Non è passato un anno ma più di dieci ed eccomi nuovamente a Gerusalemme. Mi viene da cantare con il salmista:
Quale gioia, quando mi dissero: Andremo alla casa del Signore!». Già sono fermi i nostri piedi alle tue porte, Gerusalemme!
Mai come in questi primi giorni i versetti del Sal 122 intercettano il posto che Gerusalemme occupa in me. Ma io sono solo uno dei tanti pellegrini che, varcando le colline che separano la città dalla pianura, celebrano il ritorno alla città Santa.
Gerusalemme è incastonata nel cuore degli Ebrei fin da quanto, costretti all’esilio in Babilonia (587-538 a.C.), ne tessevano un canto nostalgico. Per i discendenti dell’«arameo errante» (cfr. Dt 26,5) Gerusalemme è la città santa, perché è il luogo nel quale Dio ha posto la sua dimora fra gli uomini (Shekinah), congiungendo cielo e terra.
Santa la città lo è anche per gli arabi, tanto che la chiamano al-Quds, cioè la (città) Santa. Qui i Mussulmani fanno memoria del volo notturno del profeta Maometto che dal Monte Moria si alzò sul cavallo alato Buraq, per ascendere fino alla visione beatifica di Dio (Corano XVII,1).
Non lo è da meno per la cristianità perché è il luogo in cui si è compiuta, con la morte e la risurrezione di Gesù Cristo, la nuova ed eterna alleanza tra Dio e l’umanità per la salvezza del mondo. Ogni uomo e ogni donna, quindi, non sarà più abbandonato, perché Dio, in Gesù, ha condiviso fino alla morte l’umanità di tutti.
Quello che qui i figli di Abramo hanno in comune è qualcosa di fondamentale per la loro stessa identità di credenti.
Con il Salmo invoco:
Chiedete pace per Gerusalemme: vivano sicuri quelli che ti amano; sia pace nelle tue mura, sicurezza nei tuoi palazzi.
Per i miei fratelli e i miei amici io dirò: «Su te sia pace!». Per la casa del Signore nostro Dio, chiederò per te il bene.