Di Pier Paolo Nava
Nell’Antico Testamento incontriamo vari profeti scrittori (quali Isaia, Geremia, ecc.); tuttavia anche i libri della storia di Israele (1-2Sam; 1-2Re) ci narrano di altri profeti i quali, in varie epoche, sono stati le anime religiose e sociali del popolo di Dio. Tra questi ultimi spicca la personalità così vera e l’azione energica di Elia, di cui si parla a sprazzi nei capitoli che vanno da 1Re 17 fino a 2Re 2.
Di lui i testi non ci offrono una biografia in senso stretto, ma una serie di interventi a tema che il profeta fece ai tempi di Acab (874-853 a.C.), re dell’Israele del Nord, che si era separato da oltre un secolo dal regno meridionale di Giuda. Nonostante il suo regno attraversi un’epoca di grande espan-sione economica, dallo storiografo sacro Acab viene giudicato negativamente in 1Re 16,29-34: nei suoi giorni Israele è vittima delle ingiustizie sociali a danno dei più poveri, e la religione dei Padri viene seriamente minacciata da quella dei popoli cananei (che gli vivono gomito a gomito), chia-mata anche baalismo; si tratta di una religione che celebra i ritmi della natura e della fecondità vegetale e animale, una religione elementare e senza impegno, che prevede determinati riti ma non un’etica: insomma, una chimera molto allettante.
Proprio dentro questo triste contesto il profeta è chiamato a parlare di Dio e a nome suo. L’annuncio che fa è contenuto nel suo stesso nome: El-Ja significa “Il Signore è Dio”, cioè il Dio dei Padri e dell’Esodo è l’unico Dio, e seguire la sua Legge è vivere giustamente. La sua azione è quindi contemporaneamente volta a salvaguardare la supremazia di Dio, ma anche i diritti dell’uomo, che è sua immagine e somiglianza (Gen 1,26). In più, Elia ha una personalità irruente, poco incline ai compromessi, un vero rompiscatole (e tale è il profeta della Bibbia in genere). Quando compare sulla scena, quasi assale il lettore pronunciando contro Acab la condanna e la pena: tu ti sei abbandonato al dio della natura, perciò il Dio vero nega a tutti la pioggia fino a nuovo ordine (1Re 17,1).
Le parti si sono quindi schierate: Elia ha scelto di stare con Dio, nonostante questo lo costringa a fuggire le guardie del re (17,2-6). Il profeta riceve da questa sua comunione con Dio il potere dei miracoli, alcuni ricordati dal narratore in 17,7-24.
Elia paladino di Dio
Poste queste premesse, possiamo leggere l’affascinante e crudo testo di 1Re 18, nel quale i due partiti opposti (Elia da una parte e Acab con i profeti di Baal dall’altra) si sfidano davanti al popolo riunito sul monte Carmelo (che si trova in Galilea, sulla costa del Mediterraneo). Quanto avviene è una ordalia, cioè un rito per mezzo del quale Dio è chiamato a giudice, per stabilire chi dei due è nel giusto; sia pur discretamente , il protagonista della scena è infatti Dio, il cui nome compare nel primo e nell’ultimo versetto del capitolo.
Elia non intende affermare una verità astratta, ma condurre il popolo a fare una scelta, a non tenere i piedi in due scarpe, in due religioni, come faceva di solito (v 21); esso però tace, pieno di dubbio o forse anche di scetticismo (vv 22-24). Gli antagonisti di Elia danno inizio alla sfida con i loro riti frastornanti e teatrali (vv 25-29); a quella sceneggiata si oppone il gesto semplice ed evocativo di Elia (vv 30-35), e la sua preghiera essenziale (vv 36-37), che Dio mostra di gradire inviando il fuo-co (v 38). Il popolo va in visibilio (v 39), e il finale è – se così si può dire – lieto: i profeti dell’idolo falso vengono trucidati (v 40), e la pioggia ridonata, come segno della riconciliazione avvenuta e della nuova fecondità della terra (vv 41-45). Ma non è finita qui…
Elia paladino dell’uomo
Un altro duro scontro contrappone Elia non più al timido re Acab, ma alla sua risoluta moglie Gezabele, principessa originaria della città fenicia di Sidone (oggi si trova in Libano), una donna pagana seguace del dio Baal che si distingueva come missionaria accanita della sua religione. Il confronto tra i due non è solo una questione personale (la regina voleva vendicarsi dell’assassinio dei suoi profeti), ma ben di più è il conflitto tra due concezioni opposte di monarchia, di gestione del potere. In Israele il re è essenzialmente un servo di Dio (Dt 17,14-20); per tutti gli altri popoli mediorientali invece egli era la massima autorità (in Egitto il faraone era addirittura adorato come un dio), e aveva potere di vita e di morte sui sudditi.
Un caso emblematico di “conflitto di interesse” – è proprio il caso di dirlo – è raccontato in 1Re 2,1-17. Il re Acab voleva estendere il parco della sua villa di campagna acquistando la vigna confi-nante di un certo Nabot, il quale però rifiuta: la terra ereditata dai padri è segno nell’oggi di autosuf-ficienza e libertà, ad essa non si può rinunciare neanche in nome della “New Economy”. Il re è co-stretto a tornarsene con la coda tra le gambe, ma subito interviene la regina, la cui coscienza non era così delicata, e si da da fare per risolvere la faccenda a modo suo. Durante una pia cerimonia di di-giuno, due testimoni (richiesti dalla Legge per avvalorare una accusa: vedi Dt 17,6) accusano fal-samente Nabot di aver maledetto Dio e il re; la pena prevista in quel caso è la morte (secondo Es 22,27 e Lv 24,11-14): con tutti i crismi della Legge l’innocente scomodo, Nabot, viene lapidato (1Re 21,8-16). Senza perdere la faccia, Gezabele intende distruggere la sostanza etica della religio-ne di Israele mantenendo l’integrità delle sue apparenze. Il nostro debole re tace, si limita a mettere tra i beni del Demanio la sua tanto desiderata vigna.
Mentre si tenta di insabbiare il caso, tocca ancora al profeta di Dio rivelare il segreto di Stato e lan-ciare l’accusa contro i due regnanti (vv 17-24); anche il pentimento del re non annulla del tutto la sentenza (vv 27-29). La polizia si mette all’inseguimento…
Elia in crisi
Elia scappa fino a 1Re 19. Qui, l’Elia irruente e inossidabile mostra la sua umanità vera, lontana dai riflettori della vita pubblica (vv 1-8). Nonostante la sua fatica, il popolo non mostra di convertirsi a Dio, mentre la regina ha giurato morte al suo nemico. Il profeta ha quindi paura di morire, ed è stanco e depresso (“non sono migliore dei miei padri”): il grande eroe crolla dentro.
Dentro questa situazione Dio gli appare e gli parla (vv 9-18). Gli si fa vicino in modo nuovo, non con simboli eclatanti (il vento, il terremoto e il fuoco, che piuttosto si addicono al carattere deciso di Elia uomo delle folle), ma nel segno di una brezza leggera. Elia viene ricondotto al silenzio, ad ascoltare una Parola che gli viene dall’Alto, e questa Parola serena e seria conduce il nostro amico, depresso e chiuso in se stesso, ad aprirsi di nuovo a Dio. La Parola anzitutto lo rimprovera (vv 9 e 13: “Che fai qui?” = il tuo posto è in trincea, non nel deserto!), e poi lo rilancia in avanti affidando-gli tre incarichi, e poi ancora lo conforta riconducendolo alla realtà (che egli, depresso, non era più in grado di vedere): non è vero che tutti si sono messi con Baal, un resto è rimasto fedele, e per que-sto la storia di Israele con il suo Dio rimane aperta. Elia è il profeta pieno, che non solo parla di e per Dio, ma anche con lui.
Elia dopo Elia
2Re 2,1-18 segna la fine dell’esperienza terrena di Elia e l’inizio dell’opera del discepolo Eliseo. Elia passa il Giordano verso oriente, e torna nella terra dalla quale proveniva (1Re 17,1), e da buon amico di Dio viene rapito in cielo. Nella tradizione biblica, Elia è uno dei tre personaggi dalla morte misteriosa, insieme a Enoch (rapito in cielo, Gen 5,21-24) e Mosè (senza tomba, Dt 34,5-6). Da questo particolare deriva l’antica credenza ebraica per cui Elia sarebbe dovuto tornare negli ultimi tempi, quelli del Messia (Siracide, 48,9-10): egli deve faticare ancora, deve preparare a Dio un popolo ben disposto. Nei Vangeli, questo è il ruolo svolto dal Battista (Lc 1,16-17), nel quale Gesù riconosce l’Elia ritornato (Mt 17,10-13); la sua predicazione era tutt’altro che comoda (Lc 3,1-18) e per questo fu perseguitato, proprio come Elia (Lc 3,19-20).
Mosè ed Elia attesero i giorni del Messia, fino a quando compaiono accanto a Gesù che svela la sua gloria divina sul monte della Trasfigurazione (Mt 17): la Legge antica data da Mosè, e la fatica di tutti i profeti trova finalmente pienezza e pace in Gesù, che è la Legge nuova e il perfetto Profeta del Padre.
Il Magistero della Chiesa (Lumen Gentium n° 35) riconosce che ogni battezzato è chiamato ad essere profeta, cioè a parlare con Dio, di Dio e per Dio nel mondo di oggi; realtà del tutto attuale, in giorni come i nostri in cui altri interessi vogliono soppiantare l’identica passione per Dio e per l’uomo, che fu dei Padri della nostra fede e di Gesù stesso. Elia non tace nemmeno oggi, è la voce che risuona (anzi, tuona) mediante i cristiani che non si rassegnano al silenzio e al compromesso.