La prima lettura della terza domenica di Pasqua, tratta dal libro degli Atti degli Apostoli, è un collage di frammenti tratti da un’unità letteraria interessante e molto bella, organizzata in due parti:
- Il segno: la guarigione di un uomo storpio fin dalla nascita (3,1-11).
- Il discorso di Pietro (3,12-20) che non solo spiega l’evento (vv. 12-16), ma chiede agli ascoltatori di interrogare l’evento per scoprire un miracolo più grande: la chiamata alla conversione (vv. 17-24).
Lo scopo del discorso è, dunque, distogliere lo sguardo della folla dal fatto miracoloso per condurla al pentimento ed alla fede. Leggiamo il testo:
In quei giorni, Pietro disse al popolo: «Il Dio di Abramo, il Dio di Isacco, il Dio di Giacobbe, il Dio dei nostri padri ha glorificato il suo servo Gesù, che voi avete consegnato e rinnegato di fronte a Pilato, mentre egli aveva deciso di liberarlo; voi invece avete rinnegato il Santo e il Giusto, e avete chiesto che vi fosse graziato un assassino. Avete ucciso l’autore della vita, ma Dio l’ha risuscitato dai morti: noi ne siamo testimoni.
Ora, fratelli, io so che voi avete agito per ignoranza, come pure i vostri capi. Ma Dio ha così compiuto ciò che aveva preannunciato per bocca di tutti i profeti, che cioè il suo Cristo doveva soffrire. Convertitevi dunque e cambiate vita, perché siano cancellati i vostri peccati» (At 3,13-15.17-19).
La testimonianza di Pietro si radica nell’Antico Testamento: «Il Dio di Abramo, il Dio di Isacco, il Dio di Giacobbe, il Dio dei nostri padri ha glorificato il suo servo Gesù…» (3,13). Da un lato narra l’agire di Dio nella storia d’Israele, dall’altro crea un ponte con coloro che ascoltano, sottolineando la propria appartenenza al popolo dell’alleanza: «il Dio dei nostri padri».
Gesù, nel cui nome lo storpio è stato guarito (3,6), è introdotto come il servo di Dio, evocando in questo modo l’immagine di un altro servo, il servo di YHWH:
Maltrattato, si lasciò umiliare e non aprì la sua bocca; era come agnello condotto al macello, come pecora muta di fronte ai suoi tosatori, e non aprì la sua bocca. Con oppressione e ingiusta sentenza fu tolto di mezzo; chi si affligge per la sua posterità? Sì, fu eliminato dalla terra dei viventi, per la colpa del mio popolo fu percosso a morte (Is 53,7-8).
Pietro continua chiarendo sempre più l’identità del Servo: Gesù è «il Santo e il Giusto»; «l’autore della vita»; «il Cristo di Dio» (vv. 13-14). Gesù è il Messia promesso, un Messia che supera ogni attesa del popolo dell’alleanza perché come autore della vita e santo agisce come Dio e condivide la natura di Dio: è il Dio-con-noi. Utilizzando il termine «giusto», l’apostolo ribadisce inoltre l’innocenza di Gesù. Come il servo di YHWH, è stato ingiustamente perseguitato e condannato a morte dal suo popolo.
A questo punto Pietro punta il dito sugli ascoltatori con una raffica di “voi”:
- Voi avete consegnato e rinnegato (v. 13);
- voi invece avete rinnegato (v. 14);
- voi avete chiesto che vi fosse graziato un assassino (v.14);
- voi avete ucciso l’autore della vita (v. 15).
Nessuno può dichiararsi innocente, ma nella morte del servo e nella croce di Gesù, Dio è presente:
- «Dopo il suo intimo tormento vedrà la luce e si sazierà della sua conoscenza; il giusto mio servo giustificherà molti, egli si addosserà le loro iniquità» (Is 53,11).
- «Ma Dio l’ha risuscitato dai morti» (At 3,15).
Dio ha così portato a compimento ciò che aveva preannunciato per bocca dei profeti: di questo i discepoli sono testimoni. Pietro continua rassicurando i propri uditori. Dio conosce i loro cuori e sa che hanno agito per ignoranza. Prima di morire Gesù stesso aveva compreso la loro debolezza. Si era posto dalla loro parte e aveva chiesto per loro il perdono del Padre: «Padre, perdona loro perché non sanno quello che fanno» (Lc 23,34). Le ultime parole di Gesù, il Figlio di Dio, non sono, dunque, parole di condanna ma di perdono.
La morte di Gesù è letta da Pietro come la conferma di uno stile di vita e di missione. Il Cristo aveva, infatti, descritto la propria missione come incessante ricerca di colui che era perduto: «Io non sono venuto a chiamare i giusti, ma i peccatori a convertirsi» (Lc 5,32).
Nel racconto di Luca questo “chiamare” si concretizza:
- in una serie di incontri che è salutare richiamare alla memoria del cuore: Simon Pietro (Lc 5,8); l ’uomo paralizzato (5,20); Levi, il pubblicano (5,27); la peccatrice (7,48); Zaccheo (19,1-10);
- nelle parabole della pecora smarrita, della moneta e del figlio perduto (Lc 15); della preghiera del fariseo e del pubblicano (18,9-14);
- in guarigioni fisiche concepite come manifestazione esterna di una guarigione interiore o legate strettamente all’esperienza del perdono (Lc 5,17-26; 7,36-49; 15; 19,1-10).
La Chiesa, comunità di discepoli e discepoli, è ora chiamata a vivere come il proprio Maestro: non esiste per condannare, ma per annunciare il perdono di Dio.
Tuttavia, la misericordia del Padre non toglie all’uomo la responsabilità. Per questo Pietro descrive il peccato come una condizione generale dell’umanità, che è culminata nella decisione di crocifiggere Gesù. Soltanto la conversione, intesa come adesione a Gesù nel segno del battesimo, può condurre alla salvezza.
La fraternità ecclesiale nata dalla Pentecoste è trasformata dallo Spirito in un luogo di salvezza, a cui aderire per essere salvati, in cui ricevere il perdono dei peccati ed in cui imparare a perdonare. Questa missione di misericordia, di supplica, di accoglienza, di rigenerazione è la missione della Chiesa che deve poter ripetere con Cristo: «Non sono venuto per condannare il mondo, ma per salvare il mondo» (cfr. Gv 3,17).
La comunità generata dallo Spirito di Gesù ha una responsabilità enorme: portare, intercedere, generare, sciogliere e legare: la responsabilità di essere la misericordia di Dio, l’annuncio della possibilità della risurrezione per ogni creatura che il Padre vuole ricondurre a casa.