Letture a e da Gerusalemme – 02

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Gerusalemme liberata???

Tanti si sono fregiati del titolo di liberatori di Gerusalemme: forse troppi. Primo fra tutti Ciro, il re persiano, che nel 538 a.C. autorizzò il popolo, condotto in esilio a Babilonia da Nabucodonosor, a fare ritorno in patria e a ricostruire la propria città, così sospirata negli anni amari della deportazione («Lungo i fiumi di Babilonia, là sedevamo e piangevamo ricordandoci di Sion» Sal 137,1). Da allora è diventato il primo dei Giusti tra le Nazioni, tanto che Isaia gli affibbia il titolo di messia (cfr. Is 45,1). Che strane ironie ci riserva la storia, vista oltre duemilacinquecento anni dopo e alla luce dei rapporti non del tutto idilliaci tra Israele e Iran. È come se la storia si prendesse sul serio gioco degli uomini.

Primo di Ciro e dopo, i “liberatori” non mancarono di gettare la maschera per svelarsi per quello che realmente furono, dei conquistatori. I sovrani siro-greci della dinastia dei seleucidi, quindi gli asmonei e ancora i romani che, con la cristianizzazione dell’impero, consentirono l’edificazione dei santuari della nuova fede, di cui una delle principali artefici fu l’imperatrice Elena, madre di Costantino; e poi ancora il califfo Umar, nel 638 d.C., che restituì dignità all’area del Tempio di Salomone, abbandonata dai cristiani perché concentrati sui nuovi luoghi di culto che costellavano la città e il monte degli ulivi; e quindi i crociati nel 1099, il Saladino nel 1187, il sultano ottomano Selim I nel 1517, i britannici del generale Allenby (insieme con gli arabi dello sceriffo hashemita Hussein e del colonnello Lawrence) esattamente quattro secoli dopo, nel 1917; e successivamente – all’indomani della prima guerra arabo-israeliana del 1948 – Abdullah di Giordania nel 1950, fino alla conquista da parte degli israeliani guidati da Moshe Dayan nel 1967.

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Troppi liberatori, troppi padroni: a chi appartiene, davvero, Gerusalemme? Ma ha senso chiedersi se una città che è stata per secoli al centro della storia e della fede possa appartenere a qualcuno, al di là delle vicende politiche che l’hanno interessata e dei confini e delle convenzioni? Appartiene esclusivamente all’Italia, Roma? Atene è solo della Grecia? Domande che non ha senso eludere, ma alle quali non si può nemmeno rispondere.

Il fatto è che Gerusalemme conserva ancora, impresse nelle sue pietre e nelle sue strade scoscese, nei dirupi e nei dislivelli che ne cingono le vecchie mura e che portano dei nomi che sono oramai entrati nella fiaba (Getsemani, Giosafat, Sion, Siloe, Genna…), le memorie degli antichi tempi e quelle dei nuovi: uno straordinario «passato-che-non-passa» e che si riflette anche nella sterminata megalopoli, quasi un milione di persone, che circonda il nucleo della città vecchia. Un’altra Gerusalemme, straordinaria anch’essa, coloniale e avveniristica, pia e spregiudicata, arcisraeliana eppure cosmopolita, col suo patrimonio di «leggende metropolitane» e il suo rapporto difficile, tormentato, amoroso col suo vecchio cuore di pietra bianca e di santuari vetusti che le sorge al centro. Eppure le due città ora vivono in simbiosi il cuore bianco pompa vita identitaria all’altra e l’altra custodisce il cuore come la perla più preziosa che ha.

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