I racconti dell’infanzia hanno il carattere della testimonianza a Gesù Cristo. Infatti gli evangelisti non hanno l’intenzione di raccontare la biografia di Gesù bambino, non vogliono descrivere i suoi primi anni di vita, di questo si occuperanno soprattutto i vangeli apocrifi. Invece, attraverso i fatti che raccontano, gli evangelisti intendono mostrare già la missione e la vera identità di quel bambino.
Scorrendo le pagine di Matteo e di Luca, il lettore è sicuramente colpito dalla loro semplicità e poesia. Se poi si addentra in un’analisi più dettagliata, resta sorpreso dalla loro ricchezza teologica e spirituale. Eppure gli rimane qualche perplessità, a partire dal fatto che trova poca precisione nei riferimenti alla nascita del Messia.
Al racconto vero e proprio della nascita, gli evangelisti sembrano preferire le circostanze che l’hanno preceduta e seguita, interessati, si direbbe, più al significato che ai fatti in sé.
Matteo sembra anzitutto guidato da due preoccupazioni: spiegarci come Gesù, sebbene concepito per opera dello Spirito Santo senza concorso d’uomo, possa ugualmente ritenersi discendente da Davide; e mostrarci come la sua vita sia stata segnata dal dramma sin dall’inizio: cercato dai Magi e perseguitato da Erode. Non diversamente Luca, che dà più spazio al racconto dell’annuncio a Maria e dell’annuncio della nascita di Gesù ai pastori che alla nascita stessa di Gesù.
Bisogna inoltre sottolineare che sono numerose le differenze tra i racconti dei due evangelisti. Matteo racconta gli avvenimenti adottando – per così dire – il punto di vista di Giuseppe, che per lui è un personaggio di primo piano. Luca, invece, scrive a partire dalla prospettiva di Maria. Ma c’è di più: diversi sono i fatti riportati, diversa è la loro concatenazione, diverse le prospettive.
La spiegazione è semplice: i Vangeli non sono cronaca, ma predicazione e testimonianza; rispettano la sostanziale storicità delle cose che dicono, sovrapponendovi però un’ampia riflessione teologica, così che i ricordi storici e le riflessioni spirituali non sono quasi distinguibili.
La verità fondamentale che emerge e qualifica in modo originale i racconti dell’infanzia di Gesù è che il Figlio di Dio è uscito dalla sua lontananza e dalla sua invisibilità, ha accorciato le distanze assumendo un volto d’uomo, facendosi visibile e concreto, alla nostra portata, raggiungibile.
Il Natale è allora la memoria che il Figlio di Dio è venuto fra noi, un Dio con noi e per noi. Per questo è importante richiamare che il Natale non è semplicemente la memoria dell’Incarnazione (un Dio fatto uomo), ma la memoria delle precise modalità storiche in cui l’Incarnazione è avvenuta.
A Natale facciamo memoria che il Figlio di Dio si è fatto bambino, nato in una grotta fuori dal paese, rifiutato da Erode e visitato dai pastori, tra le persone più discriminate e di “periferia”. Tutto questo è essenziale: dimenticare questi particolari significherebbe colpire a morte la memoria del Natale.
Il Figlio di Dio è apparso sulla terra ma ha scelto, non a caso, una grotta come luogo emblematico della sua prima manifestazione. Si è inserito nella nostra storia così come essa avviene, e fra le molte situazioni possibili ha scelto, non a caso, la situazione dello sconfitto: un povero, un profugo, un perseguitato.
E così la fede è costretta a scorgere la potenza di Dio nella vicenda di un crocifisso. È questa la pietra d’inciampo che il Natale non deve attutire, ma riproporre. Il Natale deve tornare a essere uno scandalo per tutti quelli che pretendono un Dio fatto a modo loro, annacquandone la scomoda originalità.
Non è tollerabile che Gesù venga ridotto – di fatto – a un Dio-uomo senza volto preciso. È invece nato e vissuto fra gente di ceto comune, ha raccolto tutti coloro che gli altri rigettavano, e ci ha parlato degli ultimi dicendo che sono i primi nell’amore del Padre. Ha indicato tutti gli ostacoli che impediscono l’obbedienza al Signore e la fraternità fra gli uomini: il culto ipocrita di se stessi e non si Dio, l’attaccamento alle forme a scapito della sostanza, l’autorità intesa come dominio e non come dare la vita per, la bramosia del denaro.
Venuto fra noi in forma d’uomo, il Figlio di Dio vuole che si continui a cercarlo fra gli uomini e che lo si accolga come un uomo. Da quando il Figlio di Dio si è fatto uomo, non è più possibile un’altra ricerca di Dio. Perché Dio non soltanto si è fatto uomo, ma è rimasto fra gli uomini.