Il dinamismo della trasgressione non si arresta con Genesi 3 ma prosegue, anzi aumenta nel capitolo successivo, dove, per la prima volta, fanno la loro comparsa anche espressioni tecniche come «colpa» e «peccato», collegate a immagini
Come spesso accade tra fratelli, anche Caino e Abele sono profondamente diversi. Caino, il cui nome significa «acquisto», è un agricoltore sedentario; Abele, che significa «soffio, fugacità», è un pastore di greggi (Gen 4,2). Caino offre frutti del suolo al Signore senza specificazione, Abele offre invece quanto ha di meglio, prende dai primogeniti del suo gregge e dal loro grasso che era la parte più succulenta (Gen 4,3s).
Dio accetta i doni di Abele ma non gradisce quelli di Caino. Come reazione alla scelta divina, che il testo non motiva, Caino «si irrita» e quanto più sale la collera tanto più si abbatte (letteralmente, «cade») il suo volto (v. 5). Dio decide di intervenire presso quest’uomo profondamente irritato (v. 6s):
«Perché sei irritato e perché è abbattuto il tuo volto? Se agisci bene, non dovrai forse tenerlo alto? Ma se non agisci bene, il peccato è accovacciato alla tua porta; verso di te è il suo istinto, ma tu dominalo».
Dio si rende conto della situazione di Caino e attira la sua attenzione sui rischi insiti in essa. Le parole divine giocano su un’alternativa «se…, se non» che pone davanti agli occhi di Caino le conseguenze della sua azione, tramite il riferimento alla posizione del suo volto e il ricorso a un’immagine. L’immagine è quella degli animali coricati o accovacciati (vedi ad esempio il leone o l’asino, Gen 49,9.14), che qui viene collegata con la prima menzione del «peccato».
Né l’ammonimento, né la richiesta di dominare l’attrazione (stesso termine usato per Eva in Gen 3,16) del peccato vanno a buon fine. Caino non risponde a Dio e si volge verso Abele (Gen 4,8). Tra i due fratelli segue certamente un discorso introduttivo, il cui contenuto non viene comunque rivelato ai lettori, proprio per sottolineare la mancanza di comunicazione da parte di Caino, il quale in quella condizione non ha nulla da dire al fratello. In campagna, che è, secondo Gen 3,1.14, il regno del serpente, si giunge al versamento del sangue. La morte della prima persona umana sulla terra è stata un omicidio.
A Dio che gli chiede conto del fratello nel v. 9 Caino risponde mentendo e ponendo a sua volta una domanda a Dio. Dio non demorde e lo incalza tanto da costringerlo a confessare al v. 13: «Troppo grande è la mia colpa per portarla». Anche la seconda volta in cui ricorre un termine tecnico – in questo caso ʿawon («capovolgimento, trasgressione, colpa») – viene collegato a un’immagine, quella espressa dal verbo «portare» già usato nel v. 7: le colpe sono un peso opprimente che deve essere portato, ma che in questo caso non si riesce a portare.
Dio si prende cura dell’omicida Caino. Egli teme di fare la stessa fine di Abele, ma Dio ammonisce che chi ucciderà Caino subirà la vendetta sette volte e impone a Caino un segno con funzione protettiva (Gen 4,15). Così Caino può andarsene e continuare a vivere, anche se fuggiasco e senza patria.