Colpisce nel vangelo di questa domenica di Pentecoste l’accostamento, fatto da Gesù risorto, tra il dono dello Spirito Santo e la remissione dei peccati:
«Ricevete lo Spirito Santo. A coloro a cui perdonerete i peccati, saranno perdonati; a coloro a cui non perdonerete, non saranno perdonati» (Gv 20,22-23).
Lo Spirito
Innanzitutto, il Risorto, dopo aver augurato la pace (Gv 20,19), mostra ai discepoli titubanti e gioiosi le ferite delle mani e del costato. C’è chi tra di loro vorrà mettere il dito come Tommaso. Gesù ribadisce, per la seconda volta, il dono della pace poi annuncia la missione dei suoi discepoli che è un prolungamento della sua.
Pace a voi! Come il Padre ha mandato me, anche io mando voi
Infine, soffia su di loro donando lo Spirito santo. Il verbo greco enephýsēsen, «soffiare», è molto raro nel quarto vangelo ed è raro anche nella versione greca dell’Antico Testamento, la Settanta. Infatti lo troviamo nel racconto della creazione dell’uomo:
E Dio plasmò l’uomo, polvere dalla terra, e soffiò (enephýsēsen) nel suo volto un respiro di vita, e così l’uomo divenne anima vivente (Gen 2,7[LXX]).
La stessa immagine è ripresa in un testo particolarmente significativo del profeta Ezechiele:
Io profetizzai come mi era stato ordinato; mentre profetizzavo, sentii un rumore e vidi un movimento fra le ossa, che si accostavano l’uno all’altro, ciascuno al suo corrispondente. Guardai, ed ecco apparire sopra di esse i nervi; la carne cresceva e la pelle le ricopriva, ma non c’era spirito (pnêuma) in loro. Egli aggiunse: «Profetizza allo spirito (pnêuma), profetizza, figlio dell’uomo, e annuncia allo spirito (pnéumati): “Così dice il Signore Dio: Spirito, vieni dai quattro venti (pneumátōn) e soffia (emphýsēson) su questi morti, perché rivivano”». Io profetizzai come mi aveva comandato e lo spirito (pnêuma) entrò in essi e ritornarono in vita e si alzarono in piedi; erano un esercito grande, sterminato (Ez 37,7-10 [LXX]).
Se Gesù, che aveva «consegnato» (parédōken) lo Spirito nell’evento della sua morte (Gv 19,30), ora invita i discepoli a riceverlo (lábete): un dono è veramente tale quando è accolto.
Il perdono dei peccati
Il tema del perdono dei peccati (Gv 20,23) sorprende il lettore perché non è mai stato ricordato nel quarto vangelo, in cui il termine «peccato» è solitamente usato al singolare per indicare il rifiuto di credere nel Figlio. Ma nell’Antico Testamento il dono dello Spirito è sempre stato legato anche a quello del perdono dei peccati, perché là dove c’è lo Spirito c’è la vita nuova, la nuova alleanza. Un testo esemplificativo è quello di Ezechiele 36:
Vi aspergerò con acqua pura e sarete purificati; io vi purificherò da tutte le vostre impurità e da tutti i vostri idoli (= i peccati), vi darò un cuore nuovo, metterò dentro di voi uno spirito nuovo, toglierò da voi il cuore di pietra e vi darò un cuore di carne. Porrò il mio spirito dentro di voi e vi farò vivere secondo le mie leggi e vi farò osservare e mettere in pratica le mie norme (Ez 36,25-27).
Il Gesù crocifisso e risorto promette che là dove ci sarà lo Spirito Santo, ci sarà pure il perdono dei peccati. Infatti, perdonare è (per)donare attraverso le ferite ricevute, è trasformare il male ricevuto nell’occasione di un gesto d’amore, è seminare pace con una sovrabbondanza di amore che vince l’odio e la violenza patiti.
Gesù risorto ha vinto in se stesso, con l’amore, il male subito, e, manifestando ai discepoli la continuino del suo amore nei loro confronti, comunica loro anche la vita per partecipare alla sua vita di Risorto: vincere il male con l bene, rispondendo alla cattiverie con dolcezza, far prevalere la grazia sulla vendetta e sulla rivalsa.
C’è un passo previo prima di donare il perdono agli altri: con l’aiuto dello Spirito il credente riconosce il male che abita in lui e impara a vincerlo con il bene e l’amore. È illusorio pensare che il perdono si esaurisca in un momento. Quanto è stupido e fallace chiedere a una persona che ha subito un grave torto o delitto se ha perdonato! Infatti il dinamismo umano del perdono è una lunga e faticosa strada, perché per perdonare occorre rinunciare alla volontà e alla tentazione di vendicarsi; riconoscere che si soffre per il male subito e che tale male ci ha privati realmente di qualcosa; condividere con qualcuno il racconto del male ricevuto; dare il nome a ciò che si è perso per poterne fare il lutto; dare alla collera il diritto di esprimersi 1; perdonare a se stessi; comprendere l’offensore, cioè guardarlo come un fratello che il male ha allontanato da me; trovare un senso al male ricevuto; sapersi perdonati da Dio in Gesù.
Questo non facile cammino il credente lo vive solo se si apre all’effusione dello Spirito che fa regnare Gesù risorto in lui e nelle sue relazioni.
- Qui sta il valore dei Salmi di vendetta, così abborriti oggi, ma che svolgevano la terapeuta funzione di sturare la collera dall’animo umano, indirizzandola verso il cielo piuttosto che contro qualcuno. ↩