Parola contro parola. La risposta del serpente in Gen 3,4-5

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La figura di un Dio che dona da mangiare di tutti gli alberi del giardino si è capovolta in quella di un Dio che minaccia, intimorisce e in definitiva incute paura. A questo punto il serpente, constatando che la paura ha fatto presa sulla donna, subito la rassicura e nello stesso tempo motiva l’ordine divino in linea con il Dio che la donna ha iniziato a temere. Ora il serpente contrappone la sua parola a quella di Elohim.

E il serpente disse alla donna: «Non morirete affatto! ! (), Elohim sa che, il giorno in cui voi mangiaste di esso, si aprirebbero i vostri occhi e sareste come (degli) Elohim, conoscenti il bene e il male».

וַיֹּ֥אמֶר הַנָּחָ֖שׁ אֶל־הָֽאִשָּׁ֑ה לֹֽא־מ֖וֹת תְּמֻתֽוּן׃ כִּ֚י יֹדֵ֣עַ אֱלֹהִ֔ים כִּ֗י בְּיוֹם֙ אֲכָלְכֶ֣ם מִמֶּ֔נּוּ וְנִפְקְח֖וּ עֵֽינֵיכֶ֑ם וִהְיִיתֶם֙ כֵּֽאלֹהִ֔ים יֹדְעֵ֖י ט֥וֹב וָרָֽע׃

Problemi di traduzione

Il testo ebraico ha più di qualche asperità di traduzione che rende il parlare del serpente fortemente ambiguo.

Ma… poiché … Si!

In Gen 2,17 Yhwh Elohim, quando diede il comando al terrestre di non mangiare dell’albero, aveva affermato: «nel giorno in cui ne mangerai, morire morirai» (cf. Gen 2,17); il serpente lo riprende e afferma: «Morire non morirete» e poi aggiunge: « Elohim sa…». La questione è stabilire la funzione delle particelle ebraica .

La traduzione Italiana della CEI attribuisce alla congiunzione un valore avversativo. In questo modo oppone alla morte annunciata da Elohim ciò che, al contrario, attende la prima coppia se mangia dell’albero: «Non morirete: al contrario (), sarete come Dio».

La congiunzione ha anche valore esplicativo o causale, in questo caso essa introdurrebbe in modo ellittico il motivo per cui Dio ha minacciato gli umani di morte: «Non morirete, (ma Dio lo ha preteso) poiché sa che…».

Infine si può ricorrere al significato originario della congiunzione, quello enfatico o esclamativo1: «Sì! Elohim sa che il giorno…». Reputo questa la scelta migliore perché ha il merito di alludere ai vari significati possibili celati nella congiunzione e si confà al modo di parlare ambiguo ed allusivo del serpente, già emerso fin da quando ha iniziato il dialogo con la donna.

Come déi

Altro problema è come intendere l’espressione «sarete kēʾlōhîm, yōdᵉʿê il bene e il male». La si può considerare come apposizione di «Elohim», in questo caso il senso sarebbe: «sarete come Elohim che conosce il bene e il male»; oppure come una designazione precativa: «sarete come Elohim, conoscenti il bene e il male». Le due traduzione sono tutte due possibili, ma quella grammaticalmente più accettabile è la seconda. I motivi sono i seguenti:

  1. è vero che Elohim è plurale e quindi concorda bene con il participio plurale maschile costrutto del verbo «conoscere» (yōdᵉʿê), ma come si spiega la prima parte del versetto dove si ha lo stesso verbo yādaʿ al participio singolare?
  2. Tutti i predicati di Elohim nella sezione sono al singolare.
  3. Il participio plurale è situato tra molte espressioni poste alla seconda persona plurale maschile («voi») per cui è preferibile attribuirlo in questa direzione: «conoscenti …».

Occhi aperti

Da ultimo l’espressione «e si apriranno i vostri occhi» (wᵉnipqᵉḥû ʿênêkem) ha un duplice significato, legato a quello dell’albero della conoscenza del bene e del male. La frase può significare:

  • l’acquisto della scienza totale (come suggerisce il serpente),
  • oppure l’acquisizione dell’esperienza della infelicità morale come sarà palesato nella consapevolezza della propria nudità in 3,7.

L’arma della conoscenza

Il dato certo che emerge dalle parole del serpente è il suo tentativo di colmare la mancanza di conoscenza soggiacente all’ordine di Yhwh Elohim: perché questa minaccia di morte? Perché Elohim considera gli uomini come “dei” concorrenti che non possono e non devono accedere al privilegio divino: conoscere bene e male? Per il serpente questa è la prerogativa di Elohim, tanto che per due volte lo qualifica con il participio yōdēaʿ «conoscente» (3,5a.d). Di conseguenza, se anche gli umani acquisissero la stessa conoscenza, diventerebbero come Elohim, vale a dire degli Elohim “conoscenti”. Il serpente formula una triplice promessa alla donna:

• non morirete;

• si apriranno i vostri occhi;

• sarete come Elohim, conoscenti il bene e il male.

Per il serpente Dio ha paura di perdere il privilegio della conoscenza che ne fa un essere superiore agli uomini. Egli è un Dio geloso. Minaccia, quindi, di morte l’essere umano qualora attentasse a questa conoscenza. Per il serpente Dio è guidato dalla bramosia come lo saranno gli stessi uomini.

Ne risulta un Dio a immagine dell’ʾadām, ma in Gen 1,26 è stato Elohim a creare ʾadām a sua immagine. Tutto è capovolto e Dio ne esce come una proiezione dell’umano, un “super” umano geloso e bramoso della sua superiorità dettata dalla conoscenza di bene e male2.

Il serpente amico dell’uomo?

Nelle parole del serpente Dio è il concorrente geloso dell’uomo, colui che gli nega l’accesso alla conoscenza e quindi all’essere “dio”. Così parlando, l’astuto animale si presenza, senza dirlo, come il vero amico degli uomini, il solo preoccupato per la loro felicità e per la loro “divinità” tenuta come tesoro geloso da Dio.

Sintetizzando: la libera scelta

Elohim agisce da rivale geloso di un privilegio, consistente in “conoscenza”, che vuole tenere tutto per sé, mentre il serpente si mostra amico degli umani, che conosce quello che Elohim sa e non vuole comunicare, mentre egli lo fa. In questo modo la “conoscenza”, principale caratteristica di Elohim, è appannaggio anche del serpente. La conseguenza lascia intendere che anche il serpente è un Elohim, solo che a differenza dell’altro egli desidera aprire alla “conoscenza” gli uomini, che farà di loro come degli Elohim. Diventa allora chiaro perché il serpente usi il termine generico di Elohim – e non il nome proprio Yhwh Elohim – che in ebraico è plurale. Questo gli dà astutamente la possibilità di spacciare se stesso come Elohim o almeno uno degli Elohim.

E se fosse questo il senso della sua astuzia “nuda”? Mostrarsi come Elohim, ma invece essere semplicemente “nudo” nel suo appartenere agli animali del campo. In definitiva, come suggerisce Wénin, siamo parola contro parola, Elohim contro Elohim3.

La donna è chiamata a scegliere a chi dare la sua fiducia. In questo atto drammatico della scelta è messa in campo la potenza della libertà dell’uomo che può decidere il destino proprio e altrui.

Se i personaggi del racconto, uomo e donna, possono essere ingannati, non lo è il lettore che ha udito chiaro e forte la parola del narratore che definisce il serpente, per quanto astuto possa essere, un animale del campo. Di conseguenza il serpente mente sapendo di mentire; sarà proprio la donna a dire la “nuda” verità poco più in là nel racconto: «Il serpente mi ha ingannata e io ho mangiato» (cf. v. 13).

Continua …


  1. W. GESENIUS, Gesenius’ Hebrew Grammar, as edited and enlarged by the late E. Kautzsch, second english edition, rivised in accordance with the twenty-eighth german edition (1909) by E. Cowley, Oxford 1960, § 159ee.
  2. Sull’espressione «conoscere bene e male» cf. H.S. STERN, «The Knowledge of Good and Evil», Vetus Testamentum 8 (1958), 405-418; l’excursus di WESTERMANN, Genesis 1-11, 242-248; HAMILTON, Genesis 1–17, 3021-3070.

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