Il capitolo 40 del libro di Isaia costituisce il prologo al «libro della consolazione» (capp. 40-55), attribuito al Deuteroisaia o Secondo Isaia, profeta operante al tempo dell’esilio in Babilonia. A differenza del primo Isaia, che si legge grosso modo nei capitoli 1 – 39 e intende scuotere Israele dalle sue false sicurezze, il secondo Isaia sente e vede un popolo scoraggiato, indebolito, che ha bisogno di essere consolato e spronato, di credere ancora che Adonai non lo ha abbandonato ed è ancora al suo fianco. Nei primi 11 versetti del capitolo 40 viene messa a tema la missione del profeta, in particolare i vv. 6-8 occupano il posto di quello che, nei libri profetici, è detto «racconto di vocazione», mentre i due brani di 40,1-5 e 9-11 sembrano riferiti ad un gruppo, piuttosto che ad una singola persona. Ognuno di essi ruota attorno ad un comando espresso all’imperativo. Si ottiene così la seguente struttura del brano:
- vv. 1-5: comando in forma anonima, «Consolate; consolate!»;
- vv. 6-8: vocazione del profeta, «Gridai»;
- vv. 9-11: invito rivolto a Sion, «Sali!».
Leggiamo il brano
1 «Consolate, consolate il mio popolo – dice il vostro Dio. 2Parlate al cuore di Gerusalemme e gridatele che la sua tribolazione è compiuta, la sua colpa è scontata, perché ha ricevuto dalla mano del Signore il doppio per tutti i suoi peccati». 3Una voce grida: «Nel deserto preparate la via al Signore, spianate nella steppa la strada per il nostro Dio. 4Ogni valle sia innalzata, ogni monte e ogni colle siano abbassati; il terreno accidentato si trasformi in piano e quello scosceso in vallata. 5Allora si rivelerà la gloria del Signore e tutti gli uomini insieme la vedranno, perché la bocca del Signore ha parlato».
6Una voce dice: «Grida», e io rispondo: «Che cosa dovrò gridare?». Ogni uomo è come l’erba e tutta la sua grazia è come un fiore del campo. 7Secca l’erba, il fiore appassisce quando soffia su di essi il vento del Signore. Veramente il popolo è come l’erba. 8Secca l’erba, appassisce il fiore, ma la parola del nostro Dio dura per sempre.
9Sali su un alto monte, tu che annunci liete notizie a Sion! Alza la tua voce con forza, tu che annunci liete notizie a Gerusalemme. Alza la voce, non temere; annuncia alle città di Giuda: «Ecco il vostro Dio! 10Ecco, il Signore Dio viene con potenza, il suo braccio esercita il dominio. Ecco, egli ha con sé il premio e la sua ricompensa lo precede. 11Come un pastore egli fa pascolare il gregge e con il suo braccio lo raduna; porta gli agnellini sul petto e conduce dolcemente le pecore madri».
Consolare, cioè fare
Il capitolo 40 di Isaia inizia con un doppio imperativo che è un invito a consolare: «Consolate, consolate…» (Is 40,1). Chi sia chi invita a consolare è discusso: si tratta del profeta? Oppure è una scena dal «Consiglio celeste» di Dio? L’inciso che segue subito dopo: «dice il vostro Dio» (v. 1b) sembra voler precisare che all’origine di questo invito, quantunque esso venga proclamato da una voce umana, vi è Dio stesso. Egli ne è il mandante ed esprime una precisa volontà riguardo al suo popolo. Con l’uso di un particolare modo verbale dell’ebraico (il pi’el), avente valore “intensivo” (in quanto esprime una maggiore intensità dell’azione), è sottolineato il vero senso della consolazione di Adonai, che appare nell’AT come un «agire nella storia in favore» di qualcuno.
Non si tratta semplicemente di pronunciare parole di conforto, ma di operare affinché il destinatario della consolazione venga sollevato e liberato dalla situazione difficile in cui versa. La particolare intensità del comando è data anche dall’uso del doppio imperativo, tipico del secondo Isaia, che produce l’effetto di un incalzare pressante.
Il contenuto di questo messaggio-azione consiste nel convincere Gerusalemme che la sua tribolazione è finita; il fatto che esso sia rivolto «al cuore», organo che nella Bibbia indica la sede della volontà, della libertà e dunque della fede, significa che la realtà collettiva a cui è destinato il messaggio è chiamata ad esprimere un atto di fede in Adonai, come colui che può liberare e salvare. L’uso del tempo passato («è compiuta/ è scontata/ ha ricevuto») indica che la salvezza è annunciata come qualcosa di già avvenuto, che Dio ha già fatto in maniera misteriosa e che ora viene portato alla luce, fatto conoscere al popolo stesso.
Una strada nuova
Ai vv. 3-5, «Una voce grida…», troviamo descritta l’esecuzione del comando del v. 1. «Preparate la via» indica l’azione concreta che viene messa in atto per realizzare tale consolazione. L’espressione si presta a più di una lettura: anzitutto essa viene usata nell’AT in senso etico, non fisico: la via è quella della conversione, del ritorno a Dio. Così viene intesa anche nel NT da Giovanni Battista e da Gesù, che riferisce il termine a se stesso: «io sono la via» (Gv 14,6). Allo stesso tempo l’immagine contiene un suggestivo rimando al Capodanno babilonese, con l’allestimento della via sacra, sulla quale venivano trionfalmente portate in processione verso il centro della città le statue degli dèi, per celebrarne la potenza. Qui una voce, ancora una volta anonima, invita a preparare «nel deserto» la via per Adonai. Una strada nel deserto: qualcosa che viene costruito nel nulla, che pretende di tracciare un percorso nuovo, che indica una direzione finora sconosciuta. Questa è l’azione che gli esecutori del comando di Adonai devono intraprendere, facendo tabula rasa di una religiosità già troppo compromessa, che rasenta l’idolatria, riportando il popolo ad una “purezza originaria”, ad un’essenzialità che consente di vedere la verità della propria condizione e identità storico-salvifica. Su questa via nuova apparirà la gloria di Adonai (cfr. v. 5.)
Un dialogo misterioso
I vv. 6-8 richiamano un misterioso dialogo tra delle voci. Non si specifica però di chi siano. Un prima voce «Grida», mentre una seconda chiede: «Che cosa devo gridare?». Probabilmente si esprime una obiezione. Ci potremmo così immaginare la scena: una voce ordina di «gridare», cioè di portare la buona notizia a Gerusalemme. L’altra voce risponde: «Che cosa posso gridare?». La reazione è alquanto ambigua. La persona che risponde può semplicemente chiedere qual è il messaggio da annunciare. Però il messaggio è già stato chiarito nei vv. 1-2: è un messaggio di consolazione da portare al cuore di Gerusalemme. Di conseguenza la domanda «Che cosa posso ancora proclamare?» potrebbe esprimere un dubbio, una riserva: «Che cosa posso ancora proclamare?». Oppure: «Dopo tutto, vale la pena proclamare qualche cosa?». Nella risposta, l’obiezione diventa più chiara. La prima voce ribadisce, in effetti, se vogliamo spiegare il testo:
È vero che tutte le nostre imprese sono come l’erba e come il fiore dei campi. Ora l’erba si secca, il fiore appassisce e muore. Così sono morte tante delle nostre speranze! Chi dice che questa volta, non sarà la stessa cosa?
La voce cita dunque l’obiezione implicita nella reazione della voce che dice: «Che cosa devo proclamare?». Aggiunge a questa obiezione una risposta altrettanto chiara: «Se tutto avvizzisce, la Parola del Signore rimane per sempre». In altri termini, l’oracolo afferma che le parole non sono parole umane, ma parola di Dio, ascoltata nel consiglio di Dio, non in un’assemblea umana qualsiasi.
Viene il nostro Dio
Nella ripresa dei vv. 9-11 compare un altro comando, volto a realizzare l’invito alla consolazione pronunciato da Dio:
«Sali su un alto monte, tu che annunci liete notizie a Sion! Alza la tua voce con forza, tu che annunci liete notizie a Gerusalemme. Alza la voce, non temere; annuncia alle città di Giuda: “Ecco il vostro Dio! …”» (v. 9).
La «messaggera di lieti annunci» (qui è usato il participio femminile del verbo bissar, lett. «Sion messaggera» oppure messaggera di Sion») è da intendersi probabilmente come Sion stessa, alla quale è affidato il compito di gridare alle altre città di Giuda la lode di colui che viene. Il grido di giubilo, intonato già durante l’esilio, significa che Israele (Sion) ha accolto l’invito, ha creduto alla parola, ha avuto fede nell’opera di Adonai. «Salire sul monte» è l’azione che Sion deve compiere per vedere il ritorno di Adonai, da intendersi come atto metaforico, che esprime la volontà di innalzarsi da una condizione di prostrazione, conseguenza dell’incapacità di credere e di affidarsi a Dio.
Ciò che la messaggera vede è la processione trionfale di Adonai, il quale conduce come un bottino di guerra il suo popolo, segno della vittoria. Se l’immagine è quella della processione degli dèi, allora qui è forte il contrasto tra le grandi statue, condotte a fatica dagli uomini lungo la via sacra, e il Dio vivente che invece guida il corteo degli umani! Nei vv. 11-31 la polemica contro gli idoli, immagini fabbricate dall’uomo e dunque impotenti, sembra confermare tale intenzione.
Da notare: Sion vede dall’alto la venuta di Adonai come qualcosa di già avvenuto, questo è possibile nella fede. Il grido di giubilo, la lode, è espressione dell’atto di fede richiesto al popolo per poter “vedere” la gloria di Adonai. Espressioni come: «mano del Signore» (v. 2), «via del Signore» (v. 3), «gloria del Signore» (v. 5), «spirito del Signore» (v. 7), indicato il manifestarsi di Dio attraverso il suo operare nella storia, così come nella creazione. Per questo, in conclusione, il profeta può affermare: il Signore «è nostro Dio»! L’epifania di Dio è duplice: egli si mostra forte con i nemici (il bottino/premio indica una battaglia vinta) e misericordioso verso i miseri, come un pastore buono, che conduce ciascuno sul cammino in maniera diversa, così che possa sperimentare nella propria condizione personale la vicinanza e la cura del Dio-pastore.