Un ultimo aspetto si può sottolineare delle parole del Signore rivolte ad Abram. Esse riannodano il legame con il progetto originario: la benedizione, ossia la vita, per tutta l’umanità. L’elezione, quindi, di Abram lungi dall’essere un atto arbitrario è la costituzione – se Abram lo accetterà – di un canale lungo il quale scorrerà la vita stessa e gli uomini la potranno accogliere se non si lasceranno più imprigionare dalla cupidigia che semina discordia e morte, ma vivranno il proprio desiderio senza viziarlo, senza pervertirlo in invidia e gelosia.
Se Abram è chiamato a fidarsi del Signore e delle sue parole è perché il Signore per primo si fida di Abram svelando il suo progetto di benedizione per far ripartire la vita. Qui si innesca nuovamente la dinamica della relazione che vive del gioco della fiducia, se nell’Eden era stato l’albero del bene e del male con il suo comando il luogo dove Adam e il Signore Dio erano chiamati a fare conoscenza, ora è la terra di Caram, memoria della morte del padre Terach – emblema di colui che tutti «prende» in un abbraccio bramoso e per questo mortifero (cf. post su Terach) –, il luogo in cui Abram e il Signore faranno conoscenza l’uno dell’altro, nella buona o cattiva sorte. C’è ancora un luogo di libertà che è un luogo di amore nonostante tutte le apparenze contrarie. Come andrà a finire?
Abram parte: v. 4
Allora Abram partì, come gli aveva parlato il Signore, e con lui partì Lot. Abram aveva settantacinque anni quando uscì da Carran (Gen 12,4).
Abram parte e il narratore aggiunge «come gli aveva parlato il Signore» (kaʾăšer dibber ʾēlāyw Yhwh). L’espressione ha più di una lettura. Innanzitutto Abram intende correttamente la parola «come» una parola di vita che viene da Yhwh. La preposizione utilizzata (kaʾăšer) ha un doppio significato: quello comparativo e quello temporale. Secondo il senso comparativo Abram parte “conformemente” alla parola detta da Yhwh; secondo quello temporale, Abram parte dopo che gli ha parlato il Signore, o meglio subito dopo che il Signore gli ha parlato. Così, la sua obbedienza senza difetto viene doppiamente sottolineata.
Dopo undici capitoli finalmente il lettore si trova davanti a un personaggio umano che a differenza di quelli precedenti, a cominciare da Adamo ed Eva, assume un comportamento diametralmente opposto (eccezion fatta per Noè). È un’autentica svolta!
Abram e i suoi predecessori
Proviamo a mettere a confronto le scelte le scelte di Abram con quelle fatte dai suoi predecessori.
Nel giardino dell’Eden, la prima coppia di uomini riceve un dono di vita, quello di mangiare di tutti gli alberi del giardino (2,16), accompagnato da un comando del Signore Dio che invita a rinunciare a un albero per non morire (2,17). Malgrado questo dono di cui godono, non si fidano della parola divina, preferendo ascoltare il serpente che promette illusoriamente un'”altra” vita se osano prendere e mangiare, rifiutare il limite, accaparrare per sé il tutto.
Nella terra di morte di Carran Abram, al contrario, ha solo una parola divina che gli ordina di lasciare tutto in vista della benedizione, mentre il dono di vita
è ancora allo stato di promessa e deve fare i conti con la sterilità di sua moglie Sarai. Nonostante tutto ciò Abram decide di dare fiducia al Signore e, come le parole gli hanno ordinato, se ne va, tagliando di netto con il passato segnato dal capolinea della morte provocata dalle scelte sbagliare dettate dalla bramosia.
Il lasciare è un nascere e il narratore lo evidenzia utilizzando il verbo uscire («Abram aveva settantacinque anni quando uscì da Carran»), che esprime il venire al mondo come soggetto di colui che nasce. Il verbo (yāṣāʾ) era già comparso alla fine della storia di Caino, in Gen 4,16 («E Caino uscì lontano dalla faccia di Adonai, e abitò nella terra di Nod…»). Incapace di ascoltare la parola rivoltagli dal Signore che lo invitava a uscire dal mondo materno, Caino uccise suo fratello (4,6-8), precipitando nella maledizione. Aveva tuttavia finito col «nascere», ma per conoscere l’erranza nel paese di «Vagaterra» (Nod) lontano da colui che lo invitava alla vita 1.
Al contrario, Abram «esce» sulla parola di Dio, che lo accompagna sul cammino intrapreso. Ma mentre lo apre alla benedizione, questa nascita gli permette anche di diventare per gli altri un’opportunità di vita, grazie alla benedizione di cui sarà il portatore.
Abram esce da Carran e arriva nel paese di Canaan (v. 5). È il paese dei discendenti di colui che è stato maledetto a motivo del peccato di bramosia del padre Cam (cf. 9,25 e il post dedicato). La benedizione in Abram raggiunge per primo colui (o coloro che) che più degli altri è (sono) sotto la maledizione.
Lasciando la casa di Terach dominata dalla relazione fusionale e uniformante, Abram è la risposta divina ai costruttori di Babele. Infatti il desiderio di questi ultimi è l’uniformità, la sicurezza, pagata con il prezzo della negazione delle persone e della loro singolarità (cf. il post dedicato alla torre di Babele). Partendo Abram acconsente a diventare diverso, ad assumere la singolarità irriducibile che consiste nell’essere, per ogni umano, latore della benedizione divina. Accetta, in questo modo, di rinunciare alla logica in opera negli abitanti di Babele. Ormai, almeno un uomo non potrà essere assimilato, conformato; almeno un uomo assumerà il rischio di rivendicare la propria differenza, anche a costo di destabilizzare gli altri e di mettere così in pericolo la propria sicurezza.
Per questo, certo, è necessario che Abram rimanga fedele al progetto al quale aderisce lasciando la casa di suo padre. (Il lettore della Genesi non tarderà molto ad accorgersi che questo cammino è una prova assai pesante e che l’adesione iniziale dovrà essere rinnovata passo dopo passo).
L’elezione di Abram un dono di vita per tutta l’umanità
In queste poche righe, quello che viene denominata come «l’elezione» o «chiamata di Abram, appare sempre più un dono di Dio per la vita e la felicità degli esseri umani. Essa apre, in realtà, un’opportunità per “rivisitare” i luoghi in cui hanno trionfato la maledizione e la morte – in Eden, con Caino poi con Cam, in Babele – in modo tale che la benedizione e la vita possano investirli e mettervi le radici con la speranza di vedere realizzarsi il disegno del Signore, a discapito del serpente e della sua discendenza multiforme (cf. 3,15).
Ecco allora che il narratore non dà nessuna giustificazione per la scelta della persona di Abram, come era, ad esempio, capitato precedentemente con Noè2; questo perché il punto qui non è essere o no oggetto della scelta divina, quanto piuttosto aver acconsentito nei fatti alla separazione richiesta. Detto in altri termini si è accettato di rinunciare in un modo o nell’altro alla logica del serpente. Abram ha acconsentito al desiderio di vita che il Signore ha per lui e per ogni essere umano, in quanto ne è il creatore (Gen 1).
L’invito ad Abram, come quelli fatti ad Isacco e Giacobbe ( io sono il Dio di Abramo, isacco e Giacobbe) come l’invito fatto a Noè (abbatti la tua casa) invito identico a quello antecedente di 1500 anni fatto ad Utanapisthim nel poema Sumero della Creazione, è invito alla “MORTE ALL’IO” ovvero alla “melete thanatou” socratica.
E’ l’invito alla “rinascita”, che presuppone questa morte, cui invita Gesù con il suo “se uno non rinasce…da vecchio..” : è invito alla resurrezione in vita.
Solo grazie a quel “MIO vangelo” che il fariseo-separato Paolo ha insegnato alla umanità, vangelo opposto a quello di quel Gesù “DIVERSO” che i Grandi-Apostoli (2Cor) INSEGNARONO, si avrà lo stravolgimento del messaggio di Gesù :
si vedrà una MATERIALE resurrezione della fine dei tempi, si avrà, ipocritamente nascosto, il peggiore e più deòleterio CULTO DELL’IO, L’IO-CREATO e si avrà molto altro.
Serve capire Gesù, tornare alle sue pulite parole, ma prima serve liberarsi da quelle catene-prigioni cui gli insegnamenti di Paolo ci costringono.
Auguri