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Il vecchio Simeone e l’incontro con la Consolazione

Il vangelo di oggi 29 dicembre ci ripropone l’Incontro di Giuseppe e Maria con Simeone (Lc 2,22-35) già ascoltato domenica scorsa. Anche se nell’iconografia popolare Simeone è dipinto come un sacerdote, il testo tace a riguardo della sua occupazione. Si sofferma invece sulla sua identità interiore, descrivendolo come uomo «giusto e pio, che aspettava la consolazione d’Israele, e lo Spirito Santo era su di lui» (v. 25). Come Zaccaria ed Elisabetta, Simeone appartiene ai ‘santi’ d’Israele, a coloro che vivono in relazione con Dio, rispettando i suoi comandamenti e cercando il suo volto. Come loro è guidato dallo Spirito di Dio.

Simeone è presentato come l’uomo vigile, in attesa della consolazione d’Israele. Il termine è spesso associato con la realizzazione delle promesse di Dio (Is 40,1-2; 52,9). Ora, l’attesa diviene incontro perché – come il nome Simeone indica – il Signore ha esaudito le preghiere del suo popolo. Non soltanto egli vede la salvezza, ma «lo accolse tra le braccia e benedisse Dio». Luca dipinge, dunque, l’icona dell’incontro tra Israele ed il suo Messia: Simeone riconosce nel bambino (v. 22) l’unto del Signore, il Cristo (v. 26).

Al gesto seguono le parole di rendimento di grazie (vv. 29-32) e una profezia riguardo all’identità del Cristo (vv. 34-35). Definendosi «servo», Simeone si colloca nel giusto rapporto con Dio, il Signore. Egli può congedarsi dal mondo avvolto dalla pace, dallo shalom della Presenza: ha visto la salvezza ed ha compreso che è dono per tutta l’umanità, «luce» per le genti e «gloria» per il popolo santo. Il termine «luce» (phōs) indica una modalità nuova di vita: l’incontro con il Cristo non toglie da una storia di sofferenza, di morte; non elimina la fatica della sequela, ma dona direzione, illumina il cammino, rende possibile il viaggio. La «gloria» (doxan) si riferisce invece alla manifestazione della Presenza che, come un tempo aveva trasfigurato il volto di Mosè, continua a trasfigurare il volto dei suoi figli, rendendoli il luogo dell’incontro.

In un figlio d’Israele la Presenza si è fatta ormai carne: Simeone non benedice il bambino, ma il padre e la madre. Indirizza poi a Maria parole che sembrano contraddire l’inno di gioia: «Ecco, egli è qui per la caduta e la risurrezione di molti in Israele e come segno di contraddizione – e anche a te una spada trafiggerà l’anima -, affinché siano svelati i pensieri di molti cuori» (v. 34). Colui che è pace, luce e manifestazione della gloria, rivelerà il Padre con modalità inattese, nel segno della croce.

L’incontro con la consolazione d’Israele obbligherà i cuori a venire allo scoperto. Per coloro che si sintonizzeranno con lui l’ora dell’incontro sarà l’ora della salvezza; per chi lo rifiuterà diverrà pietra d’inciampo: «Egli sarà insidia e pietra di ostacolo e scoglio d’inciampo per le due case d’Israele, laccio e trabocchetto per gli abitanti di Gerusalemme» (Is 8,1). Il riferimento al gladio, una spada a doppio taglio capace di trafiggere il cuore, è stato normalmente interpretato come una profezia della sofferenza di Maria ai piedi della croce, di cui però Luca non parla. Stando alla logica di questo vangelo, invece, queste parole indicano il difficile cammino del discepolo, perché Gesù è, anche per Maria, un «segno di contraddizione» che svela i pensieri del suo cuore e chiam a scelte sempre più radicali (Eb 4,12).

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