Gen 2,7: la creazione del terrestre

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L’intera scena, formata dai vv. 7-17, ha per protagonista assoluto Yhwh Elohim che mette in atto sette azioni (sette verbi): v. 7: plasmò (yāṣar), soffiò (nāfāḥ); v. 8: piantò (nāṭaʿ), collocò (šîm); v. 9: fece germogliare (ṣāmaḥ); v. 15: prese (lāqaḥ), pose (nāwāḥ). È il «settenario» della perfezione dell’opera divina, interrotto solo dalla descrizione dei quattro fiumi (vv. 10-14). A questo settenario si aggiunge un elemento eccedente, l’affidamento del comandamento nei vv. 16-17, è l’ottavo verbo, «comandare» (ṣwh). Procediamo con ordine, innanzitutto soffermandoci sul v. 7.

Allora il Signore Dio plasmò l’uomo con polvere del suolo e soffiò nelle sue narici un alito di vita e l’uomo divenne un essere vivente.

וַיִּיצֶר֩ יְהוָ֨ה אֱלֹהִ֜ים אֶת־הָֽאָדָ֗ם עָפָר֙ מִן־הָ֣אֲדָמָ֔ה וַיִּפַּ֥ח בְּאַפָּ֖יו נִשְׁמַ֣ת חַיִּ֑ים וַֽיְהִ֥י הָֽאָדָ֖ם לְנֶ֥פֶשׁ חַיָּֽה׃

Al v. 7 il narratore racconta che il terrestre (ʾādām) viene plasmato dalla polvere del «suolo» (ʾădāmâ), gli viene insufflato nelle narici (bᵉʾappāyw) l’«alito di vita» (nišmat ḥayyîm) e così diventa un «essere vivente» (nefeš hayyâ). I termini chiave sono il sostantivo ʾādām, «uomo/terrestre» e il verbo yāṣar, «plasmare; essi danno vita, nei vv. 7-8, ad una costruzione concentrica con al centro l’espressione «e l’uomo divenne un essere vivente»1.

7a. Allora Yhwh Elohim plasmò il terrestre, polvere della terra

b. e soffiò nelle sue narici un soffio di vita

c. e il terrestre divenne un essere vivente.

8a’. Yhwh Elohim piantò un giardino in Eden a Oriente

b’. e là vi pose il terrestre che aveva plasmato2.

Tutto inizia con Yhwh Elohim che plasma quello che il testo ebraico chiama ʾādām che è legato semanticamente al termine ʾădāmâ, «suolo/terra», per cui in italiano lo si può rendere con terrestre da terra così da rendere il gioco delle parole ebraiche3. Così lo impiegherò in questi primi capitoli della Genesi.

Il narratore non racconta la creazione del terrestre come un fatto compiuto («E Yhwh Elohim creò il terrestre»), quanto piuttosto mostra il processo di creazione che fa di Yhwh Elohim, un vasai che plasma la creatura terrestre dal suolo della terra4, poi insuffla lo spirito di vita, quindi prepara un luogo particolare e infine vi mette la sua creatura. Quanto Yhwh Elohim fa è un diletto e non un lavoro. Lo conferma la creazione di «un giardino in Eden» (gan-bᵉʾēden); letteralmente l’espressione suona «un giardino nella delizia». Infatti il termine ʾēden richiama il suono di un altro vocabolo ebraico col significato di «delizia, gioia» (cf. 2Sam 1,24; Ger 51,34; Sal 36,9). Dal momento che le azioni, messe in atto dal soggetto divino, giocano con le parole, Egli è ritratto come un artista che si compiace nel dar corso alla vita stessa.

Il terrestre

Chi è ʾādām? L’uomo singolo di sesso maschile oppure l’umanità nella sua accezione più ampia? Da notare che al v. 7 il sostantivo ebraico compare con l’articolo, hāʾādām, per cui è qualificato come un nome comune, da qui il senso di «il terrestre», colui che abita la terra, in quanto distinto da Dio, colui che abita il cielo, e segnato dal profondo legame con la «terra/suolo».

Dopo il plasmare Yhwh Elohim procede insufflando lo spirito di vita nelle narici (ʾappaîm), sede dell’organo olfattivo, ma anche porte aperte al passaggio dello spirito/aria che è il primo sintomo percepibile che una creatura è viva.

Ciò che viene soffiato dall’essere divino è qualificato come nišmat ḥayyîm, «soffio/alito/spirito di vita». Il vocabolo nᵉšāmâ nell’AT è usato spesso come sinonimo di rûªḥ, «spirito», ma mentre quest’ultimo è predicato a Dio, all’uomo, agli animali e ai falsi dei, nᵉšāmâ è detto solo a proposito di Yhwh e dell’uomo. Va notato poi che lo nišmat ḥayyîm lo riceve solo il terrestre e non gli animali che da lì a poco saranno plasmati dal «suolo» (ʾădāmâ), come lo è stato il terrestre. L’espressione di conseguenza non qualifica la semplice respirazione, di cui anche gli animali saranno dotati. Allora di cosa si tratta? Se guardiamo a ritroso nel testo notiamo che Elohim fa del proprio «soffio» (v. 1,13) un uso particolare, quello della parola. Di essa anche il terrestre se ne dimostrerà ben presto capace. Inoltre, quando il terrestre sarà chiamato a utilizzare la parola, il narratore mostrerà, grazie a un gioco sottile di parole, che c’è effettivamente un legame tra la parola umana e l’alito ricevuto da Yhwh Elohim: il terrestre articolerà i «nomi» (šēmôt) degli animali, grazie al «respiro» (nišmat) ricevuto dall’essere divino.

La conseguenza è che il terrestre diventa un nefeš ḥayyâ, «essere vivente, dove il sostantivo nefeš è uno dei più utilizzati nella bibbia ebraica (754 volte) e ha un campo di significati ampio: palato, gola, collo, anima, mente, vita, appetito, cadavere e molti altri. L’espressione marca che quanto forgiato dalla polvere del suolo diventa non solo una creatura (nefeš) ma una creatura vivente (ḥayyāh). Anche gli animali saranno degli esseri viventi (cf. v. 2,19b) plasmati dal «suolo» (ʾădāmâ) da Yhwh Elohim (cf. 2,19a), ma solo per il terrestre il narratore afferma che lo è grazie al «soffio di vita» che Yhwh Elohim soffia in lui.

Così formato, il terrestre si viene a trovare in una posizione “mediana”: in quanto plasmato dal suolo condividerà la vicinanza con gli animali, mentre «l’alito di vita» lo rende prossimo a Dio.

È la stessa posizione mediana registrata in Gen 1 quando il narratore affermava che l’uomo, stesso sostantivo ebraico ʾādām, era stato creato a immagine di Elohim e «maschio e femmina» qualità che condivideva con gli animali.

Per il momento accontentiamoci di questo: il terrestre è legato indissolubilmente con tutte le fibre del suo essere al «suolo», cifra della natura, e nello stesso tempo partecipa al divino tramite la parola che gli permette di innalzarsi dalla natura.

C’è però una affermazione ancora più radicale che il racconto fa: l’essere terrestre, indifferenziato sessualmente, deve la sua stessa esistenza a Yhwh Elohim per cui non è un self-made man. A ragione il poeta del Salmo 104 afferma:

Togli loro il respiro: muoiono, e ritornano nella loro polvere.


  1. Cf. P. Trible, God and the rhetoric of sexuality (Overtures to Biblical Theology), Philadelphia 1989 (Kindle Edition), posizione 1671.
  2. Le due proposizioni esterne (7a.b e 8a’.b’) hanno come soggetto Yhwh Elohim e come oggetto è il terrestre; invece la proposizione centrale (v. 7c) ha come il terrestre.
  3. Cf. A. Strus, Nomen – Omen. La stylistique sonore des noms propres dans le Pentateuque (Analecta Biblica 80), Rome 1978, 114-120; GLAT, I, 159-186.
  4. Cf. ANEP (The Ancient Near East in Pictures) 569, il dio egiziano ḫnum modella il faraone Amenofis III (ca. 1406-1370); J.A. Soggin, Genesi 1-11. Commento storico esegetico all’Antico e al Nuovo Testamento (CSANT 1/I), Genova 1991, 61.

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