Di don Pier Paolo Nava
“Se si predica che Cristo è risuscitato dai morti, come possono dire alcuni tra voi che non esiste risurrezione dei morti? Se non esiste risurrezione dei morti, neanche Cristo è risuscitato! Ma se Cristo non è risuscitato, allora è vana la nostra predicazione ed è vana anche la vostra fede” (1Cor 15,12-14).
Con il suo solito stile incisivo, l’apostolo Paolo ci parla dell’importanza decisiva della Pasqua, che abbiamo rivissuto da poco, come unico fondamento della fede cristiana. Con la Pa-squa, l’anno liturgico ci ha riportati alle sorgenti della realtà cristiana: essa non consiste in una ideologia, paragonabile ad altre, e nemmeno in una cultura che farebbe del nostro popolo un “popolo cristiano” (ammesso che lo sia o lo sia mai stato). Il cristianesimo è anzitutto la per-sona di Gesù di Nazareth, con la sua vicenda (culminata negli eventi della Pasqua) di cui al-cune persone sono diventate i testimoni oculari e “auricolari”, in una catena che procede, per così dire, di bocca in orecchio da circa duemila anni. Su questa vita, culminata nella Risurrezione, si basa la fede del cristiano e il conseguente appello alla vita secondo il Vangelo.
Tuttavia, di fronte a questa realtà sorge una seria difficoltà, che poi può spingere le persone a intendere la fede cristiana come un sistema di idee o come una tradizione sociale: la difficoltà ad entrare in personale contatto con quella esperienza storica, quella di Gesù. A dire il vero, un problema simile lo avevano gli stessi apostoli dopo la risurrezione, tanto che nei loro scritti (in particolare in quei testi definibili “Vangeli della risurrezione”) ci presentano Gesù Risorto come una persona tanto presente quanto assente. Sembra quasi che loro, i testimoni, ci dicano: se vuoi incontrare il Risorto, lo puoi incontrare nella sua presenza – assenza. Vediamo qualche testo.
L’assenza del Risorto
In Mt 28,1-8, la risurrezione è annunciata da un terremoto, e vede la presenza di un angelo che si rivolge alle due pie donne, dicendo: “Non è qui, è risorto”. La prima esperienza del giorno di Pasqua è che Gesù non c’è più, oppure è la scoperta della tomba vuota. A questo proposito, possiamo leggere Mc 16,1-8; Lc 24,1-8; Gv 20,1-10. Questa scoperta genera evidentemente una esclamazione di sorpresa e di sofferenza: “Hanno portato via il Signore dal sepolcro e non sappiamo dove lo hanno posto!” (Gv 20,2). Come per accentuare questo senso di assenza, i testimoni trovano nella tomba le bende e il sudario (Gv 20,6-7), utilizzati per la sepoltura: tracce che ricordano la presenza di un morto che adesso non c’è più.
A questa prima esperienza pasquale consegue, come era prevedibile, l’incredulità dei discepo-li (i futuri testimoni), o almeno la perplessità: “Tornate dal sepolcro, annunciarono tutto que-sto agli Undici e a tutti gli altri… Queste parole parvero loro come un vaneggiamento e non credettero ad esse. Pietro tuttavia corse al sepolcro e chinatosi vide solo [il corsivo lo metto io, su una parola interessante] le bende. E tornò a casa pieno di stupore per l’accaduto” (Lc 24,9.11-12). La stessa incredulità appare in Mc 16,9-13 (molto accentuata), in Mt 28,17 (perfino quando essi si trovavano davanti al Risorto!). Dell’incredulità in Gv parleremo tra poco, a proposito dell’apostolo Tommaso.
Sembra che, con la sua risurrezione, Gesù si sia in qualche modo distaccato dai suoi, sembra che, svezzandoli della sua presenza, li abbia lasciati a maturare con difficoltà una fede personale, non più sostenuta dalla paziente gestazione del Gesù di Nazareth con cui avevano diviso prima la vita e il ministero. Ma questo, dicevamo, è solo un lato della realtà del Risorto.
La presenza del Risorto
I Vangeli della Pasqua riportano però anche una profusione di racconti delle apparizioni di Gesù: Mt 28,9-10.17; Mc 16,9-14; Lc 24,13-35.36ss; Gv 20,14-18.19-29; 21,1ss (e possiamo aggiungere anche 1Cor 15,5-8). Gesù che appare fa sentire la sua presenza, e questa presenza produce nei discepoli la gioia, e la spinta che li ha condotti fuori, ad annunciare che Gesù è il Cristo, mandato da Dio per portare a compimento il suo progetto.
Uno di questi testi, molto famoso, merita una breve attenzione: è Gv 20,19-29, con le sue due apparizioni di Gesù, la prima il giorno di Pasqua (senza Tommaso) e la seconda otto giorni dopo (con Tommaso presente). A quanto mi risulta, è l’unico vangelo della risurrezione, in S. Giovanni, che parli dell’incredulità, ma lo fa diversamente dagli altri. A differenza di quanto l’opinione comune ha inventato, Tommaso non è l’esempio della persona scettica o del “dub-bio metodico”. Anzi, ha un grande potenziale di fede, tanto è vero che, una volta incontrato il Risorto, Tommaso esclama “Mio Signore e mio Dio!”, con uno slancio mai visto negli altri suoi compagni. Tuttavia egli deve incassare il rimprovero di Gesù (“Non essere incredulo, ma credente”), per il fatto che non ha dato credito alla testimonianza dei testimoni oculari, interrompendo la troppo decisiva tradizione “da bocca ad orecchio”, di cui sopra.
Questo testo ci è utile per sottolineare un aspetto importante delle apparizioni: la materialità – corporeità – fisicità del Risorto (“Mostrò loro le mani e il costato… Se non vedo nelle sue mani il segno dei chiodi e non metto il dito nel posto dei chiodi e non metto la mia mano nel suo costato, non crederò… Metti qua il tuo dito e guarda le mie mani; stendi la tua mano e mettila nel mio costato”). La stessa attenzione appare in Mt 28,9; Lc 24,36-42. I testimoni hanno modo, così, di essere assolutamente certi che il Risorto è esattamente la stessa persona di Gesù. Che avevano conosciuto, e che non stavano prendendo un colossale abbaglio, spinti dall’immaginazione o dalla suggestione. Davanti a loro trovano Gesù, la stessa persona di prima, anche se ora è diversa, sfuggente.
Per questo è sbagliato pensare che le apparizioni vengono a fugare il disagio provocato dalla tomba vuota, cioè credere che il Risorto presente annulli e superi il senso di assenza di cui si parlava. I due aspetti della realtà del Risorto sono sempre compresenti. A questo proposito è ben chiaro quanto Luca ci dice in 24,13-35 (il famoso episodio dei discepoli di Emmaus): Gesù si avvicina ai due discepoli scoraggiati senza essere riconosciuto, poi si fa riconoscere progressivamente spiegando le Scritture e spezzando il Pane (insomma, celebra una Messa con loro!), per poi scomparire di nuovo mentre i discepoli tornano di corsa a Gerusalemme, e poi riapparirà ancora nel testo successivo. Quando è vicino, si sperimenta l’assenza del Risorto, e quando scompare lo si sente ancora presente come “fuoco che bruciava [e ancora brucia!] nel petto” (Lc 24,32-33). Questa è l’esperienza della Pasqua così come l’hanno recepita i testimoni, e come essi ce la ripropongono come base per la nostra fede cristiana, oggi.
Il Risorto assente – presente oggi.
La Pasqua, anche oggi, non è una semplice commemorazione, o un’occasione per “imparare qualcosa”, bensì una realtà da rivivere: c’è un Cristo Risorto che chiede di essere incontrato nella sua presenza – assenza. Nel senso che anche oggi egli non intende forzare le persone a credere in lui mediante l’evidenza della sua persona: egli è presente (come sempre) ma in modo velato, che domanda attenzione, capacità di cogliere i segni della sua vicinanza.
Oggi il Cristo può essere incontrato mediante tutte quelle realtà che potremmo definire come sacramentali. Un “sacramento” è un evento (=un qualcosa che accade in un certo momento) nel quale Dio si vela e si ri – vela. Prendiamo come esempio l’Eucaristia, con gli altri sei sacramenti “classici”: in essa abbiamo una traccia della presenza (il pane) di un Gesù Risorto che rimane di per sé imprendibile, ben più grande, lui che è l’Assoluto, contemporaneamente presente in ogni istante e in ogni millimetro. Un sacramento è traccia della presenza benefica (perché comunica una Grazia) di un Dio assente, un frammento di contatto con l’Assoluto, un istante di eternità. Un sacramento riproduce la realtà personale di Gesù di Nazareth, nel quale divinità e umanità coesistono: chi guardava Gesù, percepiva la vicinanza di Dio, e anche la sua assenza, la sua non – evidenza.
Ma c’è di più: questa “dimensione sacramentale” va ben oltre i “sette sacramenti”. Anche la Sacra Scrittura, in quanto Parola di Dio espressa in forma di parole umane, è segno della presenza – assenza di Dio, in quanto certamente comunica la volontà di Dio, ma richiede anche di essere continuamente investigata, letta e studiata, perché non è mai posseduta. E più ancora, la vita quotidiana ha una profonda indole sacramentale, perché in essa sperimentiamo il protagonismo dell’uomo all’opera e il nascondimento di Dio, ma nel contempo una persona attenta e non superficiale può riconoscere, dentro il tessuto delle attività e delle relazioni di ogni giorno, segni, messaggi, stimoli di maturazione, esperienze costruttive, che sono anch’essi voce di Dio discretamente presente nel suo nascondimento, offerti alla attenzione dell’uomo e alla sua risposta.
Conclusione
I Vangeli della Risurrezione sono assai ricchi, ben più di quanto abbiamo detto in queste poche righe. Ci basti tener presente come la Pasqua, nucleo fondamentale e indispensabile per il credente cristiano, è un evento che desidera avvolgere tutta la storia e tutta l’umanità, anche oggi, anche me. Ci basti riconoscere che Gesù non se n’è andato, ma è sempre accessibile a chi lo voglia. Essere credenti è certamente un lavoro impegnativo; non avviene per caso o per tradizione, ma è frutto di una decisione personale che matura lungo una vita; essere credenti ha come unico scopo un Incontro, il trovare Lui, e con Lui trovare la Vita, e trovarla in abbondanza, come ci ha promesso (Gv 10,10).