Il raggio di luce: l’adultera perdonata

Il racconto del perdono della donna adultera presente in Giovanni al capitolo ottavo sembra essere un testo di Luca inserito nel quarto vangelo. Non affrontiamo le questioni relativi alla sua formazione, ma cogliamo subito la struttura semplice della trama:

  1. Introduzione vv. 1-2;
  2. Il caso sottoposto dagli scribi e i farisei a Gesù vv. 3-6a;
  3. La risposta di Gesù agli accusatori vv. 6b-9;
  4. Il dialogo di Gesù con la donna vv. 10-11.

Prima leggiamo il testo:

In quel tempo, ¹ Gesù si avviò verso il monte degli Ulivi. ² Ma al mattino si recò di nuovo nel tempio e tutto il popolo andava da lui. Ed egli sedette e si mise a insegnare loro. ³ Allora gli scribi e i farisei gli condussero una donna sorpresa in adulterio, la posero in mezzo e ⁴ gli dissero: «Maestro, questa donna è stata sorpresa in flagrante adulterio. ⁵ Ora Mosè, nella Legge, ci ha comandato di lapidare donne come questa. Tu che ne dici?». ⁶ Dicevano questo per metterlo alla prova e per avere motivo di accusarlo. Ma Gesù si chinò e si mise a scrivere col dito per terra. ⁷ Tuttavia, poiché insistevano nell’interrogarlo, si alzò e disse loro: «Chi di voi è senza peccato, getti per primo la pietra contro di lei». ⁸ E, chinatosi di nuovo, scriveva per terra. ⁹ Quelli, udito ciò, se ne andarono uno per uno, cominciando dai più anziani. Lo lasciarono solo, e la donna era là in mezzo. ¹⁰ Allora Gesù si alzò e le disse: «Donna, dove sono? Nessuno ti ha condannata?». ¹¹ Ed ella rispose: «Nessuno, Signore». E Gesù disse: «Neanch’io ti condanno; va’ e d’ora in poi non peccare più».

Introduzione

Gesù, dopo aver trascorso la notte sul monte degli ulivi, ritorna al Tempio di Gerusalemme e si mette ad insegnare. Il narratore lo presenta della tipica posa del maestro: è seduto.

Il caso: vv. 3-6b

All’improvviso il suo insegnamento viene interrotto dall’irrompere degli scribi e dei farisei giunti per sottoporgli il caso di una donna sorpresa in flagrante adulterio. Come indica il termine «adulterio» si tratta di una donna sposata. Per contro, il narratore non cita né chi l’ha colta sul fatto, né chi sia il suo amante, né la reazione di suo marito. La narrazione si concentra interamente su questa donna posta al centro. Il v. 4 formula esplicitamente l’accusa mossa contro di lei, mentre il v. 5 ricorda che, nella Legge di Mosè, il decalogo vieta l’adulterio (Es 20,14): la pena in cui si incorre in caso di infrazione è la morte (cfr. Dt 22,22; Lv 20,10) per lapidazione (cfr. Dt 22,23-24).

Fingendo di riconoscere in Gesù un maestro e sollecitandone un parere gli scribi e i farisei perseguono uno scoop ben preciso, esplicitamente detto dal commento del narratore: «Dicevano questo per metterlo alla prova e per avere motivo di accusarlo» (v. 6a). I custodi zelanti della Legge1 rinchiudono Gesù in un dilemma per metterlo all’angolo, in un vicolo cieco: o Gesù rispetta la Legge e perciò nega la sua misericordia alla gente comune, o usa misericordia verso la gente comune violando la Legge. Questo modo di utilizzare la Legge è perverso, perché una simile applicazione tende a mettere l’uomo (in questo caso la donna e Gesù) in un vicolo cieco più che ad articolarne il rapporto con Dio.

La risposta del rabbi di Nazareth: vv. 6b-9

Gesù costruisce la sua risposta in due tempi. Per prima cosa Gesù pone un gesto: egli si china e scrive per terra (v. 6b). Con il suo silenzio e il suo comportamento il rabbi di Nazareth segnale che ha compreso le intenzioni dei suoi contraddittori e che si rifiuta di stare al loro gioco. Il suo gesto ha forse un senso nascosto? Che cosa scrive per terra? A queste due domande il narratore non risponde, lasciando il lettore alle proprie inferenze su comportamento di Gesù. Il dato chiaro è però che il Signore rifiuta di trattare la questione nel modo in cui lo vorrebbero i suoi avversari.

Ciononostante, ed è il secondo tempo della risposta, dinanzi all’insistenza dei suoi interlocutori (v. 7b) Gesù, rialzatosi, rivolge loro le famose parole: «Chi di voi è senza peccato, getti per primo la pietra contro di lei». La risposta fa leva su Dt 13,10-11 e Lv 17,5-7: in caso di lapidazione è il testimone del crimine contro la Legge ad avere il diritto di scagliare la prima pietra. Gesù tuttavia reinterpreta la prescrizione della Scrittura: solo chi è senza peccato possiede un simile diritto. La risposta di Gesù consiste dunque nel ristabilire il vero senso della Legge. Chi esige un’applicazione rigorosa della Legge deve contestualmente applicarla a se stesso e così facendo si scopre a sua volta trasgressore e sotto la minaccia del giudizio di Dio: l’accusatore si trasforma in accusato. Rientrato nel raggio dei peccatori, non è più in grado di utilizzare la volontà di Dio per condannare il prossimo. Gesù, tornando a chinarsi e ricominciando a scrivere per terra (v. 8), sottolinea che la sua affermazione è inappellabile e non può essere messa in discussione.

L’andarsene dei accusatori (v. 9) rende plasticamente la loro sconfitta. Uno dopo l’altro, a partire dai più anziani e rispettabili, ognuno di essi si scopre (al pari della donna) in situazione di peccato e quindi non in condizione di giudicare il prossimo (cfr. Mt 7,1), così resta Gesù solo con la donna sulla scena. Come scrive Agostino: «relicti sunt duo, misera et misericordia».

Gesù e la donna: vv. 10-11

La conclusione del racconto pone al centro l’incontro tra la donna e Gesù. Rialzatosi, Gesù si rivolge per la prima volta alla donna, non per interrogarla sul suo comportamento bensì su quello dei suoi accusatori. La loro scomparsa, confermata dalla donna, significa che l’accusa è stata ritirata. Gesù si unisce a quel verdetto in contumacia: anch’egli non condanna la donna ma la invita a cogliere quel momento come un’opportunità datale di scegliere un nuovo modo di vivere che non comprometta più la propria relazione con Dio.

Mentre gli scribi e i farisei esigevano un verdetto di condanna e di morte per l’adulterio commesso, Gesù si rifiuta di ridurre la donna alla sua trasgressione. Non gli interessa il suo passato, ma il suo futuro. Il suo verdetto è all’insegna della misericordia. Senza banalizzare né dimenticare il peccato riaccende la speranza e la vita. Inoltre, non chiede alcuna contropartita (ammissione di colpa, pentimento, fede) per accordarle il perdono.

La misericordia di Gesù è un “puro” atto di nuova creazione, sufficiente perché la donna possa cambiare. Il finale è aperto: non sappiamo cosa ne sarà di lei, ma solo che, affinché possa tornare a vivere, Gesù la perdona, inviandola nella libertà e affermando con i fatti che, tra Legge e misericordia, quest’ultima è la vera chiave per cogliere l’essenza della Legge.

Gesù sceglie la misericordia senza mettersi contro la Legge, perché sa distinguere il peccato dal peccatore. Ripetutamente la Legge invita ad estirpare il male che è in mezzo al popolo (Dt 17,7; 19,19; 21,21; 22,24; 24,7). Questa donna, «posta in mezzo» dai suoi accusatori, è presentata a Gesù come un cancro da eliminare. Coi suoi gesti e le sue parole egli dimostra che l’unico modo possibile per estirpare il male del peccato è l’incontro con la misericordia di Dio, perché la Legge non ha altro scopo che portare alla vita, così come afferma il profeta Ezechiele: «Forse che io ho piacere della morte del malvagio — oracolo del Signore — o non piuttosto che desista dalla sua condotta e viva?» (Ez 18,23).

  1. Gli scribi e i farisei si percepivano come i difensori della Legge mosaica rispetto alla maggioranza del popolo.

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