Vedere, comprendere, credere nel segno dell’amore

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Uno dei verbi più utilizzati da Giovanni nel suo racconto della risurrezione è il verbo “vedere”. L’evangelista impiega quattro verbi per esprimere livelli sempre più profondi di un vedere che conduce alla fede e alla testimonianza: «Chi ha visto ne dà testimonianza e la sua testimonianza è vera; egli sa che dice il vero, perché anche voi crediate» (Gv 19,35). Li elenchiamo per apprenderne il significato e poi li vedremo in “azione” nel racconto:

  • Blépō: qualifica l’aspetto fisico del vedere, di conseguenza sottolinea la dimensione superficiale, quella del volgere lo sguardo (20,1.5).
  • Theōréō: esprime un’osservazione più attenta: il notare, lo scrutare (20,6.12.14).
  • Horáō: l’evangelista lo impiega per indicare la contemplazione. È l’occhio credente, lo sguardo che conduce all’adesione di fede (20,8.18).
  • Theáomai: non è utilizzato nei racconti della risurrezione (20,1-18), ma è presente nel prologo. Indica, infatti, una visione mistica, la percezione del mistero, di ciò che sorpassa la mente umana (cfr. 1,14.32).

Affinando progressivamente lo sguardo dei personaggi in scena, Giovanni traccia un percorso sul tema del vedere per aiutare il lettore a percepire la presenza del Risorto nell’assenza.

Maria di Magdala giunge al sepolcro e vede (blépō ) la pietra rimossa, torna di corsa sui suoi passi e avvisa Pietro che «hanno portato via il Signore dal sepolcro» (Gv 20,3). È una propria deduzione perché il narratore non ha raccontato la sua entrata nel sepolcro. Pietro e l’altro discepolo, «quello che Gesù amava», corrono al sepolcro, il secondo arriva prima ma non entra: chinandosi vede (blépō – lo stesso verbo utilizzato per Maria), non solo il sepolcro aperto, ma anche i teli posati. C’è un vedere fisico, un constatare.

Quando Pietro giunge, entra. Il suo sguardo si fa immediatamente più attento: «osservò (theōréō) i teli posati là, e il sudario – che era stato sul suo capo – non posato là con i teli, ma avvolto in un luogo a parte» (20,6-7). Grazie allo sguardo di Pietro il lettore trova conferma dell’assenza del corpo e di altri particolari un po’ strani che fanno traballare l’ipotesi del furto del corpo: le bende sono state tolte e depositate, mentre il sudario che era stato messo sul capo di Gesù, non posato insieme alle bende ma messo in un luogo a parte. Tutto questo non si concilia con un trafugamento del corpo di Gesù. Mostrato questo con gli occhi di Pietro, il narratore non svela quello che accade nel cuore di Pietro: sembra che Pietro veda, ma non comprenda.

A questo punto il narratore fa entrare l’altro discepolo nel sepolcro: egli vede (horáō) e crede (v. 8). La stessa situazione che ha generato l’angoscia di Maria e il silenzio di Pietro conduce ora il discepolo amato alla fede: «credette». È come se il discepolo amato avesse un occhio diverso e in effetti il verbo greco per vedere è horáō, che esprime più del vedere fisico, cioè il comprendere quanto si vede. Quello che permette al discepolo amato di passare dal vedere, al comprendere e al credere è l’amore. L’amore apre alla fede, persino in un luogo dove tutto parla di morte. Per amore Maria rimane e il suo rimanere diverrà incontro (20,14-17) e testimonianza (20,18).

Oggi tutti noi, come Maria e il discepolo amato, siamo invitati a entrare nel sepolcro per vedere l’assenza di Gesù e là rinnovare la nostra adesione a Lui, professando la fede nel Risorto.

Entrati per cercare un cadavere, usciamo dal nostro sepolcro con il discepolo amato per incontrare l’Amato Risorto!

1 commento

  1. Molto spesso abbiamo paura di entrare nel sepolcro, ci siamo abituati all’idea che è risorto, non ci serve nient’altro. Questo è l’errore più grande del nostro falso credere. Per essere testimoni bisogna vedere, altrimenti non lo siamo. Il discepolo che ama, non può che vedere la vita oltre la morte, perché le bende e il sudario dicono che il corpo morto non è lì. Senza un corpo morto la morte non c’è. È assurdo ma è così, riconosce in quel segno la divinità di Gesù. Prima di vedere con gli occhi, vede col cuore e noi lo diciamo spesso: il cuore non si sbaglia. Essere testimoni è vedere, ma il fatto è che quando crediamo veramente col cuore poi vediamo anche con gli occhi perché lo riconosciamo nella nostra vita. Gesù, il risorto non ha l’ aspetto di prima, infatti Maria pensa sia il giardiniere ma, quando Gesù la chiama per nome e lei si volta, allora lo riconosce. Si volta, cioè guarda la realtà dei fatti, non è il guardiano ma è Gesù, Colui che vive. Solo Lui può conoscerci e chiamarci per nome perché, conosce chi siamo. Anche oggi la dinamica dei fatti si svolge in modo identico, solo che oggi siamo chiamati noi in prima persona ad andare e vedere e poi credere, diventare testimoni e poi vivere la resurrezione nel nostro quotidiano.

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