Gesù provato nel deserto

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Ciò che caratterizza il racconto delle tentazioni di Marco (Mc 1,12-13) rispetto a quelli di Matteo e Luca è l’assenza dei tre dialoghi tra Gesù e il tentatore.

12E subito lo Spirito lo sospinse nel deserto 13e nel deserto rimase quaranta giorni, tentato da Satana. Stava con le bestie selvatiche e gli angeli lo servivano.

Tuttavia Marco condivide gli elementi essenziali della narrazione.

Il primo è il collegamento stretto con il battesimo. I tre sinottici non si accontentano di collocare il testo immediatamente dopo l’evento del battesimo nel fiume Giordano, ma presentano l’esperienza del deserto come il frutto dell’azione dello Spirito che Gesù ha ricevuto nel battesimo. Marco più degli altri marca tale aspetto, facendo ricorso all’avverbio «subito» e al verbo «spingere»: «E subito lo Spirito lo sospinse nel deserto» (Mc 1,12). L’esperienza della tentazione ha qualcosa di positivo in quanto necessaria nella vita di Gesù.

Infatti, il secondo aspetto, è legato al verbo greco reso in italiano con «tentare», peirázō, il cui significato di base è «provare» e solo in alcuni determinati testi assume la connotazione morale di tentare al peccato (cfr., per esempio, 1 Tm 6,9). Si è davanti a una prova radicale e non a una tentazione morale, che pone l’uomo davanti alla domanda: «Su chi fondo la mia esistenza? Chi è il signore della mia vita? Anche Abramo, l’amico di Dio, e Giobbe hanno vissuto tale prova. Chi vive tale prova si chiede: «Chi sei Tu per me? Chi sono io per Te?».

Il terzo e ultimo elemento comune è il deserto. Nelle pagine veterotestamentarie il deserto è uno spazio di ricordi e d’esperienza. Il deserto è il luogo di solitudine, di fame, di sete (cfr. Ger 2,6); è il luogo del fidanzamento (Os 2,16), del primo amore (Ger 2,2-3). Il deserto insegna all’uomo il confronto con il proprio limite, il proprio bisogno, il proprio essere creature e lo educa a trasformarlo in grido, in richiesta e ad attendere il pane, l’acqua, la vita dal Padre, giorno dopo giorno.

Sono due le note caratteristiche del racconto delle tentazioni di Marco.

La prima riguarda il fatto che Marco non evidenzia la vittoria di Gesù sul tentatore, ma suggerisce che in questa tentazione inizia il tempo messianico. La vittoria verrà con la morte e risurrezione di Gesù, ma questa lotta con Satana continuerà nella vita della comunità credente (Mc 13,9-13) e accompagnerà la proclamazione del Vangelo a tutte le nazioni (Mc 13,10).

La seconda è che Marco afferma che Gesù «stava con le bestie del selvatiche e gli angeli lo servivano» (Mc 1,13). Le bestie selvatiche ben si adattano allo scenario del deserto, mentre di Gesù si afferma semplicemente che «stava» con loro.

Lo stare con le bestie selvatiche richiama alla memoria l’armonia primordiale descritta in Gen 1 – 2 e da alcuni profeti. La creazione è priva di violenza e Dio pone come co-creatore l’uomo, re mite e pacifico, perché domini con la sola forza della parola. Adamo incrina quest’armonia quando rifiuta di vivere da figlio e si nasconde alla voce del Padre (cfr. Gen 3,8-9). La violenza, scatenata da questo rifiuto, distrugge la fraternità e contamina la terra.

Ora, nella pienezza del tempo, Gesù – nuovo Adamo – scegli e vive il suo essere Figlio (cfr. la scena del Battesimo), così riconduce il mondo a Dio ed inaugura la pace cosmica. Segno di questa armonia e pace è il servizio degli angeli che, a differenza degli altri evangelisti, non è descritto da Marco come un evento che chiude la tentazione (Mt 4,11), ma come segno della cura di Dio per colui che ha proclamato «il Figlio amato» (Mc 1,11).

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