Il cuore del salmo (vv. 3-7) è un vigoroso appello a scegliere il progetto di Dio e il suo amore, oltrepassando ogni tentazione di sfiducia e di sbandamento.
L’appello è ritmato nei vv. 4-6 da sette imperativi ed è preparato al v. 3 da un interrogativo che è lanciato ai «figli dell’uomo». Costoro sono gli interlocutori del salmista: essi vengono ammoniti a staccarsi dalle «cose vane» e dall’«illusione». I termini ebraici indicano l’idolatria e raffigurano plasticamente il vuoto (rîq). Costruire su se stessi è costruire sulla sabbia e vi è solo illusione di essere vivi. Per il salmista infatti si è morti come morti sono gli idoli.
In contrapposizione all’idolatria vi è, dal v. 4, la beatitudine della fede. Il credente è definito nell’ebraico come h£a”sid, vocabolo suggestivo perché esprime un ventaglio di sentimenti e di relazioni che toccano la volontà, l’amore, la passione, la conoscenza e l’azione. La traduzione italiana con «fedele» è alquanto limitativa e non rende il rapporto tra Dio e il credente, perché è una relazione che coinvolge totalmente il credente, nulla tralasciando di volontà, conoscenza ed azione.
Il poeta invita quindi i suoi interlocutori a «non peccare» e a riflettere compiendo un esame di coscienza nel segreto della notte quando si è sul «letto» (v. 5). Nella calma della notte l’uomo è chiamato a passare, attraverso il pentimento e la conversione, dal riconoscimento della propria colpa alla serenità dello spirito («essere tranquilli»). Questa purificazione-conversione si esprime in due atteggiamenti tratteggiati nel v. 6: il culto («Offrite sacrifici di giustizi») e la fede («Confidate nel Signor». Il primo elemento esprime la sfera visibile e sociale che non può essere però ridotta ad esteriorità e ritualismo. Per questo il secondo elemento è appello alla fede che impegna la coscienza e la vita del credente in ogni circostanza.
L’incombente chiarore dell’aurora chiude la strofa (v. 7). Nell’aria si leva una domanda in attesa di risposta, che è anelito alla felicità («Chi ci farà vedere il bene/felicità?»). La risposta del salmista si veste dell’antica metafora del volto luminoso e benevolo di Dio. La felicità è la luce della rivelazione di Dio come canta il Salmo 17,15: «Io per la giustizia contemplerò il tuo volto, al risveglio mi sazierò della tua immagine».