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La sentenza sulla donna e la prospettiva di una madre soffocante: Gen 3,16

Con la maledizione sul serpente si dichiara che la bramosia è nemica di Dio e dell’umanità (cfr. Gen 3,15). Le sentenze sulla donna e sull’uomo, che seguono, evidenziano da parte di Yhwh Elohim quello che il serpente/bramosia è capace di generare in negativo: diffidenza, legami spezzati, dominio, inimicizia.

Alla donna [il Signore] disse: «Moltiplicherò i tuoi dolori e le tue gravidanze, con dolore partorirai figli. Verso tuo marito sarà il tuo istinto, ed egli ti dominerà» (Gen 3,16).

Prima di procedere è utile precisare che le parole divine in Gen 3,16-19 non sono una semplice esplicitazione di quel futuro che attenderà i personaggi messi in scena nel racconto, esse sono anche un’interpretazione della disarmonia che lo stesso lettore – quindi noi – percepisce attorno a sé e soprattutto nelle relazione fondamentali – uomo e donna; uomo e creato; uomo e Dio – e che ha nella logica del “desiderio degenerato” (=bramosia) la sua origine. Al lettore è chiesto di avere un occhio rivolto al racconto e uno alla sua esperienza, perché si tratta di verificare in che misura le sentenze di Yhwh Elohim parlano delle conseguenze della bramosia, saldandosi con quella realtà umana che conosce e che le parole divine riflettono.

Il gioco della sopraffazione

La donna che era stata creata per essere l’aiuto, colei che sta di fronte all’uomo e la portatrice della vita (cfr. 2,18.23-24 e il post dedicato), qui registra le due disarmonie più forti perché segnate da dolore e sofferenza.

Innanzitutto la relazione con il proprio uomo è ritratta da Yhwh Elohim in termini di bramosia: «Verso il tuo uomo sarà i tuo desiderio(tešûqâ), ma egli dominerà su di te» (3,16b). Il rapporto reciproco desiderato da Dio tra uomo e donna degenera nella presa dell’uno sull’altra. L’uomo è preso dalla donna come oggetto del proprio desiderio, dove il termine tešûqâ evoca un desiderio ardente, come ben evidenziato nel Cantico dei cantici (cfr. Ct 7,11), che ha in sé qualcosa di istintivo e di animalesco (cfr. Gen 4,7); mentre lei subisce il potere dominante di colui che vuole fare suo. Tutte e due sono dentro un gioco di forza dove l’uno tenta di avere il sopravvento sull’altro riducendolo ad oggetto. Yhwh Elohim non dice nulla di nuovo, ma si limita a constatare con una sentenza quanto era già avvenuto: l’uomo lo aveva fatto con la donna nel suo “falso” canto d’amore in Gen 2,23, mentre affermerà presto il suo potere su di lei dandole un nome (cfr. 3,20). Il seguito di questo racconto non tarderà a dimostrare che la donna ripagherà l’uomo con la stessa moneta e, anche lì, il lettore constaterà che la realtà da lui conosciuta non sarà molto dissimile1. È il gioco perverso della bramosia che è foriera di morte2.

Madre padrona, la maternità degenerata

La donna è colpita anche nella sua dimensione di madre:

Moltiplicare moltiplicherò la tua pena e la tua gravidanza e con dolore partorirai dei figli (3,16a).

L’espressione duplice «la tua pena e la tua gravidanza» può essere letta come una endiadi, «la pena della tua gravidanza»3, ma il fatto che sia in parallelo con la ripetizione del verbo moltiplicare (infinto assoluto e yiqtol) può aprire ad altre piste di lettura.

Iniziamo col dire che il momento meraviglioso del parto, inizio della vita, è anche un momento terribile e doloroso, carico di «pericolo» di morte: tale stridente dissonanza è sintomo di un dramma in atto. Per questo spesso nel linguaggio biblico i dolori del parto sono adoperati come segno misterioso dell’intervento salvifico operato da Dio (cf. Is 26,17-19).

Il testo parla però di una gravidanza moltiplicata. Questo può far riferimento al fatto che la donna proverà più di una volta i dolori del parto perché potrà avere più di un figlio, ma potrebbe anche far riferimento al fatto che nella relazione madre e figlio la donna metterà al mondo più volte lo stesso figlio. Se teniamo buona quest’ultima osservazione e quanto si è detto sulle sentenze di Yhwh Elohim che toccano le relazioni fondamentali inficiate dalla bramosia per mostrarne i pericoli se non ben governate, c’è la possibilità di portare alla luce un ulteriore significato della sentenza sulla donna che si configura per il lettore come una sorta di messa in guardia di come la relazione madre-figlio/a potrebbe scadere in relazione mortifera.

Il parto e ancor di più i mesi della gravidanza segnano un legame profondo tra madre e figlio/a. È nella gravidanza che sorge e si consolida la relazione fondamentale per ogni uomo e donna tra madre e figlio/a. Se la logica del serpente, la bramosia, intacca questa relazione trasforma l’amore di una madre per il suo figlio/a in una dipendenza simbiotica tanto da non permettere che il cordone ombelicale sia simbolicamente tagliato. La conseguenza sarà un figlio/a attaccato alle sottane della madre, detto in altri termini con l’immagine del racconto il figlio resterà inglobato nel mondo materno rappresentato dalla gravidanza. In questo senso la gravidanza si moltiplicherà non permettendo al figlio/a di venire al mondo come essere autonomo. Dio mette in guardia da una madre padrona che vuole gestire la vita del figlio/a sempre e comunque. Tutto ciò preannuncia sofferenze e lacrime, tanto per la madre quanto per il figlio/a. Prima o dopo però la legge della vita, enunciata in Gen 2,24 – «l’uomo abbandonerà suo padre e sua madre…» –, si imporrà e la madre dovrà «partorire» suo figlio, cioè lasciarlo uscire alla propria autonomia. Allora, la pena sarà tanto più lacerante quanto la madre avrà cercato di trattenerlo.

Così interpretata la sentenza non ha nulla di arbitrario, si limita a evocare le conseguenze nefaste della bramosia quando essa presiede alla relazione madre e figlio/a e per noi lettori si configura come una sorta di messa in guardia contro queste conseguenze nefaste.


  1. Dovremo arrivare a Gen 4,1 per constatare questo.
  2. Oggi è facile constatarne i frutti mortiferi nelle azioni criminali della violenza domestica e nel femminicidio.
  3. Cf. WESTERMANN, Genesis 1-11, 262.

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