Il racconto di Gen 3 è, come l’intero racconto delle origini, esemplare. La prima coppia umana rappresenta l’intera umanità; ciò che si afferma al riguardo vale per ogni uomo e ogni donna. Del racconto non dobbiamo fermarci su fatti e personaggi per sondare l’eventuale storicità, ma dobbiamo chiederci in che modo esso illumina la nostra attuale realtà di «esseri umani».
A ben guardare in Gen 3 non si trova alcun riferimento diretto al peccato o alla colpa, ma si descrive un processo di lento allontanamento. Il male inizia in forma strisciante come il serpente e non è di facile riconoscimento.
Il serpente incarna le forze inumane, animali, che istigano al male. La sua strategia consiste in discorsi contorti, ingannevoli e nello stesso tempo allettanti, fanno sognare un mondo «diverso»:
- Gen 3,1 «Non dovete mangiare di nessun albero del giardino?».
3,4 «Non morirete affatto».
3,5 «Diventerete come Dio…».
Le parole del serpente sono seducenti e fanno leva sulla loro capacità di attrazione, che si avverte immediatamente e per ben tre volte (v. 6): «buono da mangiare… gradito agli occhi… desiderabile». La saldatura tra istigazione esteriore e inclinazione interiore abbatte ogni resistenza, portando alla trasgressione del comando divino. Questo doppio meccanismo, esterno ed interno, si rivela irresistibile e travolge tutti gli ostacoli. Pur mancando ogni riferimento ai termini tecnici di «colpa» o «peccato», non manca il dato di fatto. Il comportamento sbagliato consiste proprio nella mancata osservanza di un comandamento di Dio, conosciuto come tale (cf. Gen 2,17 con 3,3). Come accade il più delle volte, la mancanza non consiste nella trasgressione di una legge, ma nella incrinatura di una relazione che ha la sua ragion d’essere nella libertà.
Infatti, nel capitolo secondo di Genesi (2,16-17) Dio ha dato il permesso all’uomo di potersi cibare di ogni albero del giardino e questo precede il divieto di mangiare del solo albero della conoscenza del bene e del male. È come se Dio dicesse all’uomo che può fare tutto quello che vuole: l’unica cosa che non gli è permessa, è di mettersi al posto di Dio. L’uomo è dunque libero e l’unico suo limite è Dio stesso. Per vivere bisogna mangiare di tutto ma non il «tutto»; occorre acconsentire cioè che al cuore del dono ricevuto vi sia un limite, che non è altro se non lo spazio lascito al donatore, Dio in questo caso. L’albero del bene e del male viene a simbolizzare la relazione tra Dio e l’uomo che resta salda nella misura in cui l’alterità di Dio viene rispettata dall’uomo (Mazzinghi).
Altra nota caratteristica di Gen 3 è quella di non indicare direttamente il comportamento sbagliato, ma nel mostrarne abilmente le conseguenze. La coppia primordiale apre gli occhi ma non sulla realtà di Dio bensì sulla propria nudità (v. 7). Di conseguenza le parole del serpente, secondo cui si sarebbero aperti i loro occhi (v. 5), si realizzano ma in un modo ironico e inatteso: gli uomini scoprono da un lato la loro mancanza di protezione e dall’altro il loro bisogno di protezione.
Allora si nascondono dal loro Creatore (v. 8) e, per la prima volta, hanno paura (v. 10). In risposta alla richiesta di Dio (v. 11), Adamo accusa la moglie (v. 12) e quest’ultima il serpente (v. 13). Nessuno vuole portare il peso della trasgressione. Qui si innesta il processo dinamico che a partire da una «semplice» trasgressione, conduce a un profondo e crescente disordine della relazione. Segno evidente è che nessuno si assume la responsabilità delle proprie azioni, detto in altri termini l’uomo rifiuta di essere libero e responsabili davanti a Dio nel momento stesso in cui pretende di esserlo diventato.
Di fronte all’umanità incapace di essere responsabile della propria libertà, Dio risponde rinnovando la sua misericordia: Egli continua a prendersi cura degli uomini. Va in cerca di coloro che si sono nascosti (v. 9), copre la loro nudità con tuniche di pelli (v. 21) e pone un limite alla loro vita espellendoli dal giardino dell’Eden (vv. 22-24). Infatti, vivere eternamente in quel modo – cioè con il peso di una relazione infranta con Dio e con le sofferenze e i disagi indicati nei vv. 16-19 – sarebbe ancor più gravoso. Persino nel modo di trattare la tra trasgressione si può facilmente riconoscere la benevolenza e l’indulgenza di Dio.