Sara la matriarca – 3

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Il riso di Sara e il riso di Dio

Quando Dio stipulò la sua alleanza con Abramo (Gen 17) e gli ripetè la promessa di diventare “padre di una moltitudine di popoli” (Gen 17,4), confermò tutto con il cambio del nome sia del patriarca (da Abram ad Abraham) che della moglie (da Sarai a Sara), donandole la benedizione – fecondità:

Anche da lei ti darò un figlio; la benedirò e diventerà nazioni, e re di popoli nasceranno da lei (Gen 17,16).

La reazione di Abramo a queste parole fu duplice e contraddittoria: da un lato si prostrò con la faccia a terra, dall’altro rise (Gen 17,17).

Per il narratore questi due atteggiamenti erano connessi a un pensiero di Abramo: «Ad uno di cento anni può nascere un figlio? E Sara all’età di novanta anni potrà partorire?» che lo portano ad un pessimismo tale da proporre a Dio Ismaele: «Se almeno Ismaele potesse vivere davanti a te!». Ma Dio è di tutt’altro avviso: Sara, tua moglie partorirà un figlio che chiamerai Isacco, che significa «egli ride». Al riso amaro di Abramo carico di incredulità, Dio oppone il riso della gioia di un figlio!

Al riso incredulo di Abramo corrisponde quello incredulo di Sara registrato nel capitolo 18 della Genesi. Durante la visita di tre messaggeri divini, accolti con tutti gli onori da Abramo e da Sara, mentre questi stanno parlano don il patriarca Sara ascolta queste parole dai messaggeri:

Tornerò da te fra un anno a questa data e allora Sara, tua moglie, avrà un figlio (Gen 18,10).

La sua reazione così è raccontata:

Rise dentro di sé e disse: «Avvizzita come sono dovrei provare il piacere, mentre il mio signore è vecchio!»
(Gen 18,12).

Sara non contraddice in cuor suo la Parola di Dio, ma quel riso – conosciuto solo da Dio e dal narratore – mostra tutto il suo stupore e la sua incapacità a fidarsi dell’onnipotenza di Dio. Il narratore motiva questo riso con un’annotazione psicologica: aveva paura, ma ciò che resta incontestabile è che si sia riso della parola di Dio.

A questo riso incredulo e scettico si oppone il riso efficace e creatore di Dio. Infatti, proprio perché «nulla è impossibile a Dio», il figlio dell’impossibile nasce. È quanto narra la Genesi al capitolo 21:

Il Signore visitò Sara, come aveva detto, e fece a Sara come aveva promesso. Sara concepì e partorì ad Abramo un figlio nella vecchiaia, nel tempo che Dio aveva fissato. Abramo chiamò Isacco il figlio che gli era nato, che Sara gli aveva partorito.

Il nome Isacco proviene dalla radice ebraica “ridere” (shq) ed è, secondo l’etimologia popolare, spiegato da Sara stessa nel versetto 6: «Motivo di lieto riso mi ha dato Dio: chiunque lo saprà sorriderà di me!». Sara è la principessa che canta, è la prima tra le donne della Bibbia che innalza la lode a Dio. La presenza nel testo di versetti in forma poetica sottolineano la solennità del momento. Spesso infatti nei momenti salienti della storia della salvezza i protagonisti si lasciano andare al canto poetico. Le paure, i dubbi di questa coppia patriarcale si sciolgono lasciando il posto al canto di Sara.

Il lettore virtuale del racconto è un membro del popolo di Israele e questo racconto gli comunica qualche cosa circa la sua origine: l’inizio della sua e della nostra storia coincide con una «risata» segreta, provocata e poi scoperta da Dio stesso, ma particolarmente con un Dio che «fa ridere» Sara, manifestando così qualcosa del suo Mistero (Dell’Orto).

San Vitale, Ravenna, Italia: Abramo e i tre ospiti a Mamre
San Vitale, Ravenna: Abramo e i tre ospiti a Mamre.

La morte di Sara

Il racconto dopo la nascita di Isacco lascia scemare la figura di Sara. Il nostro personaggio ricompare al capitolo 23 dove si racconta l’ultimo atto della sua parabola. Una premessa è indispensabile: il capitolo della Genesi non evidenzia la contrattazione tra Abramo e gli Hittiti per avere la proprietà di un sepolcro (il campo di Efron e la caverna di Macpela), ma la realizzazione, seppur parziale, della parola originaria di Dio (Gen 12).

La nascita di Isacco non costituisce la completa realizzazione della benedizione descritta in Gen 12,1-3; ne è però la premessa. La benedizione, dunque, è confermata e rinviata: confermata perché è sotto gli occhi di Abramo e Sara (il figlio Isacco), rinviata perché è proiettata verso un avvenire di cui Abramo non è padrone (la discendenza numerosa). È il già e non ancora della promessa.

Ciò vale anche per quella parte della promessa che riguarda la terra: “verso la terra che io ti indicherò…” (Gen 12,1.7). Abramo l’ha attraversata a suo tempo, ma era già occupata! Come avrebbe potuto immaginare che un giorno sarebbe diventata sua? Il modo con cui inizia a possederla è legata alla morte di Sara. Anche qui ne possiede una porzione non certo tutto il paese, però è la sua proprietà. Una proprietà strana: un sepolcro, dove sarà sepolto lui e tutti i Patriarchi.

Le grandi promesse di vita e di terra si esauriscono su due figli di cui uno nemmeno da sua moglie e su un sepolcro. Una situazione paradossale, ma è questa tutta la speranza di Abramo e Sara. H compimento di quella promessa spetterà solamente a Dio.

Chiuso il sepolcro Abramo fa il suo lamento per Sara, sua sposa, ma lo sguardo si apre alla speranza nel Dio della Vita. Scrive la lettera agli Ebrei a proposito di questi due testimoni della fede:

Nella fede morirono tutti costoro (Abele, Enoch, Noè, Abramo, Sara), pur non avendo conseguito i beni promessi, ma avendoli solo veduti e salutati di lontano, dichiarando di essere stranieri e pellegrini sopra la terra. Chi dice così, infatti, dimostra di essere alla ricerca di una patria. Se avessero pensato a quella da cui erano usciti, avrebbero avuto possibilità di ritornarvi; ora invece essi aspirano a una migliore, cioè a quella celeste. Per questo Dio non disdegna di chiamarsi loro Dio: ha preparato infatti per loro una città (Eb 11,13-16).

È la speranza la spinta inarrestabile della storia della salvezza; speranza che ha nutrito i protagonisti e che lentamente tra le pieghe della storia va via via potenziandosi, precisandosi fino al compimento di ogni promessa, quando il sepolcro si aprirà sotto l’albeggiare del giorno della risurrezione.

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