Gen 11 apre con il racconto della torre di Babele (1-9), segue la genealogia “lineare” di Sem e di suo figli Arpacsàd che si conclude con la menzione di Terach e dei suoi tre figli Abram, Nacor e Aram (10-26); infine la ripresa della formula «Questa è la discendenza…» rilancia la genealogia di Terach padre di Abram (vv. 27-32) con alcuni ampliamenti.
Per una visione d’insieme
Dopo la grande «Tavola dei popoli» di Gen 10 che ha mostrata armonia tra unità e diversità o «unità nella diversità» ecco che ci si deve scontrare con il progetto dell’umanità, meglio di una sua parte, di eliminare le differenze e di dar vita ad una società monolitica e indifferenziata.
Comunemente il racconto è attribuito all’autore yahwista ed è conosciuto come il racconto «della torre di Babele». Esso è un breve ma luminoso esempio di narrativa biblica dove brilla la tecnica di composizione narrativa: si gioca sul chiasmo, sulla paronomasia e sulla allitterazione1.
La «Torre di Babele» poi non è sganciata dal contesto di Gen 1–11, ma vi sono una serie di richiami letterari e stilistici: la doppia ricorrenza della forma verbale wayehî dei vv. 2-3 richiama Gn 4,2b-3, mentre la particella deittica «ecco» (hēn) e quella temporale «ora» (ʿattâ) trovano un parallelo in 3,22, e lo stesso avverbio «perciò» (ʿal-kēn) di carattere eziologico è un eco del commento conclusivo di Gen 2,24. Queste caratteristiche della narrazione fanno del racconto della Torre di Babele, un racconto ben inserito nella grande storia primordiale di Gn 1–112.
Borgonovo 3individua nel racconto quattro motivi più o meno sviluppati: 1) l’eziologia popolare del nome di una delle città più famose del Vicino oriente antico, Babilonia, segnata da alterne vicende di gloria e di decadenza; 2) la “confusione” delle lingue, ritenuto un possibile elemento narrativo indipendente ed entrato nel racconto solo successivamente e questo a motivo dell’incongruenza del racconto nei passaggi dal v. 7 al v. 8 e dal v. 8 al v. 9; 3) la “dispersione” degli uomini sulla faccia di tutta la terra, tema già apparso dopo il diluvio (cfr. 9,19 [J] e 10,32 [P] ) e presente nel racconto solo in 11,8; 4) il motivo della costruzione della città e della corrispettiva torre; la prima parte del racconto è dominata da questo motivo (vv. 2-4), mentre a partire dal v. 6, dopo un versetto-ponte (v. 5), l’attenzione del narratore si sposta sugli altri elementi (eccetto la notazione di 8b).
Al di là della supposta eterogeneità dei motivi letterari soggiacenti al racconto 4, l’unità del brano è data dalla ripetizione di alcuni elementi. Dal punto di vista lessicale le espressioni «tutta la terra» (kol-hāʾāreṣ) e «labbro» (śāfâ), poste all’inizio e alla fine a mo’ di inclusione (vv. 1.9), incorniciano il racconto. Compaiono inoltre frequentemente lungo tutta la narrazione alcuni termini: sei volte il termine «terra» (ʾereṣ, vv. 1.2.4.8.9 [2x]), di cui cinque associato a «tutto/a» (kōl, 1.4.8.9 [2x]), orienta la lettura del racconto verso un contesto universale; l’attestazione del «linguaggio» (śāfâ, vv. 1.6.7[2x].9) segnala il problema su cui è incentrato il brano; il nome divino YHWH, presente cinque volte nella seconda parte (vv. 5.6.8.9), determina l’evoluzione della trama; quattro ricorrenze occupano i vocaboli «là» (šām, vv. 2.7.8.9), il verbo «essere, divenire» (hāyâ, vv. 1.2.3[2x]) e l’aggettivo «uno, unico, solo» (ʾeḥād, vv. 1[2x].6[2x])5. Queste ripetizioni, assieme ad assonanze e paronomasia6, strutturano il brano in quattro parti:
a) vv.1-2 movimento centripeto;
b) vv. 3-4 movimento ascendente;
c) vv. 5-7 movimento discendente;
d) vv. 8-9 movimento centrifugo.
Le prime due descrivono la “costruzione” e le ultime due la “decostruzione” della torre e della città7. Si inizia con un movimento centripeto di concentrazione degli uomini verso uno stesso luogo, «la regione di Sinar» (vv. 1-2). Segue a questo punto un movimento verticale dal basso verso l’alto, rappresentato dalla costruzione della città e soprattutto della torre la «la cui cima tocchi il cielo», il tutto è motivato dalla paura di essere dispersi (vv. 3-4). A seguire c’è un secondo movimento verticale ma di direzione opposta, dall’alto verso il basso, quando Dio scende per vedere la città e la torre8. Dopo aver visto decide di impedire all’umanità di realizzare l’opera (vv. 5-7). La decisione divina innesca un movimento centrifugo di dispersione dalla città di Babele verso tutta la terra (vv. 8-9).
- Per approfondimento cf. J.P. Fokkelman, Narrative Art in Genesis. Specimens of stylistic and structural analysis (The Biblical Seminar 12), Sheffield 1991, 11-45; I.M. Kikawada, The Shape of Genesis 11:1–9, in J.J. Jackson – M. Kessler, eds., In Rhetorical Criticism: Essays in Honor of J. Muilenburg, Pittsburgh 1974, 198-32; I.M. Kikawada – A. Quinn, Before Abraham Was. The Unity of Genesis 1-11, Nashville 1985, 73-74.
- G.J. Wenham, Genesis 1-15 (WBC 1), Nashville 1987, 234
- G. Borgonovo, Genesi, La Bibbia Piemme, Casale Monferrato (AL) 1995, 96.
- Gunkel, ad esempio, seguito da Skinner, individua una «storia della città» e della confusione delle lingue (vv. 1.2a.4ag.6aa.7.8b.9) e una «storia della torre» con la dispersione (vv. 2,4abb.8a.9b): H. Gunkel, Genesis. Mit einem Geleitwort von Walter Baumgartner, Göttingen 1977, 92-97; J. Skinner, Genesis (ICC), Edinburgh 19302, 223-224. Uehlinger divide la pericope in cinque strati corrispondenti all’evoluzione diacronica del testo che mancherebbe di una coerenza interna: C. Uehlinger, Weltreich und ‘eine Rede’. Eine neue Deutung der sogenannten Turmbauerzählung (Gn 11,1-9) (Orbis Biblicus et Orientalis 101), Göttingen 1990, 293-343. Per le ultime ipotesi rimando a J.C. Gertz, Babel im Rücken und das Land vor Augen. Anmerkungen zum Abschluss der Urgeschichte und zum Anfang der Erzählung von den Erzeltern Israels, in A.C. Hagedorn – H. Pfeiffer, eds., Die Erzväter in der biblischen Tradition (BZAW 400), Berlin – New York 2009, 9-34; J.S. Baden, The Tower of Babel: A Case Study in the Competing Methods of Historical and Modern Literary Criticism, in JBL 128 (2009), 209-224.
- L’aggettivo «uno» è associato due volte al «linguaggio» (vv. 1.6), una volta a «lingua» (v. 1) e una volta a «popolo» (v. 6). Cf. A.M. Scarpa, Babele o della dispersione (Genesi 11,1-9), in D. Iannotta, ed., Pensare la differenza. Incontri, Torino 2004, 29.
- Delle ripetizioni già abbiamo detto. Ci sono allitterazioni per ripetizioni di gruppi consonantici (š e m) in «là» (šām, vv 2.7) o «di là» (miššām, vv. 8.9), nome (šēm) e «cielo» (šāmaym); assonanza in a–i e rime lungo il testo che servono a marcare un concetto, quale quello ad esempio della costruzione fatta dall’uomo (v. 5 «la città e la torre» hāʿîr weʾet hāmigdāl); giochi di termini omofoni provenienti da radici verbali diverse (v. 3: nilbehâ lebēnîm; weniśrefah liśrēfah; hellebēnâ leʾāben; wehaḥēmar laḥōmer; v. 5: bānû benê. Cf. Fokkelman, Narrative Art, 16-18; Scarpa, Babele o della dispersione, 28-29.
- Cf. Wenham, Genesis 1-15, 335-336; J.-L. Ska, Una città e una torre (Gn 11,1-9), in J.-L. Ska, ed., Il libro sigillato e il libro aperto (Collana Biblica 11), Bologna 2005, 271-272; M. Priotto, La torre di Babele (Gn 11,1-9), in Parole di Vita LI.6 (2007), 12-13. Sul movimento verticale ed orizzontale cf. P.J. Harland, Vertical or Horizontal: The Sin of Babel, in Vetus Testamentum 48 (1998), 515-533.
- C’è nel testo una sottile ironia determinata dalla sproporzione tra le opere umane e la grandezza di Dio: gli uomini di Babele costruiscono una torre che tocca il cielo e Dio è costretto a scendere per vedere l’opera che stanno facendo. Cf. Ska, Una città e una torre, 273.