Al lettore non basta sentire che Dio ristabilisce quel mondo che era andato perduto, ha bisogno di sentire che questo non accadrà mai più. In questi scena finale, piuttosto lunga, Dio come all’inizio si trova ad essere l’unico personaggio che parla ed agisce. Ci sono però delle differenze. In 8,20-22 l’intervento divino si configura come un monologo interiore («Il Signore ne odorò il profumo gradito e disse in cuor suo»), mentre in 9,1-17 Dio si rivolge espressamente a Noè e ai suoi figli. Si hanno così due quadri in cui si suddivide la scena finale:
- 8,20-22 Monologo interiore di Yhwh che si ripromette di non mandare più il diluvio
- 9,1-17 Dio benedice Noè e i suoi figli.
Il monologo di Dio e il suo impegno per la vita: vv. 8,20-22
La fine del diluvio è suggellata dal sacrificio offerto da Noè, il cui soave odore viene odorato da Yhwh. Noè procede per prima cosa costruendo un altare e poi letteralmente «facendo salire» sull’altare ogni sorta di animali e uccelli mondi. Il verbo «salire», ʾālâ all’Hifil, è tecnico per esprimere l’offerta di un sacrificio. Ora diventa chiaro perché Dio ha ordinato di far entrare nell’arca sette unità di animali e uccelli puri (cf. 7,2-3). L’espressione «Il Signore ne odorò il profumo gradito (rêaḥ hannîhōaḥ)» (8,21a) marca un forte antropomorfismo1 e con essa il narratore vuole suggerire che Dio ha creato per l’uomo la possibilità di ottenere il perdono mediante il sacrificio, inoltre Noè, offrendo a Dio un sacrificio, riconosce di essere un salvato2. A lato della grazia divina e della giustizia di Noè anche il culto ha dunque il suo valore come uno dei fattori che portano il mondo alla salvezza.
Nel monologo interiore di 8,21-22 («Il Signore disse in cuor suo») Dio si impegna con una decisione solenne di non maledire più il suolo a causa dell’uomo, né di colpire più ogni essere vivente ed infine di far si che «finché durerà la terra, seme e mèsse, freddo e caldo, estate e inverno, giorno e notte» non cessino. Questa volontà salvifica di Dio è motivata sulla falsariga di Gen 6,5-6, Dio salva l’uomo proprio a causa del suo peccato3:
- «Non maledirò più il suolo a causa dell’uomo, perché l’intento del cuore umano è incline al male fin dall’adolescenza» (8,21).
- «Il Signore vide che la malvagità degli uomini era grande sulla terra e che ogni intimo intento del loro cuore era solo male, tutti i giorni/sempre» (6,5).
Il confronto tra i versetti mostra somiglianze e differenze: non viene ripetuto in 8,21 «ogni intimo» né «era solo male», mentre la frase «fin dall’adolescenza» in 8,21 sostituisce «tutti i giorni» di 6,5. In definitiva Gen 8,21 appare meno drastica e drammatica di 6,5; resta comunque la denuncia di una distorsione radicale perché coinvolge il cuore dell’uomo. La soluzione quindi, come osserva Brueggemann, «non nasce dal ravvedimento della creazione ostile o da qualche altro cambiamento intervenuto nella creazione, ma dalla decisione del cuore di Dio di dar vita a qualcosa di nuovo»4. Su questa decisione libera e imponderabile di Dio si fonda la novità del mondo dopo il diluvio5. Il mondo continua a sussistere innanzitutto per la volontà salvifica di Dio e poi anche per la presenza di mediatori come il “giusto” Noè che continuano a celebrarne il culto. Il ritmo delle stagioni con la sua alternanza (8,22) diventerà il segno della volontà salvifica di Dio nei confronti del mondo e dell’uomo. La salvezza non può pertanto venire da qualche pia intenzione dell’umanità, ma alla fine soltanto dalla grazia di Dio.
- L’espressione è stata attribuita, da molti esegeti, alla fonte yahwista di epoca salomonica sia per la presenza del tetragramma sacro che per l’idea che tale tradizione fosse più incline a un linguaggio antropomorfico nel raffigurare Dio. Ora va notato che nel libro del Levitico (17 volte: 1,9; 2,2; 3,5…) come in quello dei Numeri (18 volte: 15,3.5.10.13.14; 28,8.13…) spesso ricorre l’espressione «soave profumo», rêaḥ nîḥōaḥ, molto simile a quella del nostro testo. Quindi 8,21a sembra presupporre almeno la tradizione sacerdotale. Il tema del sacrifico, che è già presente nell’epopea di Ghilgamesh, serve qui per sottolineare l’importanza del culto ed è probabilmente il frutto di un’inserzione post-sacerdotale.
- Se nella teoria delle fonti, almeno fino agli anni ’70 del secolo scorso, i vv. 20-22 erano attribuiti alla fonte yahwista datata in epoca salomonica (900 a.C. circa), vanno ricompresi come aggiunte post-sacerdotali, parti scritte dopo il ritorno dall’esilio, quando il culto acquista sempre più importanza e per questo viene radicato e fondato nella storia primordiale (cf. sopra principio dell’antichità). Cfr. Ska, El relato del diluvio, 37-62; J.-L. Ska, Il libro sigillato e il libro aperto (Collana Biblica 11), Bologna 2005, 238.
- Come alcuni hanno notato è un paradosso. Cf. Hamilton, Genesis 1–17, posizione 5564. Westermann, Genesis 1-11, 454 parla di eco.
- Brueggemann, Genesi, 106.
- Westermann, Genesis 1-11, 455, giustamente sottolinea che il discorso del Signore non ha interlocutori precisi per questo non può essere inteso come una promessa, ma piuttosto come una sua decisione libera di non distruggere più.