Che cosa rappresenta o chi è il serpente di Genesi 3?

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Prima di procedere oltre con il commento è giunto il momento di chiedersi: chi è il serpente? chi è o che cos’è questo animale che ha il potere di spingere gli esseri umani alla sventura, facendo balenare davanti a loro il paradiso della conoscenza, mentre invece sarà esperienza amara della loro nudità.

Un animale che parla?

Un primo dato da esaminare è che questo animale parla: tra le «creature del campo» è l’unico dotato di parola come lo è l’uomo. Il narratore insiste sul fatto che si tratta di un animale, quindi né fantasia, né proiezione. Questo ci spinge nuovamente a fare un passo indietro.

Se ritorniamo a Gen 1,26-27, qui il narratore specifica l’ʾadām in «maschio e femmina», questi termini nell’AT sono predicati sia dell’uomo (cf. Lv 12,2.5; Nm 5,3) come degli animali (cf. Gen 6,19; 7,3.9.16; Lv 3,1)1. Essi quindi, lungi dall’avvicinare il terrestre a Dio, sottolineano piuttosto quello che esso ha in comune con gli animali. Sempre il narratore in Gen 2 quando racconta, con un primo piano, la creazione dell’ʾadām lo descrive plasmato dalla polvere del suolo (ʿāfār min-hāʾădāmâ, cf. Gen 2,7), fa poi lo stesso con la creazione degli animali del campo, anch’essi sono dalla ʾădāmâ, «suolo/terra). C’è quindi qualcosa di comune tra ʾadām e gli animali del campo, che si può spiegare in termini di “animalità”2. L’uomo è poi chiamato a dominarla.

Venendo ora al serpente, esso potrebbe rappresentare questa dimensione di animalità presente nel terrestre e che Dio già alla fine di Gen 1 invitava a dominare3. C’è però nel serpente qualcosa di più che la semplice istintività animalesca da dominare. Da quanto raccontato di questo personaggio sono tre le cose che essenzialmente esso fa.

  1. Innanzitutto, il serpente ingrandisce il limite e fa sparire dietro la mancanza tutto quello che viene donato.
  2. Poi, giocando con l’ambiguità del linguaggio, getta il discredito su Dio, presentandolo come un avversario malevolo e geloso dei suoi privilegi; per lui Dio fa solo finta di proteggere l’uomo e la donna dalla morte; Dio fa uso della dissimulazione per meglio sottometterlo e proteggersi da lui, tenendo per sé quel che possiede.
  3. Infine, mentre semina in questo modo la diffidenza per contrapporre l’uomo a colui che gli dona la vita, il serpente si fa passare per un amico benevolo e un consigliere “astuto” che non desidera altro che la felicità e il pieno sviluppo, laddove in realtà sta seminando sventura.

La bramosia

Di nuovo la domanda: che cosa rappresenta il serpente o chi è il serpente? Esso incarna una volontà di potenza, perché non accetta alcun limite: vuole tutto e lo vuole subito. Dio ha dato da mangiare all’uomo tutti gli alberi, tranne uno. Al serpente questo non basta vuole subito anche quell’albero. C’è un nome solo per esprimere tale voracità, bramosia.

La bramosia è una volontà di potenza che nasce dal desiderio degenerato, perché incapace di accettare il limite che lo struttura. Essa mette in atto un duplice processo: di focalizzazione su quanto si desidera e di sfocalizzazione su tutto il resto. Tale processo è ben descritto dal narratore a proposito della donna davanti all’albero proibito: tutto il suo sguardo è concentrato su di esso, come se ne fosse ipnotizzata, e nello stesso tempo la donna perde lo sguardo su tutti gli altri alberi del giardino. Lo stesso è avvenuto nell’uomo che si è concentrato tutto sulla sua parte mancante interpretandola come tolta da sé e non come un dono che ha ricevuto da Dio.

Se è la bramosia che muove sia la donna sia l’uomo perché il narratore biblico sceglie di rappresentarla come una realtà esteriore? E poi come un animale creato da Dio (Gen 3,1a)?

Creato/a da Dio

Iniziamo a rispondere a partire del secondo interrogativo (creato da Dio). Non deve stupire che il serpente faccia parte della creazione. Infatti, il serpente nasce proprio nel luogo del limite che struttura il desiderio dell’essere umano e lo apre alla libertà e alla relazione. Questo limite è stato imposto da Dio con l’ordine relativo all’albero della conoscenza del bene e del male. Esso ha liberato lo spazio per la relazione con l’“altro”.

Non è un caso che solo nell’ordine divino emerge il “tu” umano relazionato all’ “io” divino. Così abbiamo visto. Sarà proprio questo spazio che verrà chiuso dalle parole del serpente/bramosia: diventerete come Dio (kēʾlōhîm 3,5b). Questo “dio” è però quello del serpente: un “dio” che ha tutto, che sa tutto, un “dio” senza mancanza né limite e, inoltre, geloso del proprio potere/conoscenza. È un “dio” del tutto diverso dal Dio di Gen 1 che, dopo aver dato generosamente, mette un limite alla propria capacità creativa per fare spazio all’altro; e da Yhwh-Dio di Gen 2 che non sa tutto, ma si impegna perché tutto sia bene per l’ʾadām, fino a nascondere il suo amore dietro il precetto nel timore di limitare la libertà dell’uomo.

Realtà esteriore

Circa poi la rappresentazione della bramosia come realtà esteriore, c’è da dire che chi è sotto la sua influenza, vive l’impressione illusoria di essere afferrato dall’oggetto del suo desiderio e trascinato da esso. L’ha ben descritta nel suo romanzo «Il Signore degli anelli» Tolkien che raffigura la bramosia, o volontà di potenza, come un anello che attira le sue prede. In realtà esso divora chi lo desidera superando ogni limite, cioè lo brama. Chi è in preda alla bramosia percepisce che la tentazione come qualcosa che proviene dall’esterno, dal di fuori di lui; esattamente come il serpente che mostra il frutto alla donna, e come la donna che l’uomo trova di fronte a sé.

Perché raffigurare la bramosia come un animale?

Lasciare le briglie sciolte alla bramosia equivale a lasciarsi guidare dall’istinto. Infatti, il desiderio si degrada in un bisogno impellente e animalesco davanti al quale la parola che tenta di moderarlo o di differirlo si fa muta. Quel che conta è fagocitare quanto ha la forza di estinguere – ma solo momentaneamente – la sete dell’insoddisfazione personale, eliminando ogni possibile differimento del proprio bisogno, ma così non si lascia alcun spazio a qualcos’altro o qualcun altro.

Questo modo di presentare la bramosia, foriera di morte, come qualcosa di esterno e come un animale da parte dell’autore biblico, aprirà la strada della riflessione biblica successiva alla personificazione del male.

Un triste epilogo

Rotolando lungo questa china sul fondo, la donna e il «suo uomo» non diventeranno a immagine di Dio, quanto a “immagine” del serpente nudo. Non senza una certa ironia il narratore riprendendo la fine del v. 5 prosegue il racconto mostrando come questo si compie:

Parole del serpente al v. 5 Racconto del narratore ai vv. 6-7
«nel giorno in cui ne mangerete Ella mangiò … egli mangiò
si apriranno i vostri occhi e si aprirono gli occhi di loro due
sarete… CONOSCENTI bene e male e CONOBBERO che erano nudi

La donna e il «suo uomo» non conosceranno «bene e male», quella totalità che credono essere esclusiva di Dio, ma solo la propria nudità. Uomo e donna si ritrovano nudi come nudo è il serpente e come nudo è il dio in cui hanno creduto. Avendo divorato lo spazio lasciato libero dal limite, all’uomo e alla donna non resta che la divisione e l’accusa.


Cf. sopra quanto detto nel commento di questi versetti.

  1. TRIBLE, The rhetoric of sexuality, 1815-1826, parla di continuità e discontinuità tra la creazione di ʾādām e quella degli animali.
  2. Il dominio degli umani sugli esseri viventi non deve essere tiranno ed esclude qualsiasi tipo di violenza. Lo con-fermerà Dio stesso disponendo un doppio regime alimentare vegetariano, uno per l’umanità e l’altro per gli altri esseri viventi (Gen 1,29-30). Su questo cf. le pagine illuminanti di P. BEAUCHAMP, «Création et fondation de la loi en Gn 1,1 – 2,4a: le don de la nourriture végétale en Gn 1,29s», in P. BEAUCHAMP (ed.), Pages exégéti-ques (Lectio Divina 202), Paris 2005, 105-144; WÉNIN, Da Adamo ad Abramo, 29-30.