Il salmo 120 è il primo di una raccolta di Salmi (120 – 134) denominata «Salmi delle ascensioni» (šir hammaʿalôt), chiamata così perché i salmi venivano utilizzati dai pellegrini quando salivano a Gerusalemme e al tempio.
I padri della chiesa hanno visto in questi salmi i canti che la Chiesa pellegrinante innalzava al suo Signore. La collezione dei «Salmi di pellegrinaggio» può quindi essere un valido aiuto alla preghiera di chi fa del pellegrinaggio ai santuari un’esperienza di profonda fede e di incontro il Signore Gesù Cristo.
1 Nella mia angoscia ho gridato al Signore
ed egli mi ha risposto.
2 Signore, libera la mia vita
dalle labbra bugiarde,
dalla lingua ingannatrice.
3 Che cosa ti darà,
come ti ripagherà,
o lingua ingannatrice?
4 Frecce acute di un prode
con braci ardenti di ginestra!
5 Ahimè, io abito straniero in Mesec,
dimoro fra le tende di Kedar!
6 Troppo tempo ho abitato
con chi detesta la pace.
7 Io sono per la pace,
ma essi, appena parlo,
sono per la guerra.
Il Salmo 120 è molto breve, solo 7 versetti. Formalmente si tratta di una supplica individuale. In esso il salmista, forse un giusto perseguitato, si trova forestiero in un paese straniero, in mezzo a gente nemica e, come già in passato ripone la sua fiducia nel Signore, al quale si rivolge con una appassionata e sincera preghiera di liberazione da nemici menzogneri (cf. Sal 12; 52; 55; 63), sui quali lancia una maledizione (vv. 4-3).
Il salmo, a parte il titoletto che nella Bibbia di Gerusalemme viene riportano in corsivo («Canto delle ascensioni»), consta di una dichiarazione di fiducia iniziale (v. 1b), segue una supplica perché il Signore intervenga a liberare (vv. 2-4), poi l’esposizione del caso (vv. 5-6) e infine la protesta dell’orante del suo desiderio di pace (v. 7).
Accerchiato da malelingue
Nel primo versetto il salmista afferma la sua certezza che Dio esaudirà la sua preghiera perché già in passato era ricorso al Signore e il suo appello non era caduto nel vuoto («Egli mi ha risposto» v. 1c). L’ascolto e l’esaudimento passato è segno, certezza e speranza per la preghiera nella presente angustia. L’angoscia, percepita come prigionia – così suona alla lettera il testo ebraico – si riferisce ad una difficile azione esterna, come nel caso di un giusto perseguitato o oppresso. La tradizione ebraica nel Midrash sui Salmi ha letto in questo versetto l’esperienza di Geremia:
«Geremia disse: Cantate al Signore, lodate il Signore. Perché? Per che motivo? Perché ha liberato l’anima del bisognoso dalla mano dei malvagi. Ogni volta che il Santo, benedetto egli sia, riscatta i Figli di Israele non sono soltanto essi a ringraziare, ma tutti gli uomini ringraziano insieme a loro».
La tradizione cristiana con Origene vi vede il ritorno dell’anima a colui che solo la può salvare. Tale grido Dio lo ascolta subito. Eusebio di Cesarea commenta: «Coloro che si sono allontanati dai beni di Dio, riprendono a salire. Questo primo gradino mostra che l’ascesa si compre attraverso la tribolazione».
L’orante eleva la sua supplica dicendo: «Signore, libera la mia vita» (v. 2). Egli si sente prigioniero tra fiamme di menzogna e di calunnia. Due sono le immagini usate: quelle delle «labbra bugiarde» e della «lingua ingannatrice». Nel libro dei Salmi spesso si invoca la liberazione dai nemici, specialmente dalle loro parole false e perverse (cf. Sal 12, 34; 52,1-6). La parola menzognera si identifica con quella degli idolatri. Gli idoli, infatti, sono inganno e falsità (cf. Is 40,17-20; Sal 31,7). I commentatori cristiani hanno sottolineato come la lingua abbia il potere di ferire mortalmente. A noi basta citare quanto San Giacomo afferma nella lettera omonima:
«La lingua è un piccolo membro e può vantarsi di grandi cose. Vedete un piccolo fuoco quale grande foresta può incendiare! Anche la lingua è un fuoco, è il mondo dell’iniquità, vive inserita nelle nostre membra e contamina tutto il corpo e incendia il corso della vita, traendo la sua fiamma dalla Geenna» (Gc 3,5-6).
I vv. 3-4 sono una tipica imprecazione contro i nemici citati. Il salmista non fa giustizia da sé, ma si rimette al giudizio del Signore. Le sue parole, infatti, sono frecce acute che colpiscono inesorabilmente il bersaglio. Queste frecce come anche le «braci di ginestra» nella tradizione cristiana non hanno solo valenza negativi (colpire il malvagio), ma anche positiva. Per San Agostino le frecce appuntite sono le parole di Dio che trafiggono il cuore del malvagio per risvegliare in lui l’amore di Dio, mentre i «carboni di ginepro» dalla forza devastante sono gli esempi, quelli dei tanti peccatori che si ritornano al Signore. Il dottore della chiesa conclude esortando: «Abbi quella freccia che è la parola di Dio, abbi il carbone che devasta!».
Sentirsi straniero
Nella seconda parte del Salmo (vv. 5-7) l’orante vive la dimensione dell’esilio: si sente straniero in terra altrui. Il suo grido: «Me infelice» (letteralmente: Ahimé!) esprime uno stato di angoscia e di paura. Non ci è possibile localizzare dove egli vivesse, ciò che il contesto del Salmo suggerisce, è che egli si trovi in situazione di diaspora. Il salmista avverte che il suo stato di straniero oramai è insostenibile, perché si trova circondato da gente ostile che punta il dito su di lui, accusandolo di essere la fonte di ogni male.
L’espressione «chi detesta la pace» (v. 6b), con cui tratteggia i suoi vicini, suona letteralmente «chi odia la pace». Ad essa l’orante contrappone la sua professione: «Io sono per la pace» (v. 7a), nonostante tutti attorno a lui siano per la guerra. Il termine pace (šalôm) non esprime semplicemente assenza di conflitti o di guerre, ma pienezza di vita, armonia con il cielo (Dio) e con la terra (uomini e creato). Il Midrash con una visione profetica commenta:
«Che cosa significa: Io sono per la pace? Così disse il Santo, benedetto egli sia, al Messia: Li spezzerai con scettro di ferro, come oggetto di vaso li frantumerai. Gli rispose: No Sovrano dell’universo! Quando parlerò alle genti, io inizierò parlando di pace. Perciò è detto: Se io parlo di pace».
È proprio la pace, pienezza di vita, ciò che Gesù risorto dono ai suoi discepoli: «Vi lascio la pace, vi do la mia pace» (Gv 14,27). Paolo nella lettera agli Efesini afferma di Gesù:
«Egli è la nostra pace… È venuto perciò ad annunziare pace a voi che eravate lontani e pace a coloro che erano vicini» (Ef 2,14.17).
Le parole conclusive del salmista adombrano in lontananza il volto di Gesù il nazareno, la pace di Dio.