Progetto e realizzazione
Ripartiamo dall’interrogativo lasciato in sospeso: Perché il plurale «facciamo»? Chi “altro” è coinvolto oltre a Dio nel plurale “noi”?
Se confrontiamo il progetto (v. 26) con la sua realizzazione (v. 27) notiamo delle differenze. Già si è detto che nella realizzazione scompare il verbo «fare» e ritorna il verbo «creare» alla terza singolare con Dio come soggetto. Inoltre nel racconto di quanto Dio fa, il narratore deliberatamente fa uso per ben due volte del termine «immagine» e tralascia la «somiglianza», sostituendola la distinzione, «maschio e femmina», non menzionata nel progetto: «E Dio creò hāʾādām in sua immagine, in immagine di Dio lo creò, maschio e femmina li creò» (v. 27).
L’ hāʾādām creato manca della «somiglianza», ma è specificato come «maschio (zākār) e femmina (nᵉqēḇāh). I due vocaboli nell’AT sono predicati indistintamente sia dell’uomo (cf. Lv 12,2.5; Nm 5,3) come degli animali (cf. Gn 6,19; 7,3.9.16; Lv 3,1). Di conseguenza essi, lungi dall’avvicinare il terrestre a Dio, sottolineano piuttosto quello che egli ha in comune con gli animali. Il narratore sembra quindi vanificare il tentativo di staccare la creazione del terrestre da quelle precedenti.
La «somiglianza»?
La discrepanza più evidente tra le parole divine e il racconto del narratore è l’assenza della «somiglianza». Come interpretare questa assenza? Si potrebbe ipotizzare l’intenzione del narratore di introdurre un scarto tra il progetto e la realizzazione: il terrestre porta sicuramente in sé l’«immagine di Dio», ma questa non è «ancora» somigliante, perché egli è anche affine agli animali con i quali condivide la dimensione di una sessualità grezza («maschio e femmina»). Rovesciando la medaglia è il fatto che nel Dio biblico la dimensione maschile e femminile non c’è, anzi la tradizione sacerdotale, che ha espresso questo testo, è attenta a togliere dalla sfera divina qualsiasi elemento sessuale, così presente nei miti cosmogonici del VOA1. In questo modo il terrestre viene a trovarsi in una posizione intermedia perché ha qualcosa in comune con la divinità (il suo essere «nell’immagine») e con il mondo animale (il suo essere sessuato: maschio e femmina). Se le cose stanno così allora è possibile dare spiegazione di un’altra strana particolarità presente al v. 27 legata al pronome afferito ad ʾādām che passa dal singolare al plurale:
E Dio creò il terrestre in sua immagine,
in immagine di Dio lo creò,
maschio e femmina li creò.
Il cambio si può spiegare così: a immagine di Dio, ʾādām è uno («lo creò»), ma come gli animali è anche plurale («li creò»). Il termine ʾādām con il essere un singolare collettivo (cf. post precedente), qualifica molto bene il terrestre in questa posizione mediana.
Infine la benedizione del v. 28 conferma questa posizione intermedia del terrestre, maschio e femmina, perché da un lato recupera un elemento comune con gli animali della terra, dei cieli e dei mari che è quello di essere fecondi e di moltiplicarsi per occupare lo spazio che appartiene loro, dall’altro lo supera perché Dio assegna al terrestre, maschio e femmina, un ulteriore compito e missione: quella di soggiogare e dominare «sui pesci del mare e sugli uccelli del cielo e su ogni essere vivente che striscia sulla terra». Che cosa poi si intenda per soggiogare e dominare lo si vedrà con un post dedicato.
Cosa molto buona
A compimento della seconda opera del sesto giorno, la creazione del terrestre, manca la formula di contemplazione: «E Dio vide che era cosa buona». Infatti quella presente al v. 31 fa riferimento ai tutti i sei giorni della creazione. Una mancanza del genere si era già verificata al secondo giorno dove, dopo la separazione degli spazi, era assente il ritornello. La ragione stava nel fatto che questi spazi non erano stati ancora abitati dalle creature viventi.
Tornando alla creazione dell’uomo l’assenza della formula di contemplazione segnale che la sua creazione non è del tutto completa. D’altra parte già gli stessi padri della Chiesa si erano espressi in questo senso2. Tale incompiutezza la si può così spiegare: la creazione del terrestre è deficitaria nel senso che Dio ha fatto la sua parte, infatti il terrestre è creato a «immagine» di Dio, ma al terrestre spetta di “farsi” «somiglianza», facendo in modo di somigliare all’immagine che porta impressa in sé.
Di conseguenza il plurale registrato in Gen 1,26 «facciamo» coinvolge come primo soggetto Dio, mentre il secondo, quello che sta lì separato e differente da Dio, ma non del tutto alieno (è immagine) e fa il plurale con Dio, è il terrestre. Il “noi” del verbo «facciamo» del progetto diventa quindi la relazione fondamentale e costitutiva, nel senso che nel “dire” divino Dio fonda l’«io» (in questo caso quello divino») e il «tu» del terrestre che sta creando. Inoltre la particolare forma verbale impiegata – si tratta di una forma verbale che esprime azione aperta e in divenire – esplicita che relazione non è data una volta per sempre, ma è da costruirsi per il terrestre giorno dopo giorno, realizzando la somiglianza dell’immagine che porta impressa.
Come il terrestre è chiamato a realizzare la somiglianza lo vedremo nel prossimo post.
- VOA = Vicino Oriente Antico. ↩
- I padri della Chiesa avevano sottolineato il fatto che il terrestre è stato creato ad immagine, ma è chiamato a farsi «somiglianza». Scrive San Gregorio di Nissa: «Creiamo l’uomo a nostra immagine secondo la nostra somiglianza. Possediamo l’immagine attraverso la creazione, ma acquistiamo la somiglianza per libera scelta. Nella prima struttura ci è dato di nascere nell’immagine di Dio, per libera scelta invece si formerà in noi l’essere a somiglianza di Dio […] Facciamo l’uomo a nostra immagine: possegga egli per creazione ciò che è nell’immagine, ma facciamo anche che egli divenga secondo la somiglianza. Dio ci ha dato il potere per fare questo […] Ma è giusto che una parte ti sia data, mentre l’altra è stata lasciata incompleta: questo è al fine che tu possa completarla da solo e possa essere degno della ricompensa che viene da Dio». Testo ripreso da A. Louth – Conti M. (eds.), Genesi 1-11 (La Bibbia commentata dai Padri. Antico Testamento 1/1), Città Nuova, Roma 2003, 61. M. Balmary, La divina origine. Dio non ha creato l’uomo (Epifania della parola 9), EDB, Bologna 2006, 84-86, cita altri padri tra cui Origene, San Basilio Magno. ↩
Grazie per questi suoi approfondimenti. Sto seguendo volentieri il suo blog. Mi chiedo solo una cosa: rav Di Segni segnalava che la traduzione esatta del versetto 27 sia “maschio e femmina lo creò” essendo אֹת֑וֹ 3 masch sing. Nell’ambito ebraico la prima creazione può essere letta come solo spirituale e il terrestre mantiene il maschile e il femminile in sé. è una bella lettura. Le torna anche a lei dal punto di vista grammaticale? Grazie per l’attenzione
Elisabetta Tisi
Lic. Th Biblica, Lugano
IN realtà è אֹתָֽם׃, 3° plurale… non capisco come il rav possa leggere un singolare…