del faticoso lavorare come a un cantiere stradale, in cui si progetta e si realizza il tracciato di una nuova grande arteria di comunicazione. Ciò dice la serietà dell’impegno chiesto a chi vuole accogliere veramente Dio nella sua vita.
Aprire una nuova strada significa innanzitutto avere chiara la meta. Ebbene, la meta è grandiosa, perché consiste nel vedere la salvezza che il Signore prepara per ciascuno. In tal modo il Battista invita a tenere fisso lo sguardo sul traguardo del cammino di conversione.
Leggendo integralmente la citazione isaiana, viene superato il rischio di leggere come invito moralistico la predicazione del Battista; e d’altra parte il lettore non può sottrarsi a una certezza: il venire di Dio richiede una trasformazione reale delle relazioni. In questo senso si stabilisce un contrasto molto forte già all’interno di questa pericope iniziale del vangelo della vita pubblica di Gesù: il contrasto tra i potenti della terra con le loro omicide trame di potere, e coloro che desiderano invece con tutto se stessi vedere la salvezza di Dio. È già implicitamente in atto lo scontro che attraversa la vita del Battista e poi di Gesù, ma che attraverserà anche la vita di ogni discepolo.
- Vedi Ger 1,2; Ag 1,1; ecc.; ma si tenga presente che le traduzioni non rispettano l’andamento del testo originale, che suona così: «la parola di Dio fu su…». ↩