La morte di Jhwh e la sua rinascita: L’esilio babilonese

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Esilio babilonese

La caduta di Gerusalemme, la sua distruzione come quella del tempio di Jhwh, la fine della monarchia e la deportazione degli abitanti di Giuda (le classi dirigenziali) in Mesopotamia, provocarono un trauma che a noi è difficile immaginare. Gli avvenimenti intercorsi negli anni 597587 portarono alla distruzione dei pilastri su cui all’epoca della monarchia si era retto il culto di Jhwh, Dio nazionale:

  • il re era detronizzato e morirà a Babilonia;
  • il Tempio, simbolo della presenza di Dio è distrutto;
  • il paese si trova sotto la dominazione babilonese.

Se l’identità del popolo ebraico e quella del suo Dio voleva continuare si doveva ripensare e ri-dire in modo completamente nuovo. Fu un cammino certamente doloroso e carico di mille domande e dubbi atroci. Da questa fucina però uscirono le grandi collane che andranno a formare la bibbia ebraica: il pentateuco, la storia deuteronomista e la raccolta dei libri profetici.

Da subito fu necessario superare il concetto di un pantheon con Jhwh come Dio nazionale. Infatti, se si fosse continuato a pensare secondo le categorie di un Dio nazionale, sarebbe stato necessario riconoscere che Jhwh era stato sconfitto da Marduk, Dio tutelare dei babilonesi. E non è inverosimile che taluni siano stati tentati di aderire al culto di Marduk: le processioni organizzate in suo onore avevano certamente impressionato parecchi esiliati.

Questo grande sforzo portò a delineare più di una immagine di Jhwh legata alle idee dei diversi gruppi che le produssero. Dovremmo quindi ora far riferimento a questi gruppi e alle loro opere.

L’ambiente deuteronomista

Il discorso su Dio riprende le antiche idee portate avanti dal movimento del «solo Jhwh» ed elaborate in precedenza da Osea e dai «discepoli» che a lui si ispiravano. In precedenza questo movimento era sempre stato marginale anche se aveva avuto l’appoggio di un re come Giosia. Adesso che la nazione non esisteva più, diventa centrale per la rielaborazione dell’identità israelitica. Vengono raccolte e conservate le testimonianze dei profeti, provvedendo anche a una loro attualizzazione. Nello stesso tempo un gruppo di intellettuali, sulla scia del culto esclusivo, rileggono la storia completa di Israele, andando da Mosè fino alla distruzione di Gerusalemme. L’opera viene chiamata «storia deuteronomista» (= dtr) perché i principi ispiratori del racconto storico si rifanno al libro del Deuteronomio.

Per questo gruppo di intellettuali, chiamati deuteronomisti, la catastrofe dell’esilio è stata causata dal fatto che il popolo non ha praticato il culto esclusivo a Jhwh, il Dio d’Israele. La caduta di Gerusalemme non è dunque il segno della debolezza di Jhwh, anzi, egli stesso l’ha provocata per portare a compimento il suo giudizio a motiva della disobbedienza del suo popolo.

Da un lato si afferma la superiorità di Jhwh sugli dèi assiri e babilonesi, dall’altro lo si presenta con le stesse caratteristiche di queste divinità: un grande Dio guerriero, mosso da spirito di vendetta soprattutto contro i suoi nemici.

L’ambiente sacerdotale

Anche la corrente sacerdotale, quella che faceva capo oramai agli ex-sacerdoti del tempio di Jhwh, articola un discorso su Dio. Esso è molto più pacifico di quello dei loro colleghi deuteronomisti. Per il clero gerosolimitano si tratta per prima cosa di riflettere sui mezzi per venerare Dio, proprio in mancanza del Tempio e delle strutture tradizionali. Anch’essi redigeranno un che, da parte sua, comincerà con il racconto della creazione in Genesi 1. La narrazione si conclude con l’istituzione dello sabba (il giorni di sabato), a differenza delle solite cosmogonie che culminano con la costruzione di un santuario. Avviene un passaggio fondamentale: lo spazio sacro si trasforma in tempo sacro: ciò significa che si può adorare Dio con una liturgia che si inserisce in un ritmo temporale anche in mancanza dello spazio sacro del Tempio. Essa inoltre può essere praticata ovunque anche a Babilonia.

Sebbene le istituzioni della monarchia fossero crollate, gli autori sacerdotali erano pur sempre convinti che la presenza di Dio fosse resa accessibile soltanto grazie alla mediazione fornita dal clero. Pertanto al centro del documento sacerdotale (in Esodo 25 e ss.; nel libro del Levitico e in Numeri 1-9) si trova una legge che, al contrario di quella del Deuteronomio, presta attenzione ai temi cultuali come i sacrifici, le feste e l’attrezzatura del santuario.

La corrente sacerdotale partecipa dunque attivamente al processo di ridefinizione dell’identità del popolo ebraico e del suo Dio, riscrivendo di sana pianta le vecchie istituzioni che mediavano il culto di Dio al tempo della monarchia

Ora diventa basilare lo shabbat, inserito nell’ordine stesso della creazione; si insiste sulla circoncisione, istituita al momento dell’alleanza con Abramo in Genesi 17; sulla Pasqua, iniziata come rito familiare e non più regale, al momento dell’uscita dall’Egitto; e sulle norme alimentari che sono rivelate al tempo dell’alleanza con Noè dopo il diluvio.

Bisogna sottolineare che tutte queste istituzioni regolano il rapporto tra Jhwh e un Israele che ora può essere in patria ora altrove: in esilio o perfino in diaspora. Ma grazie a queste nuove istituzioni Israele rimane se stesso.

Tutto questo comporta anche un radicale ripensamento di Dio. Il Dio di Israele, per gli autori sacerdotali, non è più un Dio nazionale ma è il Dio di tutta l’umanità (lo confermano i primi capitoli della Genesi). Vuole il benessere e la benedizione di tutti gli esseri umani.

Quindi l’alleanza conclusa con Noè, il cui segno è l’arcobaleno, vale per tutti i popoli discendenti del patriarca. L’alleanza con Abramo, il cui segno è la circoncisione, include Ismaele, l’antenato delle tribù arabe.

Tuttavia questo Dio così universale ha anche degli aspetti che ci sembrano forse meno rassicuranti. Così, nella versione sacerdotale dell’Esodo, Dio indurisce il cuore di Faraone, che non ha quindi alcuna possibilità di convertirsi. Nel documento sacerdotale Jhwh è senza dubbio un Dio universale, ma la liberazione di Israele dall’Egitto è intesa come un combattimento contro gli dèi di quel paese (Es 12,12).

Il Deutero-Isaia

Nel periodo esilico e immediatamente post-esilico ha opera un profeta anonimo i cui oracoli e discorsi sono stati raccolti e sistemanti nei capitoli 40-55 del libro di Isaia. Il suo nome, coniato dagli esegeti, è Deutero-Isaia.

Questo profeta anonimo confessa Jhwh come Dio unico, mentre tutti gli altri dèi sono soltanto delle illusioni:

«Io sono il primo e sono l’ultimo, e fuori di me non vi sono dèi» (Is 44,6).

È il primo formulare e proclamare un monoteismo teorico. Ai suoi occhi le divinità dei popoli, persino quelle dei vincitori, non sono dèi ma «legna da ardere» (44,16-17). In 44,9 leggiamo:

«I fabbricanti di idoli sono tutti vanità e le loro opere preziose non giovano a nulla; ma i loro devoti non vedono né capiscono affatto e perciò saranno coperti di vergogna».

In questo testo il monoteismo veterotestamentario giunge alla sua piena espressione teologica, detta con audacia e vivacità, proprio nel momento in cui le apparenze sembravano smentire la sovranità di Jhwh. Sarà in quel tempo di crisi (esilio, occupazione …) che il credo monoteista si imporrà.

Nel secondo Isaia le affermazioni teologiche si fanno quasi scandalose quanto il re persiano Ciro viene additato come «inviato» e «messia» di Jhwh. Nei capitoli 40 e successivi di Isaia diventa sempre più chiaro che Jhwh è signore di ogni re sulla faccia della terra. È la propaganda regale ufficiale su Jhwh.

Dall’epoca dell’esilio si imporrà quindi la fede monoteista che confessa un solo Dio creatore del mondo e artefice del destino di tutta l’umanità, ma che ha tuttavia un rapporto speciale con Israele, il suo popolo eletto.

Lo storico può fare osservare che questa rivoluzione della fede jahwista non è stata subito accettata da tutti. Ricordiamo soltanto la colonia ebraica di Elefantina, nel sud dell’Egitto, che adorava ancora nel V secolo a.C. una triade di divinità, una delle quali era Jhwh.
Concludendo …

Le diverse sfaccettature di Dio sviluppate nel corso della riflessione che era andata formandosi dalla decadenza del regno di Israele e Giuda fino al totale annientamento, comprese anche certe raffigurazioni arcaiche di Jhwh sono confluite nella stessa Bibbia. La domanda che sorge perché? E perché tenere poi certe concezioni così «poco ortodosse ed evolute»?

Va detto subito che la Bibbia ebraica non si presenta come un’unica dottrina coerente, sistematica e unitaria su Dio. Le sacre Scritture offrono viceversa una sintesi di diversi enunciati su Jhwh e sul suo popolo.

L’inizio di questa sintesi è stata la pubblicazione della Torah, del Pentateuco come documento ufficiale del giudaismo, in epoca persiana. Gli amministratori persiani lasciavano infatti alle province conquistate una certa libertà per ciò che riguardava le questioni religiose. Le autorità persiane incoraggiavano perfino i diversi popoli a raccogliere le loro tradizioni legali e religiose per farne un documento ufficiale persiano per quella determinata provincia. Tale pratica era detta «autorizzazione imperiale». Gli eventi narrati in Esdra 7 possono essere messi in relazione con quella prassi. Secondo il testo, Esdra giunge a Gerusalemme come «incaricato degli affari cultuali ebraici» e proclama una legge del Dio del cielo. Secondo la tradizione ebraica quella legge può essere identificata con il Pentateuco o con un proto-Pentateuco.

Perciò è evidente che esso, in quanto unica Legge dell’ebraismo, deve obbligatoriamente rispecchiare le differenti tendenze teologiche della comunità. Tale principio è ugualmente valido per la raccolta dei libri profetici e quella degli «scritti» per noi cattolici chiamati anche libri sapienziali.

Il nuovo spazio in cui si muove il giudaismo è quindi quello del libro, ma non si tratta di un libro chiuso, anzi, conserva tutta la diversità dell’esperienza del popolo ebraico con il suo Dio. Jhwh è al tempo stesso il Dio adorato dalle origini dell’umanità (Gen 4,26) e il Dio che ha rivelato il suo nome soltanto a partire da Mosè (Es 3). Jhwh è al tempo stesso il Dio che entra in rapporto con gli arabi, i filistei e gli egiziani (nel libro della Genesi le tavole dei popoli) e il Dio che vieta a Israele ogni contatto con gli altri popoli, ordinandone perfino lo sterminio (per esempio, in taluni testi del libro del Deuteronomio). Jhwh è al tempo stesso un Dio misericordioso e un Dio che si incollerisce ecc.

Tutte queste affermazioni su Dio sono in relazione le une con le altre, e chiunque voglia entrare in questo spazio della Bibbia ebraica deve partecipare al dialogo e impadronirsi dei differenti discorsi sul Dio veterotestamentario, ma può anche criticarli: in tal modo parteciperà alla ricerca di Jhwh, che è al tempo stesso il Dio d’Israele e il Dio di Gesù Cristo.

 

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