Venite e vedrete

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Dopo il Prologo, il vangelo di Giovanni infila una serie di incontri inquadrandoli all’interno di una settimana. È una settimana speculare a quella in cui, nel capitolo 20, si svolgeranno gli incontro del Risorto con i discepoli. Le due settimana presentano sorprendenti somiglianze.

Il primo incontro è quello di Giovanni Battista con i Giudei venuti appositamente da Gerusalemme per interrogarlo (Gv 1,19-28). Esso ha un parallelo nella scoperta del sepolcro vuoto: in entrambi i casi si cerca il Cristo, ma non lo si trova.

Il secondo incontro è con i lettori perché il Battista è solo e, vedendo il Cristo che gli viene incontro, rende la sua testimonianza (Gv 1,29-34). Così al capitolo 20 l’evangelista rende la sua testimonianza dopo il racconto dell’incontro del Risorto con Tommaso.

Il terzo incontro è che vede protagonisti i discepoli del Battista (Gv 1,35-42). È sempre quest’ultimo che mette in moto l’azione: vedendo Gesù che questa volta “passa” allontanandosi, lo indica ai due discepoli. Questi seguono l’implicito suggerimento del maestro e vanno dietro a Gesù, il quale si volta e rivolge loro una domanda simile a quella che rivolgerà alla Maddalena: «Che cosa cercate?».

Testo

³⁵Il giorno dopo Giovanni stava ancora là con due dei suoi discepoli ³⁶e, fissando lo sguardo su Gesù che passava, disse: «Ecco l’agnello di Dio!». ³⁷E i suoi due discepoli, sentendolo parlare così, seguirono Gesù. ³⁸Gesù allora si voltò e, osservando che essi lo seguivano, disse loro: «Che cosa cercate?». Gli risposero: «Rabbì – che, tradotto, significa Maestro -, dove dimori?». ³⁹Disse loro: «Venite e vedrete». Andarono dunque e videro dove egli dimorava e quel giorno rimasero con lui; erano circa le quattro del pomeriggio.

⁴⁰Uno dei due che avevano udito le parole di Giovanni e lo avevano seguito, era Andrea, fratello di Simon Pietro. ⁴¹Egli incontrò per primo suo fratello Simone e gli disse: «Abbiamo trovato il Messia» – che si traduce Cristo – ⁴²e lo condusse da Gesù. Fissando lo sguardo su di lui, Gesù disse: «Tu sei Simone, il figlio di Giovanni; sarai chiamato Cefa» – che significa Pietro.

L’agnello di Dio

Nel vangelo c’è un gioco di sguardi. Il Battista incontra Gesù e lo osserva per poi coinvolgere il suo gruppo di discepoli. All’inizio di ogni vocazione c’è un maestro che invita i discepoli a fare proprio il suo sguardo, come accade per Mosè in Es 3.

Il Battista addita Gesù come l’Agnello di Dio. È una tipica espressione del quarto vangelo. In generale l’immagine richiama la mitezza, la non violenza e la docilità. Per alcuni sarebbe un riferimento all’agnello pasquale di Es 12, il cui sangue è protettivo e liberante (cf. 1 Cor 5,7; e 1 Pt 1,19). Per altri alluderebbe all’agnello bellicoso e vincitore, simbolo del Messia nella letteratura apocalittica (e sarebbe questo il senso nell’Apocalisse). Per altri ancora il richiamo sarebbe al Servo sofferente di Yhwh (Is 52,13 – 53,12), la cui identificazione messianica era antica, in quanto il termine aramaico ṭāliāʾ significa «agnello», ma anche «servo». Ciascuna interpretazione non deve essere considerata esclusiva.

Il narratore presuppone che il lettore ricordi che la missione dell’Agnello è quella di togliere il peccato del monto, in cui il verbo «togliere» (hairêin) può indicare eliminare, ma anche assumere su di sé, denunciare/smascherare il peccato (al singolare). Per l’evangelista il peccato è sostanzialmente non credere che Gesù è il Figlio di Dio, da questa incredulità si ramificano tutte le altre trasgressioni.

Seguire il Maestro

L’ascolto (akúein) è molto di più del semplice sentire, corrisponde all’ebraico šāmāʿ, che significa obbedire (ob-audire). Il seguire (akoluthêin) è un’adesione, un ricalcare le orme o lo stile, una condivisione, un appropriarsi degli obiettivi e schierarsi dalla parte di qualcuno.

I discepoli di Giovanni lo ascoltano. Ma egli, come Eli per Samuele, serve da trampolino per Gesù, colui che avrà il primato dell’ascolto. Una volta indicato Gesù, l’antico maestro si dilegua dalla scena per riapparire solo al capitolo terzo.

L’iniziativa narrativa passa a Gesù che, contrariamente alla prassi comune per cui erano i discepoli a scegliere il maestro, dirà loro: «Non voi avete scelto me, ma io ho scelto voi» (Gv 15,16). La domanda «che cosa cercate?» ricorre solo tre volte nel quarto vangelo, in contesti significativi: qui, nella scena dell’arresto (18,4.6), dopo la risurrezione rivolta a Maria di Magdala (20,15). Sono passi in cui l’interpellato deve superare il pregiudizio della sua ricerca. Il verbo «cercare» (zētêin), oltre al significato consueto, potrebbe celare una connotazione sapienziale, perché l’AT lo riserva alla Sapienza che va in cerca degli uomini (cf. Pr 8-9; Sir 6,18; Sap 6,12-16).

I discepoli si rivolgono a Gesù con il titolo di rabbì, tradotto dal narratore con «maestro». Nel vangelo di Giovanni l’unico ad essere chiamato rabbì/maestro è Gesù, in polemica con i capi del popolo. La domanda «dove abiti?», equivale a chiedere a Gesù dove viva, quali diritti accampi, chi sia la sua famiglia: questioni legate all’onore, importante nel conteso sociologico dell’epoca.

Homo viator

A differenza di Mt 8,18-22, dove Gesù descrive il suo stile nomade di Figlio dell’uomo, Giovanni rinvia al futuro, invitando alla fede/fiducia, esortando a buttarsi nella sua avventura, per capirne e sperimentarne la ricchezza. Contrariamente a quella che è la logica umana del prima vedere e poi andare, qui abbiamo l’inverso: «Venite e vedrete». L’unica garanzia per i due discepoli è la testimonianza del loro antico mentore.

La domanda sottesa al dialogo è: chi è il discepolo? La risposta è semplice il discepolo di Gesù è un homo viator, un uomo in viaggio, un cercatore di senso, di chiavi interpretative del proprio percorso esistenziale. Il viaggio diventa metafora della fede, non autoreferenzialità, e neppure illusione, ma incontro con colui che è «Via, Verità, Vita», bussola che precede ed orienta i pellegrini nella carne e nell’anima.

Le quattro del pomeriggio

Il narratore non ci dice dove Gesù abiti; Natanaele ci dirà che proviene da Nazaret (1,46). Il lettore sa già dal Prologo dove Gesù abita, e Gesù stesso lo dirà nel corso del vangelo. I discepoli seguono e abitano con Gesù. L’episodio si chiude con la menzione dell’ora fatidica: secondo il computo ebraico, l’ora decima equivale alle quattro del pomeriggio.

L’ora segnalata può essere il ricordo scolpito indelebilmente nel cuore, la firma del discepolo che non scorda l’ora di un appuntamento che ha cambiato per sempre la sua vita. Però il narratore giovanneo ama i significati simbolici: l’ora decima non è lontana dalla dodicesima (sei pomeridiane), quella del tramonto del sole, in cui comincia il nuovo giorno (cfr. 11,9): termina la vecchia alleanza ed inizia la nuova.

I discepoli

Il primo dei due discepoli che viene identificato è Andrea (si precisa la sua parentela con Simon Pietro). Egli serve per introdurre Pietro, che sarà uno dei personaggi-chiave del quarto vangelo. L’altro discepolo resta anonimo e tradizionalmente viene identificato con Giovanni, figlio di Zebedeo.

Andrea è il primo evangelizzatore. La sua affermazione «abbiamo trovato il Messia» risponde all’attesa messianica. Il termine Messia, assente nei sinottici, qui figura 2 volte (cf. 4,25). Molto probabilmente Andrea interpreta il termine in chiave nazionalistica, prospettiva che Gesù correggerà o meglio trasformerà.

Andrea esprime la passione contagiosa dell’evangelizzatore: chi ha trovato un tesoro lo condivide con altri. Egli conduce il fratello Simone da Gesù: il quarto vangelo usa qui lo stesso verbo (àghein) usato a proposito del Buon Pastore che conduce le pecore (Gv 10,16).

Faccia a faccia di Gesù con Pietro

Guardare è scegliere e spesso nei sinottici si accompagna ad amare (Lc 1,48; Mc 10,21). Lo sguardo è seguito da una parola, è una vocazione personale (2 volte si ripete «tu»). Gesù propone una nuova identità espressa dal cambio del nome, come accade nei grandi mutamenti di destino di personaggi biblici quali Abramo, Giacobbe, Giosuè e Paolo.

Il quarto vangelo identifica Simone come «figlio di Giovanni», mentre nei sinottici troviamo il patronimico «Bar Iona».

Il vecchio nome è cambiato da Gesù in Cefa, aramaico galilaico, corrispondente al soprannome “Roccia”, reso in greco con Pietro, perché si adatta meglio ad un uomo.

Soltanto il quarto vangelo anticipa il nome di Pietro nella vocazione, diversamente da Matteo che lo evidenzia dopo (Mt 16,18). Commenta Origene: «La Pietra e il Pastore fanno di Pietro la pietra e il pastore». Nel quarto vangelo il suono Cefa si oppone a quello di Caifa, cognome del sommo sacerdote Giuseppe (11,49; 18,14), quasi a segnalare la grazia che subentra alla legge giudaica.

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