La liturgia di questa domenica della Santissima Trinità riprende un brano del capitolo terzo di del Vangelo di Giovanni:
In quel tempo disse Gesù a Nicodèmo: ¹⁶«Dio infatti ha tanto amato il mondo da dare il Figlio unigenito, perché chiunque crede in lui non vada perduto, ma abbia la vita eterna. ¹⁷Dio, infatti, non ha mandato il Figlio nel mondo per condannare il mondo, ma perché il mondo sia salvato per mezzo di lui. ¹⁸Chi crede in lui non è condannato; ma chi non crede è già stato condannato, perché non ha creduto nel nome dell’unigenito Figlio di Dio» (Gv 3,16-18).
Nell’unità tematica di Gv 3,1-21 si possono riconoscere due momenti della rivelazione di Gesù nella sua iniziale sosta a Gerusalemme (di cui si parla in 2,13-3,36):
- anzitutto (vv. 1-10), viene rivelata da Gesù a Nicodèmo, quale esperienza umana e spirituale (tra «le cose terrestri», v. 12), la nascita battesimale «da acqua e Spirito»: un «nascere dall’alto» (vv. 5-8);
- il secondo momento o grado della rivelazione di Gesù (vv. 11-21) ha invece per riferimento le «cose del cielo» (v. 12), delle quali Gesù è l’unico Maestro e l’unico testimone (cfr. vv. 11-13; e Gv 1,18; 14,7-10; Mt 11,27).
Interlocutore “storico” di Gesù, secondo Gv 3, è Nicodèmo. Egli rappresenta quel mondo religioso ebraico che resistette alle novità su Dio e sull’uomo che il Rivelatore di Nazaret era venuto a portare: una contestazione alla “dottrina” di Gesù, che esploderà più tardi a Gerusalemme, secondo Gv 7,12! Proprio Nicodèmo tuttavia troverà, in tale lotta successiva delle “tenebre” contro la “luce”, una sua via di adesione a Cristo. Giovanni ce lo fa incontrare due volte ancora: in 8,50-53; 19,39-42.
Ci penserà infine la tradizione cristiana primitiva – anche in testi apocrifi – ad integrare le nostre notizie giovannee con altri capitoli sull’itinerario spirituale di Nicodèmo, «il fariseo, uno dei capi dei giudei» (Gv 3,1).
Quale, dunque, il nucleo centrale della rivelazione che Gesù fece in Gerusalemme a Nicodèmo e a tutti coloro che egli rappresentava quella sera in cui venne a interrogare il «Maestro venuto da Dio» (cfr. v. 2)? A ben leggere ed ascoltare il testo dei vv. 14-21, emerge la proclamazione solenne del v. 16:
Dio ha tanto amato il mondo da dare il Figlio unigenito, perché chiunque crede in lui non vada perduto, ma abbia la vita eterna.
Nei precedenti vv. 14-15 Gesù aveva affermato che per comprendere simile amore di Dio Padre verso il mondo occorre fissare lo sguardo contemplativo sul Crocifisso “innalzato” (da Dio) in croce! Come Mosè nel deserto aveva innalzato il serpente, affinché guardando con fede a quel segno, gli israeliti fossero salvati (cfr. Nm 21,4-9).
E nei vv. 17-18, che si leggono dopo la grande rivelazione del v. 16, si ribadisce e precisa che:
- l’iniziativa di offrire al mondo la salvezza, «per mezzo del Figlio di Dio», è stata presa dal Padre (v.17);
- condizione ineludibile per non essere condannati è di «credere nel nome dell’unigenito Figlio di Dio» (v.18 ).
Dunque, lo sguardo di fede, richiesto da Dio Padre al mondo per essere salvato, è di sostare sull’evento storico di Gesù di Nazareth, il Figlio di Dio, che egli ha mandato, ha dato (vv. 16 e 17 di Gv 3), ha consegnato (parédōken: cfr. Rm 8,32). Questi verbi, al tempo aoristo della lingua greca, chiedono al credente di raggiungere da vicino quei 33 densi anni concreti e precisi di esistenza umana di Cristo: dall’anonimato di Nazareth agli incontri cercati e preferiti da Gesù con… i pubblicani e i peccatori, e con tutti, fino al giustiziato con pena di crocifissione sul Calvario. Soprattutto, questa fine sconcertante e scandalosa del Figlio di Dio, alla quale il Padre lo “consegnò” e che quel Figlio liberamente ha scelto.
La sorpresa di questo grande atto di fede consiste nel fatto che quei 33 anni – fra Betlemme e il calvario – sono riassunti e bene espressi dall’unica affermazione: Così Dio amò e ama!
L’evangelista aggiunge che l’amore di Dio Padre, manifestato dal Crocifisso, ha per riferimento il mondo. Quest’ultimo termine, che altre volte in Giovanni designa ciò che si oppone alla fede (cfr. Gv 17,9.15-16; 1 Gv 2,15-17), qui assume la valenza positiva di tutto ciò che è umano e creaturale. In questo mondo ci sono le vite di ognuno di noi che per questo Amore divino sono già salvate.