HomeAntico TestamentoUna profonda nostalgia di Paradiso: Gen 3,22-24

Una profonda nostalgia di Paradiso: Gen 3,22-24

22Poi il Signore Dio disse: «Ecco, l’uomo è diventato come uno di noi quanto alla conoscenza del bene e del male. Che ora egli non stenda la mano e non prenda anche dell’albero della vita, ne mangi e viva per sempre!». 23Il Signore Dio lo scacciò dal giardino di Eden, perché lavorasse il suolo da cui era stato tratto. 24Scacciò l’uomo e pose a oriente del giardino di Eden i cherubini e la fiamma della spada guizzante, per custodire la via all’albero della vita.

Come all’inizio della grande narrazione di Gen 2–3, qui il solo protagonista è YHWH-Dio, inoltre ne sono ripresi alcuni elementi: ad est, giardino di Eden, e albero della vita. [note]La P. Trible, The rhetoric of sexuality, posizione 2675, parla di simmetria asimmetrica tra la scena finale (3,22-24) e quella inziale (2,4b-9.15-17).[/note] Ciò conferisce rotondità e completezza al racconto e nello stesso tempo enfatizza la situazione tragica in cui l’uomo è precipitato a motivo della sua disobbedienza. Nella scena di apertura il giardino venne piantato per l’uomo (2,8), gli fu consentito di mangiare dell’albero della vita (2,9.16.17) e il suo compito era quello di custodirlo e coltivarlo (2,15). Il narratore insiste sulla floridezza e il rigoglio del giardino, come anche sul fatto che era il posto ideale per l’uomo, dove egli godeva di una vicinanza estrema a Dio. Era in pace con Lui.

In antitesi a questa armoniosa scena iniziale, negli ultimi versi del capitolo 3 è descritto l’allontanamento dell’uomo dal giardino e noi apprendiamo con amarezza che non vi sarà più accesso all’albero della vita; al posto dell’uomo per custodirlo, vi è un angelo armano che lo terrà serrato. Infine colui che fu chiamato a coltivare il giardino, coltiverà la terra o il suolo dando corso alla sentenza di YHWH-Dio: «finché tornerai alla terra, perché da essa sei stato tratto, perché polvere sei e in polvere devi tornare» (3,19). È una vera e propria sentenza come prevede un processo giudiziario: all’indicazione della motivazione (v. 22), segue l’esecuzione (vv. 23-24).

Nella motivazione (v. 22) YHWH-Dio constata che «l’uomo è diventato come noi». Le parole del serpente non erano del tutto menzognere: l’uomo è diventato come Dio «quanto alla conoscenza del bene e del male». Ma la portata dell’espressione nella bocca del serpete è diversa da quella di YHWH-Dio. Il serpente prospettò alla prima coppia che il diventare come Dio avrebbe fatto loro acquisire un potere illimitato oltre ogni limite conoscitivo e morale. In realtà ciò che essi invece sperimentano, è la fragilità della loro esistenza, rappresentata dalla vergogna per la propria nudità. L’uomo e la sua donna non solo non hanno ottenuto quello che non avevano, ma perdono anche quello che possedevano: una prossimità senza veli con Dio. Non è chiaro se il v. 22b proibisca all’uomo di «iniziare» a mangiare dell’albero della vita oppure di «continuare» a mangiare. Considerando il solo v. 22 il senso potrebbe essere quello che l’uomo non ha ancora mangiato dell’albero della vita, ma il fatto che Dio in precedenza non abbia proibito all’uomo di mangiare il frutto di questo albero favorisce l’interpretazione che i frutti dell’albero della vita erano a piena disposizione dell’uomo. Di conseguenza il divieto ad accedervi, dopo la disobbedienza, non esprime tanto la gelosia di Dio per le proprie prerogative divine, ma il fatto che queste sono fuori della portata dell’uomo e quando questi tenta di «acquisirle» non trova quello che spera, vale a dire la vita «per sempre», ma solo il suo contrario, una vita fallita perché senza Dio.

L’esecuzione della sentenza (vv. 23-24) non consiste nella «caduta», ma nella espulsione dal giardino che ratifica la rottura della relazione amichevole con Dio. Ciononostante il giardino non viene abolito e l’albero della vita non viene tagliato: anzi viene custodito e difeso da figure simboliche, comuni nei miti orientali: i cherubini e la fiamma della spada guizzante. Il termine ebraico «cherubino» keruḇîm
richiama i KA-RI-BU assiro-babilonesi, scolpiti su colossali blocchi di pietra. Erano geni raffigurati come leone o tori alati, con testa umana; venivano posti come custodi all’ingresso dei palazzi e dei templi. I cherubini biblici solo probabilmente per il nome derivano da quelli assiro-babilonesi. Infatti, mentre i KA-RI-BU sono divinità, i cherubini biblici sono esseri celesti inferiori a Dio, sue creature e suoi ministri, deputati al servizio e al culto divino.

«La fiamma della spada guizzante» fa riferimento al fulmine che nei monumenti assiri viene raffigurato con l’immagine di una fiamma guizzante e chiamata spesso «fiamma di fuoco». La spada guizzante segna lo sbarramento dell’ingresso. Simbolicamente questi elementi indicano che il ritorno nel giardino «per ora» e «a queste condizioni» non è possibile.

Fino a quando? Gen 2–3 non è che l’inizio del grande racconto biblico, il suo seguito mostrerà l’impegno di Dio per riportare l’uomo alla santità della sua prima origine. Decisiva sarà l’esperienza di un’altra coppia, quella di Abramo e di Sara, per trovare la risposta e una vita sotto il segno della benedizione per sé e per tutta l’umanità (cf. Gen 12,1-4a).

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