¹ Al maestro del coro. Su «Iedutùn». Salmo. Di Davide.
² Solo in Dio è il riposo dell’anima mia:
da lui la mia salvezza.
³ Lui solo è mia roccia e mia salvezza,
mia difesa: mai potrò vacillare.
⁴ Fino a quando vi scaglierete contro un uomo,
per abbatterlo tutti insieme
come un muro cadente,
come un recinto che crolla?
⁵ Tramano solo di precipitarlo dall’alto,
godono della menzogna.
Con la bocca benedicono,
nel loro intimo maledicono.
⁶ Solo in Dio riposa l’anima mia:
da lui la mia speranza.
⁷ Lui solo è mia roccia e mia salvezza,
mia difesa: non potrò vacillare.
⁸ In Dio è la mia salvezza e la mia gloria;
il mio riparo sicuro, il mio rifugio è in Dio.
⁹Confida in lui, o popolo, in ogni tempo;
davanti a lui aprite il vostro cuore:
nostro rifugio è Dio.
¹⁰ Sì, sono un soffio i figli di Adamo,
una menzogna tutti gli uomini:
tutti insieme, posti sulla bilancia,
sono più lievi di un soffio.
¹¹ Non confidate nella violenza,
non illudetevi della rapina;
alla ricchezza, anche se abbonda,
non attaccate il cuore.
¹² Una parola ha detto Dio,
due ne ho udite:
la forza appartiene a Dio,
¹³tua è la fedeltà, Signore;
secondo le sue opere
tu ripaghi ogni uomo.
Il Salmo è un canto di fiducia dove l’orante inizia con una constatazione che è una sorta di professione di fede: Solo in Dio è il silenzio/riposo dell’anima mia. Egli fa l’esperienza della quiete dell’anima: un silenzio interiore della mente e del cuore che sgorga nell’attimo in cui il credente, in un atto di fede, getta tutte le sue angoscia e paure in Dio. Dietro queste parole si può intravvedere il cammino agitato che ha preceduto l’atto di affidamento: nessun altro tentativo era riuscito a spezzare il cerchio della paura. Da questo momento in avanti Dio solo è roccia, salvezza e rifugio. La conseguenza è immediata: l’orante non trema più!
Al v. 4 chi prega si rivolge a un “voi”, forse i suoi avversari, apostrofandoli con «fino a quando…». È una domanda che spesso affiora nel salterio quando la situazione diventa difficile e l’aria si fa irrespirabile. La novità del versetto è che essa non è diretta a Dio, ma ai nemici, chiedendo loro fino a quanto continueranno a infierire. Con una lettura profonda dell’animo umano il salmista porta alla luce la loro intenzione: abbatterlo come si abbatte un muro pericolante. Il linguaggio è fortemente evocativo per cui non si specifica la modalità dell’attacco nemico. Esso si fa più preciso al v. 5, perché l’assalto consiste nel spargere falsità, nel fomentare il venticello della calunnia, oggi diremmo dei fake news, contro l’orante che da quanto detto sembra essere una persona in vista. C’è quindi la finzione ipocrita: parlare bene di lui, ma tramare segretamente per scalzarlo dalla sua posizione di prestigio sociale (v. 5).
I vv. 6-7 riprendono il ritornello del vv. 2-3 con delle significative modifiche. Innanzitutto non c’è più il sostantivo «silenzio» ma la sua forma verbale all’imperativo, si passa quindi dalla dichiarazione all’esortazione diretta all’anima dell’orante perché trovi pace/silenzio/riposo in Dio: «Solo in Dio riposi l’anima mia». Inoltre, se al v. 1 da Dio veniva la «salvezza» ora è la «speranza». Di conseguenza è la speranza nel presente che sostiene l’orante mentre attende che la salvezza da Dio giunga a compimento.
Sia al v. 7 che in quello successivo il salmista richiama alcune qualità di Dio, espresse sotto forma di metafora, e le reclama per sé aggiungendo a ciascuna l’aggettivo possessivo «mio»: «mia rupe, mia salvezza, mia fortezza mio rifugio». Questi attributi sono quelli che Israele ha riconosciuto nel corso della sua storia relazionale con il Signore (cfr. Dt 32,4; Es 15,2). Essi poi appartengono alla confessione di fede del popolo di Israele, professata nel culto e nelle preghiere. Ecco perché l’orante coinvolge nella sua esperienza il popolo stesso, ma è vero anche il contrario l’esperienza di fede del popolo diventa quella dell’orante perché si riconosce nel fatto che il popolo di Israele sempre ha confidato in Dio, sempre ha effuso il suo cuore e ha trovato fiducia nel Signore (v. 9).
Al v. 10 la riflessione si allarga con un richiamo ai Salmi 39,6 e 116,1. La prospettiva è improvvisamente quella di Dio, tanto che il salmista mutua un linguaggio iperbolico: se si prende una bilancia e su un piatto si mettono tutti gli uomini, mentre nell’altro il «soffio», quest’ultimo sarà più pesante. Dalla prospettiva divina emerge tutta l’inconsistenza dell’uomo come ben sottolinea Is 40,15.17: «Ecco, le nazioni sono come una goccia che cade da un secchio, contano come polvere sulla bilancia … Tutte le nazioni sono come un niente davanti a lui, come nulla e vuoto sono da lui ritenute». In Isaia il paragone con Dio è esplicito, mentre nel nostro salmo lo sottolinea a distanza.
Se questa è la condizione dell’uomo, allora confidare nelle ricchezze e nelle rapine, come fanno i nemici dell’orante, per accrescere la propria potenza non porta a nulla (v. 11). È impiegato il verbo hāḅal «essere vano». Non c’è una condanna della ricchezza in sé, ma dell’attaccamento dell’uomo ad essa. Lo denuncerà Gesù nella parabola dell’uomo ricco che esorta la sua anima a godere di beni accumulati: «Stolto, questa notte stessa ti sarà richiesta la tua vita. E quello che hai preparato, di chi sarà?. Così è di chi accumula tesori per sé e non si arricchisce presso Dio» (Lc 12,20-21).
Con lo stile del proverbio numerico il supplice svela una verità profonda da lui stesso sperimentata: a Dio appartiene il potere e l’amore leale. I due termini sono posti in parallelo. Infatti, con il suo potere Dio ricompensa gli uomini secondo le loro opere (v. 13b), mentre con il suo amore diventa rifugio sicuro per chi getta tutta la sua vita in Lui (v. 13a).
Per la maggior parte dei suoi versetti lo stile del salmo è improntato alla professione di fede di una persona e alla sua testimonianza personale, oltre che all’istruzione di altri. Tuttavia, l’ultimo versetto (v. 13) passa al discorso diretto, rivolgendosi al “Tu” divino. Così facendo il salmo diventa una preghiera recitata alla presenza di Dio nella quale ogni singolo orante professa la personale fiducia e abbandono a Dio potente e amorevole.