I compagni di salita di Gesù

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Giovanni Bellini, Trasfigurazione di Cristo

Nell’episodio evangelico della trasfigurazione di Gesù, Marco racconto che Gesù «prese con sé» Pietro, Giacomo e Giovanni. C’è subito da dire che la frase «prese con sé» non si esaurisce in una semplice richiesta di vicinanza fisica, ma esprime la volontà di Gesù di farsi dono e condivisione: è il suo desiderio di partecipare ai tre discepoli qualcosa della sua identità divina. Ma chi sono coloro a cui Gesù offre questa possibilità eccezionale di partecipare al Mistero della sua relazione d’amore con il Padre e della sua realtà di Figlio di Dio?

Marco ci racconta che sono quelli che saranno invitati sempre da Gesù ad essere presenti nell’ora della sua lotta con il male nel giardino del Getsemani e là invece di vegliare si addormenteranno: «Poi venne, li trovò addormentati e disse a Pietro: “Simone, dormi? Non sei riuscito a vegliare una sola ora?”» (Mc 14,37).

Il primo discepolo, Pietro, è stato capace di riconoscere in Gesù il Messia: «Tu sei il Cristo!», esclama Pietro alla domanda del Maestro su «chi dite che io sia», ma subito dopo, quando Gesù fa il primo annuncio della sua passione che si consumerà a Gerusalemme, Pietro si oppone e Gesù è costretto a redarguirlo duramente: «Va’ dietro a me, Satana! Perché tu non pensi secondo Dio, ma secondo gli uomini» (8,33). Sarà poi quello che durante l’ultima cena si dichiarerà impavido davanti a qualsiasi tipo di pericolo: «Pietro gli disse: “Anche se tutti si scandalizzeranno, io no!”»; salvo poi rinnegare Gesù per tre volte, spaventato dal rischio di subire la stessa sua sorte.

Giacomo e Giovanni sono due fratelli, figli di Zebedeo. Sono soprannominati Boanèrghes, figli del tuono, per la loro intransigenza (cfr. Mc 3,17 e Lc 9,54), ma anche per la loro dedizione alla causa del Vangelo. Infatti, quando Gesù per la terza volta parla della sua passione, non senza un briciolo di incoscienza, gli si avvicinano chiedendo di partecipare alla sua gloria (Mc 10,37), una gloria che essi ancora concepiscono in termini di potere, di prestigio, di superiorità sugli altri: «Concedici di sedere, nella tua gloria, uno alla tua destra e uno alla tua sinistra». Ma durante l’arresto di Gesù, Marco constaterà che tutti fuggirono anche i due fratelli.

Ciononostante Pietro, Giacomo e Giovanni non sono solo simbolo di incapacità di cogliere il profondo significato della passione di Gesù. Pietro è molto di più dell’uomo che ha rinnegato Gesù per tre volte, è il pescatore reso da Gesù «pescatore di uomini» (1,17), colui che riconosce in Gesù il Messia d’Israele (8,27) e che, tra le lacrime (14,72), confessa la sua colpa e riprende a camminare dietro al Maestro risorto (16,7). Giacomo e Giovanni sono animati da un autentico fuoco interiore: il fuoco della disponibilità a morire per Gesù, che porterà Giacomo, primo fra tutti gli apostoli, a subire il martirio (cf. At 12,2) o quello dell’amore ardente e totale di Giovanni.

Gesù prende con sé questi tre uomini e tutti noi che in essi ci riconosciamo, ben consapevole delle loro fragilità e debolezze e conscio del fatto che l’esperienza di luce che di lì a poco vivranno non trasformerà in modo “magico” la loro vita e il loro cuore. Gesù, però, posando il suo sguardo vede oltre le loro fragilità e i loro limiti e scorge in essi la roccia su cui stabilirà la sua Chiesa, il discepolo che farà dell’amore il primato della sua vita, il testimone fedele che un giorno sarà pronto a versare il suo sangue per il Vangelo.

In questo modo la trasfigurazione non è solo l’esperienza di trasformazione interiore che permette ai discepoli di contemplare nell’uomo venuto da Nazareth il Figlio di Dio e l’amore debordante che lo abita e muta in luce il suo copro, essa è anche la manifestazione di quanto già vede e compie lo sguardo di Gesù: uno sguardo in cui si anticipa ciò che i discepoli saranno, capace di operare la loro progressiva e lenta trasformazione nell’amore, nonostante i loro errori passati e futuri.

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