Il Venerdì santo

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Al centro della liturgia del Venerdì santo c’è il crocifisso, mentre nella Chiesa cala il silenzio e si innalza solo la voce di chi racconta la passione secondo Giovanni. In questa atmosfera si fa ancora più pressante l’interrogativo che percorre tutti i vangeli: Chi è Gesù?

Paradossalmente è proprio la croce a svelarlo, perché è l’ora in cui viene manifestato.

La divinità di Gesù appare proprio nella debolezza, nella fragilità, là dove mai e poi mai gli uomini avrebbero cercato e creduto di trovare Dio. Abituati ad associare Dio a un super-eroe della Marvel, a un forza e a una potenza straordinaria davanti alla quale tutto si piega, noi facciamo fatica a riconoscerlo nel volto sfigurato di colui che sale al Calvario. Abituati a considerare Dio alla stregua di Superman capace di sfuggire a tutti i tranelli e alle insidie che gli vengono tesi e di guadagnare sempre la vittoria, ci è difficile accettare la condanna e l’umiliazione a cui viene sottoposto Gesù, alla sconfitta che subisce sotto gli occhi di tutti.

Non sono quindi i miracoli che ci forniscono la prova decisiva della sua divinità: essi sono solo dei segni, così li definisce l’evangelista Giovanni. Come i segnali stradali ci indicano e ci rimandano al luogo dove c’è la piena rivelazione su Gesù: è la sua morte per amore che svela la sua piena identità.

Il Messia disarmato e flagellato, condannato e messo a morte, emana una forza interiore a cui non si può resistere. È la forza dell’amore, che non si dà per vinto, neanche di fronte al rifiuto, all’ingratitudine, alla cattiveria. Ed è, insieme, la forza della verità che trionfa sulle oscure forze del male. L’ora delle tenebre, l’ora in cui si scatena la violenza ingiusta, l’ora in cui il male sembra prendere il sopravvento, è l’ora della luce, della testimonianza, della fedeltà fino in fondo a progetto di amore divino.

Nel volto di Gesù ci viene svelato anche quello di Dio Padre. Cadono le maschere che troppo spesso gli uomini hanno appiccicato al suo volto. Non è affatto il Dio che esige il sacrificio degli uomini, ma il Dio che offre il suo Figlio. E soffre accanto a lui sulla croce. Non è il Dio che piega gli uomini al suo volere, ma colui che propone loro un progetto di amore e lo fa attraverso la croce del suo Figlio. Non è il Dio che resta tutto sommano lontano dalle vicende umano, ma il Dio che pianta la sua tenda nella storia degli uomini, correndo tutti i rischi che tale scelta comporta.

Nel volto di Gesù crocifisso si rispecchia quello della nostra identità. Ai piedi della croce noi ci scopriamo destinatari di questo amore senza misura da essere sconvolgente. Ai piedi della croce noi riceviamo il dono che Cristo ci fa della sua vita.

Lasciamoci bagnare dall’acqua e dal sangue che scendono dal suo costato aperto. Lasciamoci rigenerare dal Battesimo e dall’Eucaristia, dalla grazia a caro prezzo, dal sacrificio che cambia la storia, a partire da quella personale.

Da uno strumento di condanna e di morte dolorosa ci raggiunge la vita di Dio. Quel legno, irrorato dal sudore dell’agonia, dal sangue che esce da un corpo martoriato, diventa l’albero della vita a cui tutti ci rivolgiamo per ricevere misericordia e salvezza. Da quel legno, issato sulla collina del Calvario, scende a noi la grazia di Dio, come un dono immeritato, il dono di una vita riconquistata dall’amore e all’amore.

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