Genesi e le domande di tutti noi
Aprendo e leggendo il Libro della Genesi è come entrare in una galleria affrescata sulle due pareti: a destra i racconti dell’origine del mondo; su quella di sinistra quelli sull’origine del popolo di Israele.
Tutti è due gli affreschi sono guidati da un’unica domanda riguardante il “principio” del mondo e dell’umanità e del popolo di Israele. Coglie nel segno Platone quando afferma che «il principio è la parte più importante di ogni opera» (Repubblica II, 377a), perché in esso il grande filosofo greco assume a sapere filosofico quanto potrebbe apparire un’arbitraria evidenza. La Bibbia, con il Libro della Genesi, pone a capo di tutto il testo la parola Bᵉrēʾšît «nella testa» o «in principio». In questo modo esplora le frontiere degli inizi “assoluti”, quelli legati agli archetipi: le origini del cielo e della terra e di tutto il mondo creato – e, dunque, dello spazio –, le origini del tempo, dell’umanità, della trasgressione, del lavoro, del culto, della violenza, della preghiera, dell’atto di fede, dell’agire pedagogico di Dio, della superba ribellione dell’uomo; dello stesso Israele, il popolo eletto di Yhwh. Giustamente quindi il Libro della Genesi nella tradizione ebraica viene titolato Bᵉrēʾšît. La traduzione greca dei Settanta ha preferito chiamarlo Génesis, mutuando il nome dall’espressione che si incontra per la prima volta in Gen 2,4a, bíblos genéseōs «libro delle generazioni», alludendo così alle azioni “generative” in esso narrate. La Vulgata latina e le traduzioni moderne si rifaranno alla scelta della Lxx.
L’origine del mondo e dell’umanità (Gen 1 – 11) sono lo sfondo su cui prende rilievo il quadro della nascita del popolo di Israele e della sua missione iniziata fin dal tempo dei patriarchi (Gen 12 – 50). Questa galleria di racconti è la risposta che la fede ebraica – in epoca tardiva rispetto ai fatti narrati – vorrebbe offrire agli interrogativi che gli uomini e le donne di ogni generazione si pongono circa la loro origine (da dove veniamo?), la propria identità (chi siamo?) e al futuro che gli attende (verso dove andiamo?).
Gli affreschi narrativi di questa galleria presentano qua e là parti molto antiche e altre più recenti inserite per “cucire” così da ottenere un disegno completo ed omogeneo. Con un altro grado di probabilità il Libro della Genesi, come anche l’intero Pentateuco (i primi cinque libri della Bibbia, chiamato Torah dagli ebrei), ha trovato la sua stesura definitiva in quel periodo della storia ebraica che va sotto il nome di post-esilio. Siamo a cavallo tra il 500 e il 400 a.C.
Il principio del mondo, dell’umanità e del popolo è indagato per cercare di offrire delle risposte adeguate agli interrogativi lasciati aperti dalla traumatica esperienza dell’esilio babilonese (587-538 a.C.) e a quelli suscitati dalla situazione di diaspora in cui viveva la comunità ebraica sotto l’impero persiano e che riguardavano la sua identità di “popolo eletto da Yhwh Dio”. E così dietro la storia delle origini si cela una retrospettiva sull’esperienza storica di Israele.
Chiamato all’esistenza dal suo Dio in quella terra di nessuno che è il deserto, Israele viene installato nella terra promessa, esattamente come il primo uomo che, dopo essere stato creato fuori dal giardino di Eden, viene collocato in esso (Gen 2,7-8). In entrambi i casi, il soggiorno in questa piacevole dimora dipende dall’osservanza di un comandamento, la cui violazione determina l’espulsione dal luogo originario, la diffusione del peccato nelle successive generazioni, una distruzione pressoché totale mediante il diluvio, la dispersione sulla faccia della terra. Entrambi i racconti termina in Mesopotamia, con i discendenti dei primi antenati e dei sopravvissuti alla catastrofe nazionale alle prese con un incerto futuro (cfr. Gen 11,1-9 e 2 Re 25,27-30).
Da esso la storia riparte per l’umanità e per Israele, quando Dio fa scendere sovrana la sua parola su un uomo di nome Abramo.