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Caino e Abele: il morso del serpente. Gen 4,1-16 (terza parte)

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Il confronto Yhwh e Caino: vv. 6-7

Ci siamo lasciati nel post precedente con il volto abbattuto di Caino. C’è ora l’intervento di Yhwh. Il fatto che Dio non guardi a Caino e alla sua offerta non significa che si stia disinteressandosi di lui, anzi, vedendo il suo incedere cupo e il suo volto infuocato dall’ira ne chiede ragione con le seguenti parole:

⁶Yhwh disse allora a Caino: «Perché sei irritato e perché è abbattuto il tuo volto? ⁷Se agisci bene, non dovresti forse tenerlo alto? Ma se non agisci bene, il peccato è accovacciato alla tua porta; verso di te è il suo istinto, e tu lo dominerai».

Al v. 6 Dio riprende in forma interrogativa quanto il narratore aveva detto a proposito della reazione di Caino (cfr. 4,5), così facendo Yhwh mostra tutta la sua attenzione per la lotta interiore che il primogenito sta vivendo. Il prosieguo del discorso divino al v. 7 è alquanto oscuro, probabilmente si tratta di una frase che ha lo scopo di suscitare nell’interlocutore una certa sorpresa: «che cosa sta dicendo?»1. In effetti il versetto sembra tormentato ed enigmatico, nell’originale suona più o meno così2:

7a. Forse non se fai bene alzare
e se non fai bene alla porta peccato accovacciato;
7b. verso di te è il suo istinto, e tu lo dominerai.

Il testo è così conciso da essere quasi illeggibile, specialmente la prima parte 7a. Sembra che manchi qualcosa per esplicitarlo e che il lettore sia quindi chiamato a completarlo. Per fare ciò è necessario guardare al contesto in cui il versetto è inserito. Al v. 6 Yhwh chiede conto a Caino del suo atteggiamento, seguono le parole enigmatiche del v. 7 che si conclude con la seguente espressione: «verso di te è il suo istinto, e tu lo dominerai» (v. 7b). La parola italiana «istinto» traduce l’ebraico tešūqâ che oltre a questo testo ritorna solo in Gen 3,16 e Ct 7,11, due brani in cui senza ombra di dubbio indica un’attrazione sessuale3: «Io sono per il mio diletto e la sua brama (tešūqâ) è verso di me», dice l’amata del Cantico.

C’è qualcosa, dunque, che desidera Caino tanto quanto l’amato brama l’amata; una forza paragonabile alla passione più viscerale dell’uomo per la donna sta accovacciata alla porta di Caino, in agguato, desiderando con tutto se stessa di attirarlo a sé4. Il soggetto che «brama» Caino è espresso dal pronome suffisso di terza persona «sua». A chi fa riferimento? La spiegazione più semplice è che il pronome (la sua bramosia/istinto) stia al posto del sostantivo «colpa/peccato», presente in 7a qualche parola prima: è il peccato che brama Caino. Il problema è che il sostantivo «peccato» ḥaṭṭāʾt è femminile e il pronome maschile. Osserviamo anche che il participio rōḇēṣ «accovacciare» è maschile, quindi come suggerisce Alonso Schökel5, il «peccato» è immaginato come un animale feroce e aggressivo, inoltre in Lv 4,23.28 il sostantivo è soggetto di un verbo al maschile6. Questa è una buona soluzione anche se grammaticalmente registra un’aporia: come giustificare un pronome maschile attribuito a un sostantivo femminile che viene specificato da un participio maschile. Dato che il peccato è presentato come un animale accovacciato, l’unico animale di genere maschile di cui si parla espressamente nei capitoli precedenti è il serpente, metafora di quella tentazione di essere diversi da quello che si è chiamati ad essere, che aveva investito i genitori di Caino7.

Caino e la chiamata a dominare

Ricapitoliamo la situazione descrittaci dalle parole divine a Caino: il peccato è come una belva feroce (forse il serpente?), accovacciato alla porta della tua casa, in attesa di saltarti addosso e sbranarti; lo vuole con tutto se stesso. «Ma tu dominalo!». Il verbo «dominare» (māšal) è già stato utilizzato precedentemente proprio da Yhwh nella sentenza sulla donna dove è ricorso anche il sostantivo «istinto» (tešūqâ). È giunto il momento di mettere in parallelo i due versetti che contengono le parole di Yhwh:

3,16: Verso il tuo uomo il tuo istinto e lui dominerà in te;
4,7: Verso di te il suo istinto e tu dominerai in lui.

Il confronto evidenzia che tra i due versetti c’è una chiara somiglianza. Ciò significa che per Yhwh il problema che attanaglia Caino è strettamente legato alla svolta presa dalla relazione tra i suoi genitori dopo aver dato ascolto al serpente. Nel racconto della nascita di Caino avevamo notato come la bramosia della donna/madre si era riversato sul figlio da lei considerato il suo «uomo» (4,1e), in risposta al dominio che il marito, anch’egli preso dalla bramosia della «conoscenza» sessuale, aveva esercitato su di lei (4,1a). In questo modo il serpente della bramosia è venuto ad annidarsi in Caino, ed ora si manifesta come gelosia che minaccia di portarlo al fallimento. Il peccato denunciato da YHWH con il termine ḥaṭṭāʾt non ha un’implicanza in primo luogo morale, ma indica qualcosa di più concreto, vale a dire il fallimento, lo smacco di chi sbaglia la mira o manca lo scopo8. Ora il verbo «dominare» (māšal) è un yiqtol o imperfetto di natura volitiva, usato come un imperativo9, ecco perché lo si può anche rendere con: «Puoi dominarlo», «lo dominerai». Secondo questa accezione Yhwh sta mettendo davanti a Caino la possibilità di scegliere: il peccato ti attira a sé con tutta la sua forza, ma tu puoi opporti, hai la capacità di dominarlo.

Alzare – perdonare

Venendo alla prima parte del versetto (4,7a) ci sono due proposizioni, la prima fa da protasi la seconda da apodosi10. Le protasi sono identiche a parte la negazione nella seconda: «Se fai bene… ma se non fai bene».

«Fare bene» yāṭaḇ all’hifil può significare «agire bene» come traduce anche la CEI del 1974 e del 2008, ma anche «rendere bene». In precedenza al capitolo secondo sempre Yhwh-Dio aveva affermato che «non è bene» (lōʾ-ṭôḇ) per l’uomo essere solo, vale a dire senza relazioni (cf. Gen 2,18). Illuminati da questo contesto il «fare bene», a cui Caino è chiamato, è di non cadere in questa solitudine, ma di accogliere quella relazione che gli sta davanti: quella con il fratello. In questo senso Caino è chiamato a «rendere bene» quello che a prima vista gli può sembrare un male perché invischiato dentro un desiderio totalizzante che produce in lui solo frustrazione (guarda a quello che non ha e non a tutto ciò che ha) facendolo soffrire.

Il risultato poi di questo «agire bene» e «rendere bene» è espresso nella prima apodosi con l’infinito costrutto del verbo nāśāʾ «alzare» da intendersi come frase nominale: «è alzata per te», l’oggetto lo si integra guardano al v. 6 dove il narratore ha ritratto il capo di Caino chinato. Per cui l’espressione la si può rendere così:

«Se agisci bene (protasi), non dov resti forse tenerlo alto [il volto] (apodosi)?».

Il verbo nāśāʾ ha però uno spettro semantico molto ampio: può significare oltre ad «alzare», «tenere alta la testa, «accogliere favorevolmente», «sopportare la sofferenza», «togliere l’offesa», quindi per estensione «perdonare»11. Le parole di Yhwh suonano come un invito a cambiare rotta: se Caino agirà bene, «rialzerà» la faccia e questo gli permetterà di guardare e farsi guardare dal fratello in una relazione paritaria.

La seconda apodosi presenta l’immagine del peccato accovacciato («Il peccato è accovacciato alla tua porta»). Il verbo rāḇaṣ benché indichi il tranquillo coricarsi di animali domestici, può assumere un significato più aggressivo, come in Gen 49,9 dove si parla del leone: «Si accovaccia; chi lo farà alzare?».

Concludendo, la postura di Caino mette in allarme Yhwh che coglie che in lui qualcosa non va. Caino, per Dio, non è ancora a un punto di non ritorno: certamente il peccato è alla porta e attende l’occasione per aggredirlo, ma il Signore lo invita a dominare l’animale che è in lui per realizzare quello a cui è stato chiamato fin dalla nascita di suo fratello Abele: uscire dalla relazione «incestuosa» in cui lo aveva invischiato sua madre la madre ed essere fratello, dando avvio a delle relazioni paritarie.

Se Caino romperà questo legame materno e incontrerà Abele come “suo” fratello, andrà «a testa alta» perché ritroverà la propria autonomia e dignità12.

In questo modo Caino porterà la propria sofferenza ma senza farla pesare sugli altri, «perdonando» allo stesso tempo la colpa dei suoi genitori nei suoi confronti ed mostrandosi capace di «accogliere» Abele come il dono di un fratello13.

Caino ci riuscirà?

Continua …


  1. J. SKINNER, Genesis (ICC), Edinburgh 19302, 107 così si esprime: «Every attempt to extract a meaning from the verse is more or less of a tour de force». Il v. è stato studiato a fondo da L. RAMOROSON, A propos de Gen 4:7, in Bib 49 (1968), 233-237.
  2. Per la traduzione mi rifaccio ad ALONSO SCHÖKEL, Dov’è tuo fratello, 41-43.
  3. Cfr. ALONSO SCHÖKEL, Dov’è tuo fratello, 44.
  4. Cfr. C. BROCCARDO, Caino e Abele, suo fratello (Gen 4,1-16), in Parole di Vita LI.4 (2007), 7.
  5. ALONSO SCHÖKEL, Dov’è tuo fratello, 43.
  6. Per WENHAM, Genesis 1-15, 94, il pronome suffisso si riferisce al participio «accovacciato» e non al sostantivo «peccato». Vedi anche pp. 104-106 dove sono riportate soluzioni interpretative di vari autori antichi e moderni.
  7. Così WÉNIN, Da Adamo ad Abramo, 106.
  8. Cfr. GLAT.
  9. Cfr. JOÜON – MURAOKA, A Grammar, 113m.
  10. Il loro insieme è chiamato nella sintassi testuale proposizione doppia.
  11. Cfr. BDB, 6337 § 3.b. Vedi anche GLAT V, 1065-1066: «Il baricentro semantico, sotto ogni aspetto (materiale, emotivo, spirituale), sta nell’idea di sopportazione o resistenza, che si tratti di una punizione, di un’umiliazione o di altre cose del genere. Nell’A.T. è proprio quest’ultima idea che è stata estesa col principio del perdono. A sua volta il perdono è legato all’idea di togliere di dosso, di portare via la colpa, il peccato e la punizione. Poiché l’espressione usata per il perdono è di frequente sinonimica di “portare il peso della punizione», spesso il perdono viene inteso come «portare, cancellare ecc.”».
  12. È il significato dell’infinito costrutto del verbo nāśāʾ quando è usato come sostantivo.
  13. Cfr. WÉNIN, Da Adamo ad Abramo, 105.

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