Di Anna Maria del Prete
“In seguito Giosuè, figlio di Nun, mandò due uomini da Sittim per spiare di nascosto, dicendo: Andate, ispezionate il paese e Gerico”. Essi andarono ed entrarono in casa di una donna, una prostituta, chiamata Rahab, e là alloggiarono” (Gs 2,1).
Così inizia la storia di Rahab nel secondo capitolo del libro di Giosuè.
Il libro di Giosuè apre, per così dire, la seconda parte della Bibbia, quella che segue il Pentateuco: i primi cinque libri della Sacra Scrittura che ne costituiscono il fondamento perché contengono la storia dell’alleanza che Dio fa con il popolo eletto al quale promette la Terra in cambio della sua fedeltà: io sarò il vostro Dio e voi sarete il mio popolo. Una fedeltà che significa fiducia, abbandono, obbedienza, requisiti fondamentali per conservare quella libertà che il Signore gli ha donato, liberandolo dalla schiavitù dell’Egitto.
Il popolo eletto è costituito da un gruppo sparuto di persone, probabilmente ex-nomadi, incapaci di organizzarsi per combattere contro il faraone prima e poi contro i potenti re che si oppongono al loro cammino verso la Terra promessa. Ma il Signore li rende forti perché li guida “con braccio forte e mano possente” fuori dall’Egitto e poi verso il paese di Canaan, la Terra promessa. Eccoli finalmente al confine con il paese tanto atteso… ma esso appare talmente ricco e bello da far loro paura. Non sono capaci di “far memoria” delle grandi cose che il Signore ha compiuto in loro nel passato, essi fanno i conti solo con la loro debolezza… Dimenticano che la Terra è un dono del loro Dio e non una conquista delle loro forze. Non accolgono il dono, restano con la loro paura e fuggono. Inizia, così quel peregrinare nel deserto, che durerà tutto il tempo necessario per purificare il loro cuore fino a renderlo capace di comprendere che la loro forza è nel Signore.
Ed è proprio questo che comprende Rahab, la prostituta di Gerico che accoglie i due esploratori inviati da Giosuè, il successore di Mosè al quale è stato affidato il compito di guidare il popolo nel paese di Canaan. Come Mosè, anche il nuovo condottiero, non ha il coraggio di entrare nella Terra fidandosi solo della parola di Dio e invia due uomini ad esplorarla.
Ma questa volta c’è Rahab, una donna che per la sua professione, criticata e condannata, ha avuto la possibilità di incontrare uomini di tutti i tipi che raccontavano quanto accadeva nei loro paesi e le confidavano le loro paure. Essa li ascoltava, “serbava tutto nel suo cuore” e traeva le sue conclusioni. Cresceva in essa il convincimento che il Dio che guidava il popolo di Israele era l’unico, vero Dio. Abituata ai suoi idoli, capricciosi e lontani, che si interessavano agli uomini solo per pretenderne il culto, aveva scoperto un Dio che si poneva in una relazione d’amore con il suo popolo che accompagnava con i grandi prodigi di cui tanto si parlava con sorpresa e paura.
Una scoperta che trasforma il suo cuore e ne determina la scelta fondamentale e totalizzante.
Possiamo immaginare la gioia e l’emozione che la pervade quando riconosce nei due nuovi ospiti, che bussavano alla sua porta, gli appartenenti al popolo che quel Dio guidava. Non un attimo di esitazione, li accoglie e li nasconde alle guardie del suo re, che le chiedevano di consegnarglieli.
Immediatamente ella rivela ai due messaggeri la prima verità, per essi di vitale importanza: “Io so che il Signore vi ha donato il paese, perché il terrore di voi è caduto su di noi, e tutti gli abitanti del paese vengono meno dalla paura davanti a voi” (Gs 2,9). La prostituta riconosce “il tempo” del Signore ancor prima dei suoi uomini e, forse, li preserva dallo stesso errore in cui incorsero le spie inviate da Mosè che tanto costò a loro e alla loro generazione.
Ella ha perduto la sua terra, ma ha trovato il vero Dio e subito si schiera dalla sua parte, senza temere l’ira del suo re e dei suoi concittadini per il tradimento che si appresta a perpetrare.
Rahab mente ai soldati, ma proclama ai due ospiti la seconda verità, la più grande verità della sua vita: “Il Signore, il vostro Dio, è Dio lassù nei cieli e quaggiù sulla terra” mettendo insieme la più completa professione di fede uscita dalla bocca di una straniera, cioè di una creatura che non appartiene al popolo di Israele. Ella spiega pure come sia giunta a questa conclusione proprio attraverso l’esperienza della paura che aveva pervaso i cuori degli uomini che la frequentavano, guerrieri forti e preparati alla battaglia che avevano distrutto gli eserciti più potenti della terra e che ora, davanti a questo piccolo popolo “vengono meno” e precisa: “all’ udire queste cose, il nostro cuore è venuto meno e non è più rimasto coraggio in alcuno a motivo di voi perché il Signore, il vostro Dio, è Dio lassù nei cieli e quaggiù sulla terra” (Gs 2,11). La donna ha compreso da quale parte sta le vittoria e impetra un giuramento solenne: “or dunque, vi prego, giuratemi per il Signore che, come io vi ho usato clemenza, anche voi userete clemenza con la casa di mio padre; datemi quindi un segno sicuro che lascerete in vita mio padre, mia madre, i miei fratelli, le mie sorelle e tutto ciò che appartiene loro e che risparmierete le nostre vite dalla morte” (Gs 2,12-13). I due uomini aderiscono alla richiesta e giurano “quando il Signore ci darà il paese, noi ti tratteremo con clemenza e lealtà” (Gs 2,14) e per distinguere la casa che avrebbe dovuto scampare alla distruzione di Gerico le propongono di appendere “alla finestra […] questa cordicella di filo scarlatto e [di radunare] in casa presso di te tuo padre, tua madre, i tuoi fratelli e tutta la famiglia di tuo padre” (Gs 2,18). Ancora una volta un segno rosso-scarlatto contrassegna il luogo di salvezza: memoria di un passato (le case degli israeliti che devono essere salvati dalla morte dei primogeniti [Es…]) e profezia di un futuro (la Chiesa segnata dal sangue di Cristo, luogo di salvezza per coloro che in essa si radunano).
Termina qui il dialogo tra Rahab e i due esploratori, che tornano al loro accampamento e riferiscono il messaggio a Giosuè: “Certamente il Signore ha dato in nostra mano tutto il paese; e già tutti gli abitanti del paese vengono meno dalla paura davanti a noi” (Gs 2,24).
Scompare la nostra protagonista, ma non la sua storia che continua nel sesto capitolo del libro, ove si narra come Giosuè, per mantenere fede al giuramento fatto dai suoi uomini, preserva dallo sterminio di Gerico “Rahab la prostituta, la famiglia di suo padre e tutto ciò che le apparteneva; così essa ha dimorato in mezzo ad Israele fino al giorno d’ oggi, perché aveva nascosto i messaggeri che Giosuè aveva mandato ad esplorare Gerico” (Gs 6,25).
L’affermazione che la famiglia di Rahab “ha dimorato in mezzo ad Israele fino al giorno d’oggi” vale ancora nei nostri giorni e potrebbe essere luce per i problemi di divisione che dilaniano questo Paese.
La figura di Rahab è ripresa nel Nuovo Testamento per ben tre volte.
Rahab, antenata del Messia: Matteo nella genealogia di Gesù (cfr Mt1,5) cita quattro donne che caratterizzano le quattro svolte epocali in cui è diviso il tempo di attesa del Messia: Tamar all’epoca dei Patriarchi, Rahab al momento dell’entrata nella Terra, Rut al tempo dei Giudici e Bersabea all’inizio del periodo regale. Sono quattro donne “straniere”, che entrano a far parte delle figlie di Israele e vivono, più di altre, la loro vocazione di donne sempre schierate dalla parte della vita per accoglierla e custodirla. Inoltre l’irregolarità della loro situazione dice pure la estrema libertà di Dio le cui vie non sono le nostre, né i suoi pensieri sono i nostri (cfr Is 55,9).
Rahab, donna di fede: “Per fede Rahab, la prostituta non perì con gli increduli avendo accolto con benevolenza gli esploratori” (Eb11,31). L’Autore della lettera agli Ebrei ricorda Rahab insieme ai patriarchi e ai grandi personaggi dell’Antico Testamento che egli cita per dimostrare come la loro grandezza sia dovuta proprio all’atteggiamento di fede in base al quale la loro vita è stata orientata sempre da ciò che non appariva evidente né ai loro occhi né a quelli degli altri: la fede nelle promesse del Signore. Rahab, pur essendo una straniera e pur conducendo una vita riprovevole, è stata trasformata dalla fede, ha guardato oltre la realtà immediata e, ricca dell’esperienza di cui ha udito notizia (la divisione del mar Rosso e la vittoria sui potenti re dei paesi confinanti), ha puntato sul vero Dio.
Rahab, donna di ospitalità: “Così anche Rahab, la prostituta, non venne forse giustificata in base alle opere per aver dato ospitalità agli esploratori e averli rimandati per altra via” (Gc2,25). Giacomo propone Rahab insieme ad Abramo come esempi di vita (= succedersi di atti) incardinata sulla fede. Ambedue hanno vissuto la fede nella sua bipolarità: apertura incondizionata all’iniziativa di Dio e risposta con opere fondate su un ardito affidamento a Lui. Abramo, il padre della fede, ha vissuto l’operosità quando gli è stato chiesto di sacrificare il figlio (Gen22,1-19); Rahab lo ha fatto ponendo al servizio di Dio e dei suoi inviati la sua persona, la sua casa e la sua appartenenza a un popolo. Ambedue possono essere definiti, come afferma il p. Ugo Vanni, “i protagonisti della fede” che si fa azione, ambedue agiscono secondo quanto Dio suggerisce loro in un contesto di abbandono a Lui senza riserve.
Da questo rapido schizzo possiamo concludere che Rahab non è una donna qualunque, pur non uscendo dai canoni di una vita normale: ella apre la porta di casa a due stranei, come ha fatto sempre, scopre che sono spie, ripensa a quello che ha sentito sul loro popolo e sul loro Dio, li nasconde da un pericolo mortale. Abituata a discernere persone e situazioni, inevitabilmente sente che è giunto il momento di scegliere e sceglie schierandosi dalla parte dei nuovi arrivati a causa del loro Dio. Donna intraprendente e pratica dalle decisioni veloci e rapide di fronte al pericolo, muta una situazione di rischio in una occasione di salvezza.