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Per te io sopporto l’insulto

Salmo 69

Tra i Salmi più citati del Nuovo Testamento il salmo 69 è secondo solo al salmo 22. Le citazioni ricorrono soprattutto a proposito della passione, morte e risurrezione di Gesù Cristo1.

Il salmo è una lamentazione individuale che, come il gemello Sal 22, a un certo punto svolta in modo repentino in un un rendimento di grazie. La tradizione della Chiesa ha letto nella voce che piange e prega quella stessa di Gesù, per questo è considerato un salmo messianico.

La struttura del poema presenta cinque unità di cui le prima quattro rimandano al genere della lamentazione, mentre la quinta a quello del rendimento di grazie:

  • lamento nel bisogno e invocazione di aiuto (vv. 2-6);
  • lamento per l’ingiustizia e preghiera per la giustizia (vv. 7-13);
  • lamento per l’ascolto e preghiera di invocazione (vv. 14-19);
  • lamento e richiesta di punizione (vv. 20-30);
  • rendimento di grazie e di lode (vv. 31-37).

Sto affogando (vv. 2-6)

Il salmista lamenta la sua situazione drammatica descritta con tre suggestive immagini. Nella prima l’acqua gli giunge alla gola (v. 2). Il termine ebraico è nep̱eš che se da un lato indica l’apparato respiratorio, letteralmente la gola, dall’altro però fa riferimento alla forza vitale, alla scintilla della vita; c’è quindi un suo lento spegnersi. La seconda immagine rimanda alle sabbie (v. 3) mobili nelle quali il supplice sembra sprofondare, mentre non trova sotto i suoi piedi nulla di solido che lo possa sostenere. Infine, la terza immagine evoca l’esperienza dell’annegamento a causa di un vortice d’acqua capace di trascinare via ogni cosa (v. 3).

Senza più punti di riferimento dentro di e fuori di sé, si getta nelle braccia di Dio (v. 4), mentre da Lui attende l’aiuto. Il Signore è l’unico che conosce le sue debolezze (v. 6), al quale può gridare aiuto di fronte ai suoi nemici, che lo stanno accusando falsamente di aver rubato e lo costringono a pagare (v. 5).

Mi divora lo zelo per te (vv. 7-13)

Baricentro della seconda strofa è il v. 10, dove l’orante si professa entusiasta per Dio e per la sua casa, il tempio. Su quest’uomo, però, ricadono concretamente i peccati di coloro che si ribellano a Dio (v. 10b). Il suo vestito di sacco, il suo nutrimento, il suo rapporto con gli altri, con i suoi familiari e con la comunità, esprimono fino a che punto egli intende vivere la sua fedeltà a Dio. Anche a costo dell’incomprensione delle persone a lui più care (v. 9) e di essere sbeffeggiato dalla maggioranza della comunità (vv. 8.11b.12b.13), egli come il profeta Elia vuole essere un segno, che il Signore è l’unico. Già divorato dallo zelo per la sua casa, per Dio si priva anche del nutrimento (v. 11a). Il gruppo dei credenti (quelli che sperano nel Signore e lo cercano), di cui fa parte il salmista, potrebbe rimanere scandalizzato dalle sue sofferenze, per questo egli prega Dio di intervenire efficacemente (v. 7).

Rispondimi (vv. 14-19)

Nella terza strofa il salmista ricorre a formule teologiche e liturgiche tradizionali. Si inizia con il proposito di fermarsi e pregare Dio, è il modo per sperimentare la sua grazia che è la sua vicinanza (v. 14). Ciò in contrapposizione netta con quanto vissuto da parte dei nemici nei versetti precedenti. La preghiera poi mostra due volti (v. 18): quello favorevole di Dio e quello ostile degli oppressori. Quando Dio torna a volgere lo sguardo benevolo è il suo amore e la sua tenerezza a prevalere (v. 14b.17b); di conseguenza i nemici di chi prega battono in ritirata (vv. 15 e 19). Quindi l’unica invocazione del salmista rivolta a Dio all’inizio (v. 14d) e alla fine della sezione (v. 1 8b), è che egli risponda. Ma rispondere per il Signore significa salvare, liberare (vv. 14d; 15) e riscattare (v. 19).

Mettimi al sicuro (vv. 20-30)

Nella quarta strofa il supplice lamenta non solo il dolore per la prova a cui Dio lo sottoponendo, ma anche lo scherno dei suoi avversari che, per quanto gli accade, lo giudicano rinnegato da Dio. Si aggiunge dolore a dolore: esso è un veleno messo nel pane dell’afflizione, è aceto dato per ristorare l’arsura della sofferenza (v. 22).

C’è quindi la supplica perché Dio “sorga” e metta la vita del salmista, povero e sofferente, al sicuro (v. 30b), mostrando che quando vanno dicendo gli avversari non corrisponde all’idea del Dio di Israele che, appunto, salva i poveri e gli umili. Per questo spetterà a quest’ultimi unicamente la condanna, espressa con l’immagine della cancellazione dal libro della vita (v. 29a).

Rendo grazie (vv. 31-37)

Con il v. 31 c’è un cambio tematico nel salmo: non più il lamento, ma il rendimento di grazie: «Loderò il nome di Dio…». Ciò presume che il Signore, Dio di Israele, sia intervento, non è detto però in che modo.

Nei versetti finali si possono individuare due piccole unità (vv. 3 1-34 e 35-37) introdotte ognuna dalla promessa di lode e seguite da una motivazione3. Infine il richiamo al nome del Signore fa da inclusione all’intera sezione (cfr. vv. 31a e 37b).

Gli umili e i poveri (vv. 33a.34a) hanno visto che Dio ha ascoltato ed esaudito la loro preghiera. Il Signore di Israele è tale perché non pianta in asso i «suoi prigionieri» (v. 34b) e i «suoi servi» (v. 37a). Dal loro cuore, quindi, può sgorgare un canto più gradito dell’offerta di tori (vv. 31-32 ), mentre il salmista si augura che la stessa lode sia in bocca a tutto il mondo e a tutti gli esseri viventi (v. 35); perché saranno spettatori di un intervento divino ancor più straordinario in favore di Sion e delle città di Giuda, ma soprattutto della comunità degli umili, i quali nella sofferenza hanno continuato ad amarlo (vv. 36-37).

Chi è il misterioso personaggio che prega?

Va subito precisato che non è possibile individuare un preciso personaggio della storia di Israele. La storia dell’interpretazione ebraica ha letto nella voce del salmista quella del profeta Geremia, il quale patì offese per amore del Signore, fu ripudiato dalla famiglia e dal suo ambiente sociale, gridò a Dio tutta la sua afflizione e pregò affinché Dio gli rendesse giustizia e punisse i suoi persecutori. Geremia era pieno di zelo per l’integrità della casa del Signore (Ger 7,1-15) e fu gettato letteralmente nell’«abisso di fango» (v. 2) del fondo di una cisterna (cfr. Ger 38,6), per essere messo a tacere per sempre. Altro candidato potrebbe essere il servo del Signore di Is 53, la cui afflizione non era una punizione per lui, bensì la sua vocazione per realizzare il disegno di Dio.

Come sottolineato in apertura di questo post, per la tradizione cristiana l’orante è lo stesso Gesù. Infatti il salmo fornisce un contesto alla riflessione sul rifiuto di Gesù da parte del suo stesso popolo (Gv 15,25), sulle motivazioni della cacciata dei mercanti dal Tempio (Gv 3,17), sul trattamento crudele che egli ricevette, invece della pietà, nell’ora della sua morte, e sul significato della sua sofferenza (Rm 15,3).

Persino la dura richiesta a Dio contro i persecutori (vv. 22-28), che sembrava appropriata sulle labbra di Geremia, ma non su quelle di Gesù, assunse un suo significato: Luca vi legge l’esaudimento, concretizzato nella sorte di Giuda, della preghiera che rendeva giustizia a Gesù (At 1,20), mentre Paolo vi trova la chiave per spiegare l’indurimento di quanti in Israele continuano a rifiutare Gesù (Rm 11,9-10). Per il profeta dell’Apocalisse quei versetti del Sal 69 si riferivano al riversamento escatologico dell’ira divina sui nemici del regno di Dio che stava arrivando (Ap 16,1).

Non è corretto dichiarare che il Sal 69 è stato la preghiera di Gesù e neppure affermare che è una profezia intenzionale della sua sofferenza. Tuttavia, esso fornisce un contesto per la meditazione sulla Passione di uno che sopportò le ingiurie per amore del suo Dio e che, per il modo in cui le sopportò e per la risurrezione che ne dimostrò ragione e giustizia, diede speranza agli umili e ai servi del Signore la promessa che la volontà salvifica di Dio per loro si sarebbe compiuta.

Gesù è l’esempio perfetto e il tipo di persona per cui il salmo fu composto.


  1. Il v. 5 è citato in Gv 15,25; il v. 10 in Gv 2,17 e Rm 1 5,3; il v. 22 in Mt 27,34.48; Mc 15,23.36; Lc 23,36; Gv 19,29; i vv. 23-24 in Rm 11,9-10; il v. 25 in Ap 16, 1 ; il v. 26 in At 1,20; il v. 29 in Fil 4,3; Ap 3,5; 13,8; 17,8; 20,12.15; 21,27.
  2. Sembra di essere davanti alla scena di Giobbe che viene accusato dai suoi amici di avere qualche colpa, perché percosso da Dio.
  3. Cfr. la particella kı̂ nei vv. 34a.36a.
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