Un versetto decisivo: Gen 8,1
L’inzio del capitolo otto segna una svolta, dettata dal fatto che Dio si ricordò semplicemente di Noè. Il narratore non fa alcun cenno alle qualità morali di Noè, né alla sua obbedienza. Egli invece qualifica il ricordo divino come azione totalmente gratuita. «Ricordare» (zākar), nel linguaggio biblico, ha un senso molto pregnante. Il verbo, infatti, non significa semplicemente un richiamare alla memoria qualcosa che si è dimenticato, ma piuttosto un prendersi cura di persone o di situazioni che stanno a cuore. Dio si ricorda dunque di Noè perché si prende a cuore la sorte dell’umanità e quindi in lui salva tutti gli uomini. Allo stesso modo Dio farà con Israele: si vedano in modo particolare i testi di Gen 19,29; 30,22; Es 2,24 e 6,5; Is 49,14-15; Sal 105,8 (nel NT Lc 1,68). Più volte, nella preghiera, Israele invita Dio a «ricordarsi» della sua alleanza e del popolo: Sal 25,6; 74,2; 106,4.45; 111,491.
Dal ricordo di Dio il narratore fa scaturire la sua prima azione: «Dio fece passare un vento sulla terra e le acque si abbassarono» (8,1b), dove il «vento» (rûaḥ) richiama anche a livello di vocabolario il ruolo dello «spirito di Dio» incontrato in Gen 1,2. Dal suo spirare le acque iniziano a decrescere. Di fronte al peccato degli uomini emerge così la grazia di quel Dio che si ricorda di loro e la violenza delle acque cessa2. Il Signore ha manifestato la sua giustizia, ma adesso rivela anche la sua misericordia; dopo il giudizio sul male il mondo inizia a riemergere dall’acqua come una creazione rinnovata. Il «ricordo» di Dio ri-crea.
Le acque: Gen 8,2-5
Nuovamente l’attenzione del narratore è posta sulle acque. Al v. 2 si motiva il loro abbassamento e l’inizio della fine del diluvio: le fonti dell’abisso e le cateratte del cielo sono state chiuse, mentre la pioggia è stata trattenuta. Le due cause scatenanti il diluvio sono oggetto di un’azione espressa da due verbi al Nifal («chiudere» sākar; «trattenere» kālaʾ), la coniugazione passiva, per indicare che il soggetto agente, anche se non esplicitato, è Dio o forse qui il «ricordarsi di Dio».
Il ritiro delle acque (8,3-5) viene descritto dal narratore come una serie di eventi progressivi di cui fornisce le indicazioni cronologiche. Inizia con il ricordare che le acque si ritirano dopo 150 giorni (8,3; cf. 7,24), segue poi l’arenamento dell’arca sui «monti dell’Ararat» nel settimo mese (8,4). L’espressione «monti dell’Ararat» (hārēy ʾǍrārāṭ) la si può intendere come un un plurale distributivo («i monti dell’Ararat») oppure anche come un plurale facente funzione di singolare indefinito («uno dei monti dell’Ararat»). Con il termine Ararat l’AT identifica un territorio a nord dell’Assiria chiamato Urartu (cf. 2Re 19,37; Is 37,38; Ger 51,27), corrispondente oggi grosso modo all’Armenia.
Infine, con una certa pignoleria, il narratore indica quando le cime dei monti iniziarono a riemergere dalle acque: il primo giorno del decimo mese (8,5). C’è un gioco di corrispondenze: il v. 4 riecheggia 7,18 (l’arca galleggiava – l’arca si posò), mentre 8,5 richiama 7,19-20 (i monti sono coperti – riemergono i monti)3.
Noè e la sua famiglia: Gen 8,6-12
Come l’occhio di una telecamera, l’attenzione del narratore si sposta dalle acque del diluvio a Noè e a quanti sono con lui nell’arca. Questi non lascia precipitosamente l’arca, vuole assicurarsi che prima la terra sia effettivamente asciutta e lo fa escogitando lo stratagemme dell’invio degli uccelli (8,7-12). Prima libera un corvo che porta però notizie negative perché ritorna (8,7), poi per tre volte una colomba che solo al secondo tentativo ritorna con una foglia di ulivo in bocca (v. 11), mentre la terza volta non fa più ritorno (v. 12), segnalando così che il momento dello sbarco è giunto. Il «corvo» (ʿōraḇ) nel Vicino Oriente Antico (= VOA) era il protettore della navigazione, ma in Israele era considerato un animale impuro (forse perché nero? cf. Lv 11,15); questa è forse la ragione del suo ruolo negativo nel racconto del diluvio. Inoltre il fatto che Noè non abbia con se marinai provetti, di cui il corvo era animale protettore e non lo sia nemmeno lui, evidenzia che la navigazione e l’approdo sono stati guidati da una provvidenziale mano.
Il secondo uccello, la colomba (yônâ), nel mondo extrabiblico era simbolo delle divinità dell’amore, per questo nel nostro racconto può diventare simbolo dell’amore misericordioso di Dio. Essa poi essendo un animale bianco e puro, adatto al sacrificio (cf. Lv 1,4; 12,6), è stata assunta a simbolo del popolo d’Israele (cf. Os 7,11; 11,11). La tenera foglia di olivo, portata dalla colomba, rappresenta uno dei più tipici prodotti della terra d’Israele, l’olio, che era un ingrediente importante nei sacrifici (cf. Lv 2); per questo, soprattutto nella tradizione profetica, è venuto a simboleggiare Israele (Ger 11,16)4 Un antico commento rabbinico alla Genesi interpreta la colomba come il simbolo del popolo ebraico in esilio, mentre il ramoscello d’ulivo proviene niente di meno che dal monte degli Ulivi, cioè da Gerusalemme5.
Un nuovo mondo: Gen 8,13-14
Nei vv. 13-14 con la doppia datazione e la triplice ripetizione che la terra è «asciutta», il narratore enfatizza l’importanza dell’avvenimento: un nuovo mondo è nato dalla tomba del diluvio e una nuova era ha inizio6. Due sono i verbi usati per esprimere il prosciugamento: «defluire» (ḥāraḇ), «essere secco» (yāḇaš). Sono due sinonimi e mentre il primo fa la sua comparsa nel racconto del diluvio, il secondo l’avevamo già incontrato in Gen 1,9 a proposito della terra secca perché le acque erano stata raccolte in un solo luogo.
Il significato della doppia datazione oltre ad enfatizzare l’evento della terra asciutta resta un dato criptico. Se si ipotizza che qui si stia adottato il calendario dei Giubilei, il giorno dello sbarco coinciderebbe con un mercoledì — giorno della creazione del sole, della luna e delle stelle. Si avrebbe quindi non solo la ri-creazione dello spazio, la terra secca, ma anche del tempo. È in tutto e per tutto un nuovo mondo che inizia.
La sovranità della Parola: Gen 8,15-19
In questo nuovo mondo scende sovrana la Parola di Dio che ordina a Noè di uscire dall’arca (v. 16) e di far uscire tutti gli animali secondo la loro specie (v. 17) perché «si diffondano sulla terra, siano fecondi e si moltiplichino su di essa»7. In precedenza Dio aveva dato questo comando solamente ai pesci e agli uccelli (cf. Gen 1,20.22) ora viene esteso a tutti gli animali terrestri, è un’altra indicazione che siamo davanti effettivamente a un nuovo mondo.
L’ordine viene eseguito puntualmente da Noè. È interessante notare come gli animali — bestiame, uccelli, rettili — escono: «secondo la loro famiglia» (lᵉmišpᵉḥōtêhem 8,19). Il termine «famiglia» (mišpāḥâ) al plurale indica il casato, vale a dire una sotto unità della tribù che consiste in un certo numero di famiglie legate a una figura patriarcale8. Il narratore, quindi, raffigurati gli animali suddivisi in grandi gruppi.
Dio procede a ristabilire quella creazione che era stata distrutta dal diluvio. C’è una domanda che preme il lettore: Dio potrà di nuovo distruggere la creazione?
- Cf. G. Galvagno, Sulle vestigia di Giacobbe. Le riletture sacedotali e post-sacerdotali dell’itinerario del patriarca (Analecta biblica 178), Roma 2009, 31-44; GLAT, II, 631-637; Brueggemann, Genesi, 111-112.
- Cf. Wénin, Da Adamo ad Abramo, 137.
- Cf. McEvenue, The narrative style of the priestly writer, 65.
- Cf. EM, II, 13-18; J.-P. Sonnet, L’alleanza della lettura. Questioni di poetica narrativa nella Bibbia ebraica (Lectio 1), Roma – Cinisello Balsamo (MI) 2011, 56-57.
- Berešit Rabbâ, XXXIII, 6. Cf. E. Bianchi, Adamo, dove sei? Commento esegetico-spirituale ai capitoli 1-11 del libro della Genesi, Magnano (BI) 1990, 265.
- Wenham, Genesis 1-15, 187
- Cf. Tadiello, La dispersione, 128-148.
- Cf. Wenham, Genesis 1-15, 188.